Che cosa ne faranno di lui questi mostri? Lo faranno morire lentamente fra i più atroci martirî? È impossibile che lo tengano solamente prigioniero: egli che era diventato il terrore dei pascià, egli che aveva inflitto tante sanguinose sconfitte a queste orde barbariche, a questi lupi sbucati dai deserti dellArabia.
Povero e valoroso Le Hussière!
Lami molto dunque? disse larabo che laveva ascoltata in silenzio, senza staccarle di dosso gli occhi.
Se lamo! esclamò la giovane duchessa, con voce appassionata. Amo come le donne del tuo paese.
Forse di più ancora, signora rispose El-Kadur, soffocando un nuovo sospiro. Unaltra donna non avrebbe fatto quello che facesti tu, non avrebbe lasciato il bel palazzo di Napoli, non si sarebbe vestita da uomo, non avrebbe assoldato coi propri denari una compagnia e non sarebbe venuta qui a rinchiudersi in questa città assediata da centomila infedeli, a sfidarvi la morte.
Potevo io restare tranquilla in patria, quando io sapevo che egli era qui e che correva un così grave pericolo?
E non pensi, signora, che un giorno i turchi riusciranno a superare i bastioni e che si rovesceranno sulla città assetati di sangue e di stragi? Chi ti salverà quel giorno?
Siamo tutti nelle mani di Dio, disse la duchessa, con voce rassegnata. Daltronde se Le Hussière venisse ucciso, io non sopravviverei, El-Kadur.
Uno spasimo aveva fatto fremere la pelle abbronzata dellarabo.
Signora, disse, alzandosi che cosa devo fare? È necessario che io approfitti delle tenebre per tornare al campo dei turchi.
Cercare sempre per sapere ove lo hanno condotto disse la duchessa. Dovunque si trovi, noi andremo a salvarlo, El-Kadur.
Domani notte sarò qui.
Se sarò ancora viva disse la giovane.
Che cosa dici, padrona! esclamò larabo, con accento spaventato.
Mi sono impegnata in una avventura che potrebbe finir male. Chi è quel giovane turco che tutti i giorni viene a sfidare i capitani cristiani?
Muley-el-Kadel, figlio del pascià di Damasco. Perchè questa domanda, padrona?
Perchè domani andrò a misurarmi con lui.
Tu! esclamò larabo, col viso trasfigurato. Tu, signora? Questa notte andrò a ucciderlo nella sua tenda onde non venga a sfidare i capitani di Famagosta.
Oh! Non temere, El-Kadur. Mio padre era la prima lama di Napoli ed ha fatto di me una spadaccina, che può tener testa anche alle spade dei più famosi capitani del Gran Turco.
Chi vi costringe a misurarvi con quellinfedele?
Il capitano Laczinki.
Quel cane dun polacco, che pare nutra verso di te un segreto rancore? Agli occhi dun figlio del deserto nulla sfugge ed avevo indovinato in lui il tuo nemico.
Sì, il polacco.
El-Kadur aveva fatto un salto innanzi, mandando un ruggito da belva, mentre il suo viso assumeva una espressione così feroce e selvaggia che colpì la giovine duchessa.
Dove si trova ora quelluomo? chiese con voce strozzata.
Che cosa vorresti fare, El-Kadur? chiese la capitana con voce dolce.
Larabo, con un gesto rapido si levò dalla fascia ljatagan, facendo scintillare la lucente lama alla luce della lampada.
Questo acciaio questa notte berrà sangue polacco, disse, con voce cupa. Quelluomo non vedrà alzarsi il sole di domani, così la sfida non avrà più luogo.
Tu non lo farai gli rispose la capitana, con voce ferma. Si direbbe che Capitan Tempesta ha avuto paura e che ha fatto assassinare il polacco. No, El-Kadur, tu lo lascerai vivere.
E dovrò io vedere la mia padrona, misurarsi in un combattimento mortale con quel turco? chiese larabo con selvaggio accento. Potrei io vederla cadere morente sotto i colpi di scimitarra di quellinfedele? La vita di El-Kadur è tua, fino allultima stilla di sangue, padrona, ed i guerrieri della mia tribù sanno morire in difesa dei loro signori.
