Un grandurlo di furore si era alzato fra i cristiani di Famagosta:
Vili! Traditori!
Muley-el-Kadel, con uno sforzo supremo, si era alzato, pallido, ma cogli occhi fiammeggianti dira.
Miserabili! tuonò, rivolgendosi verso i suoi compatrioti. Che cosa fate? Fermatevi o domani vi farò impalare tutti, come indegni di appartenere a guerrieri leali e valorosi.
I cavalieri si erano arrestati, confusi e spaventati. In quel momento due colpi di colubrina rimbombarono sul bastione di San Marco e un nembo di mitraglia li colpì, gettandone a terra sette insieme ai loro cavalli.
I superstiti si erano affrettati a volgere le spalle, fuggendo a gran corsa verso il campo turco, fra i fischi e le risate dei loro compagni, che non approvavano quellintervento improvviso.
Ecco la lezione che vi meritavate disse il Leone di Damasco, mentre il suo scudiero lo sorreggeva.
Le artiglierie turche non avevano risposto ai due colpi di colubrina dei cristiani.
Capitan Tempesta, che aveva ancora la spada in mano, risoluto a vendere cara la vita, fece a Muley-el-Kadel un cenno daddio con la sinistra, rimontò sul suo cavallo e sallontanò verso Famagosta, mentre i guerrieri cristiani lo salutavano con un vero uragano dapplausi.
Nel momento in cui si allontanava, il polacco che non era morto, sollevò lentamente la testa e lo seguì collo sguardo, mormorando:
Spero che ci rivedremo, fanciulla.
A Muley-el-Kadel non era sfuggita quella mossa.
Costui non è morto disse al suo scudiero, Ha lanima incavigliata dunque, lOrso della Polonia?
Devo finirlo? chiese lo scudiero.
Conducimi presso di lui.
Appoggiandosi al soldato e comprimendosi con una mano la ferita che sanguinava abbondantemente, sappressò al capitano.
Volete finirmi? chiese Laczinki con voce rantolante. Ormai sono vostro correligionario perchè ho rinnegato la croce. Uccidereste un mussulmano.
Vi farò curare rispose il Leone di Damasco.
È quello che volevo mormorò fra sè lavventuriero. Ah! Capitan Tempesta, me la pagherai!
CAPITOLO IV. La ferocia di Mustafà
Dopo quella sfida cavalleresca che aveva accresciuta la fama già ben salda di Capitan Tempesta, riconosciuta ormai da tutti come la prima lama di Famagosta, lassedio della disgraziata città era stato ripreso da parte delle orde turche, ma con molto meno slancio di quello che i cristiani saspettavano.
Pareva che, dopo la sconfitta del Leone di Damasco, un profondo scoraggiamento si fosse impadronito degli assedianti. Il fatto era che non spingevano più gli attacchi collaccanimento primiero e che il bombardamento languiva.
Il comandante supremo delle orde barbare, Mustafà, non si vedeva più, come nel passato, ispezionare ogni mattina, dopo la preghiera, le colonne dassalto, nè mostrarsi fra le compagnie degli artiglieri per incoraggiarli colla sua presenza.
Perfino i clamori selvaggi, che finivano sempre in un ululato spaventoso, che suonava «morte e sterminio ai nemici della Mezzaluna» non echeggiavano più nellimmenso campo. Che più? Perfino le trombe rimanevano mute ed i timballi della cavalleria non facevano udire i loro rulli.
Pareva che qualcuno avesse imposto a quello sterminato esercito il silenzio più assoluto.
Invano i capitani cristiani cercavano di spiegare quel mistero. Eppure non era quella lepoca del Ramadan, della quaresima turca, durante la quale gli adoratori del Profeta sospendono perfino le operazioni di guerra, per pregare ed imporsi lunghi digiuni.
Come non era possibile che il Gran vizir avesse comandato il silenzio, per non turbare la guarigione del giovane Leone di Damasco, che infine non era altro che il figlio dun pascià.
Capitan Tempesta e il suo tenente aspettavano la spiegazione di questo fatto assolutamente straordinario da El-Kadur, lunico forse che avrebbe potuto dire qualche cosa, ma larabo, dopo il colloquio di quella notte, non era più rientrato in Famagosta.
Limprovvisa inattività dei nemici non incoraggiava affatto gli assediati, pel motivo che i viveri scemavano tutti i giorni e che la fame si faceva sentire sempre più aspra, specialmente per gli abitanti i quali vedevano diminuire ogni giorno le loro provviste dolio e di cuoio, lunico loro nutrimento già da parecchie settimane.
Erano trascorsi così parecchi giorni, collo scambio di qualche raro colpo di colubrina da una parte e dallaltra, quando una notte che Capitan Tempesta e Perpignano erano di guardia sul bastione di San Marco, videro unombra arrampicarsi, collagilità dun quadrumane, su per la scarpa semidiroccata dalle mine dei turchi.
Sei tu, El-Kadur? chiese Capitan Tempesta, afferrando, per precauzione, un archibugio che stava appoggiato al parapetto e che aveva la miccia accesa.
Sì, padrone rispose larabo. Non fate fuoco.
Con un ultimo slancio saggrappò ad un merlo e balzò agilmente sul parapetto, cadendo dinanzi a Capitan Tempesta.
Eravate inquieto della mia prolungata assenza, è vero, padrone? chiese larabo.