Capitan Tempesta deve mostrare a tutti che non ha paura dei turchi, rispose la duchessa. È necessario, per allontanare qualsiasi sospetto sul mio vero essere.
Lo ucciderò, padrona, rispose larabo con voce sibilante.
Te lo proibisco.
No, signora.
Te lo comando: obbedisci, disse la duchessa.
Larabo piegò il capo e qualche cosa dumido apparve sotto le sue palpebre.
È vero disse sono uno schiavo e debbo obbedire.
Capitan Tempesta gli si avvicinò e, posandogli su una spalla la sua bianca mano, gli disse con voce raddolcita:
Non schiavo: sei mio amico.
Grazie, signora, rispose El-Kadur farò quello che vorrai, ma ti giuro che se il turco ti atterra, io gli brucerò le cervella. Lascia almeno che il tuo fedele servo ti vendichi, nel caso che ti succedesse qualche disgrazia. Che cosa varrebbe la mia vita senza di te?
Farai quello che meglio crederai, mio povero El-Kadur. Va, parti prima che sorga lalba. Se tu tardassi non potresti più raggiungere il campo degli infedeli.
Ti obbedisco, signora. Io saprò presto dove hanno condotto il signor Le Hussière, te lo prometto.
Uscirono dalla casamatta e risalirono sul bastione, dove le colubrine ed i moschettoni continuavano a tuonare con crescente fracasso, rispondendo vigorosamente alle artiglierie dei turchi, colpo per colpo, onde impedire che minassero le mura, semicadenti, della sfortunata città.
Capitan Tempesta si avvicinò al signor Perpignano che dirigeva il fuoco dei moschettieri e gli disse:
Fate sospendere per qualche minuto il fuoco. El-Kadur deve ritornare ai campi turchi.
Nientaltro, signora? chiese il veneziano.
No, ma non chiamatemi che Capitan Tempesta. Non siete che in tre soli a sapere chio sia; voi, Erizzo ed El-Kadur. Silenzio: potrebbero udirvi.
Perdonatemi, capitano.
Fate cessare il fuoco per un solo minuto. Non sarà già la rovina di Famagosta.
La duchessa non comandava più come una donna, bensì come un vecchio capitano, incanutito sui campi di battaglia, con frasi secche ed incisive, che non ammettevano alcuna replica.
Il signor Perpignano passò lordine agli artiglieri e agli archibugieri, mentre larabo, approfittando di quella momentanea tregua, si spingeva fino allorlo del bastione accompagnato da Capitan Tempesta.
Guàrdati dal turco, signora le sussurrò prima di scavalcare la merlatura. Se morrai tu, morrà anche il povero schiavo, dopo averti però vendicata.
Non temere, amico rispose la duchessa. Conosco la terribile scuola della spada, meglio di tutti i capitani rinchiusi in Famagosta. Addio, va, te lordino.
Larabo, per la terza volta, represse un sospiro, più lungo forse degli altri due, saggrappò alle pietre sporgenti e scomparve nelloscurità.
Quanta affezione in quelluomo, mormorò Capitan Tempesta e forse quanto amore segreto. Povero El-Kadur! Era meglio che tu fossi rimasto per sempre nei deserti del tuo paese.
Ritornò lentamente indietro, mettendosi al riparo dun merlo, continuando le grosse palle di pietra dei turchi a cadere sul bastione e si assise su un cumulo di sassi, appoggiando il mento e le mani sul pomo della sua spada.
Intanto le detonazioni si succedevano alle detonazioni, Artiglieri ed archibugieri coprivano la tenebrosa pianura di ferro e di piombo o di uragani di mitraglia, per fermare gli audaci minatori islamici, che si avanzavano con un coraggio più unico che raro, sfidando intrepidamente i tiri dei veneziani e degli schiavoni.
Una voce lo trasse dalle sue meditazioni.
Una voce lo trasse dalle sue meditazioni.
Sicchè, ancora nulla, capitano?
Era il signor Perpignano che si era avvicinato, dopo daver dato il comando agli schiavoni di non far risparmio di munizioni.
No rispose Capitan Tempesta.
Sapete almeno se egli sia vivo?
El-Kadur mi ha detto che Le Hussière è sempre prigioniero.
E di chi?
Lo ignoro ancora.
Mi sembra strano che quei terribili combattenti, che non accordano quasi mai quartiere, lo abbiano risparmiato.
È quello che penso anchio, rispose Capitan Tempesta e forse è quello che mi rode più il cuore.
Che cosa temete, capitano?
Non lo so, eppure il cuore delle donne che amano difficilmente singanna.
Non vi comprendo.
Invece di rispondere alla domanda, Capitan Tempesta si alzò, dicendo:
Lalba fra poco spunterà ed il turco verrà sotto le mura a lanciare la sua sfida. Andiamo a prepararci al combattimento. O tornerò vittoriosa o rimarrò morta e le mie angosce saranno finite.
Signora, disse il tenente accordatemi la grazia di combattere il turco. Se anche soccombessi, nessuno mi piangerebbe giacchè sono lultimo discendente dei conti di Perpignano.
No, tenente.
Il turco vi ucciderà.
Un sorriso sdegnoso sfiorò le belle labbra della fiera duchessa.
Se io non fossi stata così forte e risoluta, Gastone Le Hussière non mi avrebbe amata disse. Io mostrerò ai turchi ed ai comandanti veneti come sa battersi Capitan Tempesta. Addio, signor Perpignano. Non dimenticherò mai nè El-Kadur, nè il mio prode tenente.
Savvolse tranquillamente nel suo ferraiuolo, posò la sinistra sulla spada con un gesto superbo e scese dal bastione, mentre le artiglierie degli assediati e degli assedianti tuonavano con crescente furore, illuminando, di quando in quando, sinistramente la notte.
CAPITOLO III. Il Leone di Damasco
Lalba incominciava a sorgere, illuminando le pianure di Famagosta cosparse di rovine fumanti. Il cannone non era stato zitto un sol momento quella notte e tuonava ancora, ripercuotendosi contro le vecchie case della città assediata ed entro le strette viuzze già quasi tutte ostruite da macerie.
Limmenso campo delle orde turche a poco a poco si scopriva. Miriadi e miriadi di tende coprivano lorizzonte, alcune altissime a tinte svariate, ma sempre smaglianti, sormontate da aste con una mezzaluna sulla cima e una coda di cavallo sotto ed altre più piccole.
In mezzo a quel caos, giganteggiava quella altissima e vastissima del vizir, il comandante in capo del formidabile esercito, tutta in seta rossa, collo stendardo verde del Profeta spiegato sulla cima, quello stendardo che bastava da solo a fanatizzare gli infedeli ed a renderli formidabili e furibondi come i leoni dei deserti arabi.
Miriadi duomini, chi a piedi e chi a cavallo, si agitavano sul margine dellaccampamento, facendo scintillare ai primi raggi del sole le loro armature, i loro elmetti e le loro scimitarre. Guatavano con occhi sanguinosi Famagosta, meravigliandosi che quel nido di cristiani non fosse ancora stato espugnato dopo il furioso bombardamento della notte.
Capitan Tempesta, che era tornato, dopo aver avvertito il comandante della piazza della sfida corsa fra lui ed il polacco, guardava laccampamento dal vano di due merli sfuggiti miracolosamente alle enormi palle di pietra, che avevano coperto il bastione di rottami e di schegge.
A pochi passi, il polacco, aiutato dal suo scudiero, si faceva stringere la corazza, sagrando incessantemente perchè non la trovava mai sufficientemente a posto. Era un po pallido e non pareva molto tranquillo, quantunque, dobbiamo dirlo a onor suo, non fosse già la prima volta che si misurava cogli infedeli.
Il signor Perpignano, aiutato da uno schiavone, teneva invece per le briglie due splendidi cavalli di razza incrociata italiana ed araba, osservando di quando in quando minutamente le cinghie e mormorando fra sè:
Certe volte una correggia troppo allentata può compromettere la vita dun uomo.
Il cannoneggiamento era cessato da una parte e dallaltra. Nel campo nemico si udivano le voci dei muezzin a recitare la preghiera mattutina, che terminava sempre con una incitazione a sterminare i giaurri, ossia i cani cristiani; sugli spalti di Famagosta i veneziani facevano colazione con un po dolive e qualche pezzo di pane quasi immangiabile, poichè le provviste erano diventate ormai così scarse, ed i poveri abitanti, per non morire di fame, si vedevano costretti a cibarsi di erbe cotte e di cuoio bollito.
La preghiera dei muezzin era appena terminata, quando si vide un cavaliere turco lasciare il campo e spingersi al galoppo verso le mura di Famagosta e più precisamente verso il bastione di San Marco, seguito da un soldato che reggeva unasta portante, al di sotto della mezzaluna e della coda di cavallo, un fazzoletto di seta bianca.
Era un bel giovane di ventiquattro o venticinque anni, dalla pelle bianca, i baffi neri, lo sguardo vivo e ardente, e vestito superbamente. Attorno al cimiero aveva una pezzuola di seta rossa, arrotolata come in forma di turbante e sulla cima una lunga penna di struzzo bianca; il petto laveva racchiuso in una corazza lucentissima arabescata ed argentata, ai polsi portava bracciali dacciaio e sulle spalle un lungo mantello bianco infioccato, con una larga striscia azzurra allestremità inferiore.
I calzoni, pure di seta, erano invece ampi, alla turca e calzava stivaletti di marocchino che sparivano quasi tutti entro le larghe staffe di acciaio brunito.
Teneva in pugno una scimitarra e nella fascia che gli stringeva le reni portava un jatagan leggero, colla lama lievemente curva.
Quando giunse a trecento passi dal bastione, fece segno al suo scudiero di piantare in terra lasta come per segnalare agli assediati che si presentava sotto la protezione della bandiera bianca e dopo daver fatto caracollare per qualche minuto, con maestria impareggiabile, il suo magnifico cavallo arabo, tutto bianco, con una criniera lunghissima adorna di nastri e di fiocchi, gridò con voce maschia:
Muley-el-Kadel, figlio del pascià di Damasco, sfida per la terza volta i capitani cristiani, ad armi bianche. Se non accettano ancora io li tratterò da vili sciacalli, indegni di combattere contro i forti guerrieri della Mezzaluna.
Vengano dunque a misurarsi, uno alla volta, se hanno nelle vene del vero sangue.
Muley-el-Kadel aspetta.
Il capitano Laczinki, che finalmente si era accomodata la corazza, si fece innanzi, salì sullorlo del bastione e con un vocione che parve il muggito di un toro rispose, sguainando nel medesimo tempo, con un gesto tragico il suo spadone:
Muley-el-Kadel non tornerà a sfidare i capitani cristiani, perchè fra cinque minuti io lo inchioderò sul suo cavallo come una scimmia. Siamo in due che abbiamo giurato di farti la pelle, cane dun miscredente.
Che vengano, rispose il turco, continuando a far caracollare il suo bianco cavallo, come per dimostrare quale abile cavaliere egli fosse, e si misurino con me uno alla volta.
Siamo pronti tuonò il polacco.
Poi, volgendosi verso Capitan Tempesta, che stava per salire sul proprio destriero, gli disse con una certa ironia che non isfuggì alla giovine duchessa:
È vero che noi lo uccideremo?
Sì, rispose freddamente la capitana.
Giuochiamo prima a chi tocca affrontare quel mascalzone.
Come volete, capitano.
Ho ancora uno zecchino in tasca: testa o croce?
Scegliete voi.
Preferisco la testa: sarà un buon augurio per me, pessimo pel turco. A chi toccherà la croce sarà colui che si misurerà con quel cane.