Temevo che ti avessero scoperto e ucciso, rispose Capitan Tempesta.
Non hanno alcun dubbio su di me, rassicuratevi, padrone, disse larabo quantunque il giorno in cui voi vi misuraste col Leone di Damasco mavessero veduto armare le pistole per ucciderlo, nel caso che vi avesse ferita.
Migliora?
Muley-el-Kadel deve avere la pelle ben dura, padrone. Egli è già convalescente e fra un paio di giorni rimonterà a cavallo. Ah! Ho anche unaltra notizia importante da darvi e che vi stupirà assai.
Quale?
Che anche il polacco migliora rapidamente.
Laczinki! esclamarono ad una voce il capitano ed il suo tenente.
Sì, lui.
Non è stato ucciso da quel colpo di scimitarra?
No, padrone. Sembra che gli orsi delle foreste polacche abbiano le ossa solide.
E non lhanno finito?
No, perchè ha rinnegata la croce abbracciando la fede del Profeta rispose El-Kadur. Quellavventuriero ha lanimo molto largo, a quanto pare, e adora tanto la Croce quanto la Mezzaluna.
È un miserabile! esclamò Perpignano, con indignazione. Combattere contro di noi, i suoi fratelli darme!
E appena guarito sarà nominato capitano dellesercito turco aggiunse larabo. Uno dei pascià gli ha promesso quel grado.
Quelluomo deve odiarmi mortalmente, senza che io gli abbia fatto mai nulla di male, se invece non mi
Che cosa, capitano? chiese il veneziano, vedendolo interrompersi bruscamente.
Capitan Tempesta, invece di rispondere, chiese allarabo:
Ancora nulla?
Nulla, padrone, rispose El-Kadur, facendo un gesto desolato. Non so il perchè si mantiene ostinatamente il segreto sul luogo ove fu condotto il signore Le Hussière.
Eppure è impossibile che tutti lo ignorino, disse Capitan Tempesta, con un sospiro. Che labbiano ucciso? Dio mio! Quale sospetto!
No, padrona, sono certo che egli vive. Io credo che sia stato relegato in qualche castello della costa, colla speranza dindurlo ad abbracciare la religione islamita.
Egli è un gran valoroso ed i turchi accolgono volentieri fra le loro file i valenti, di cui hanno molto bisogno per guidare le loro orde innumerevoli sì, ma indisciplinate.
Capitan Tempesta si era lasciato cadere su un mucchio di macerie, come se fosse stato colto da una improvvisa debolezza.
Perpignano e larabo lo guardavano, entrambi profondamente commossi.
Che io non possa sapere più mai che cosa è avvenuto di lui? mormorò la giovane duchessa con un sordo singhiozzo.
Perpignano e larabo lo guardavano, entrambi profondamente commossi.
Che io non possa sapere più mai che cosa è avvenuto di lui? mormorò la giovane duchessa con un sordo singhiozzo.
Non disperate, padrone disse larabo. Non rinuncerò alle mie gite notturne, finchè non mi avranno detto dove lo hanno condotto. Saper che egli è vivo è già molto.
Tu non ne hai le prove, mio buon El-Kadur.
È vero, ma se lavessero ucciso, al campo lo si saprebbe di certo.
E perchè sono tanto riluttanti a dire dove si trova prigioniero?
Questo non lo so, padrone.
Capitan Tempesta si era alzato.
Sì, forse ho torto a disperare, disse.
In quel momento un baccano spaventevole ruppe improvvisamente il silenzio della notte.
Nel campo turco si udivano squillare le trombe e rullare i timballi della cavalleria ed un vociare furioso e scoppi darmi da fuoco.
Migliaia e migliaia di torce si erano accese come per incanto e correvano per la vasta pianura, raggruppandosi verso il centro del campo, dove giganteggiava la tenda del gran vizir, il comandante supremo delle orde.
Capitan Tempesta, Perpignano ed El-Kadur si erano accostati rapidamente al parapetto del bastione, mentre le trombe delle sentinelle cristiane suonavano a tutto fiato lallarme ed i guerrieri veneti, che riposavano nelle casematte, afferravano le armi accorrendo sulle mura.
Si preparano allassalto generale, disse Capitan Tempesta.
No, padrone disse larabo, con voce tranquilla. È una rivolta che scoppia nel campo turco e che era già preparata fino da stamane.
Contro chi?
Contro il gran vizir, Mustafà.
Per quale motivo? chiese Perpignano.
Per costringerlo a riprendere vigorosamente lassedio della città. Sono otto giorni che le truppe rimangono quasi inoperose e che rumoreggiano.
Infatti tutti lo abbiamo notato, disse Perpignano. Forse che il Gran vizir è ammalato?
Sembra anzi che stia benissimo. È il suo cuore che è incatenato.
Che cosa vuoi dire, El-Kadur? chiese Capitan Tempesta.
Che una fanciulla cristiana della Canea, lo ha affascinato. Il vizir è innamorato e forse, dietro consiglio di quella beltà, vi ha accordato una lunga tregua.
Possibile che gli occhi duna donna possano esercitare tanta influenza su quel crudele capitano? disse il tenente.
Si dice che sia duna bellezza meravigliosa. Tuttavia io non vorrei trovarmi al suo posto, perchè lesercito intero reclama la sua morte considerandola come lunico ostacolo alle operazioni di guerra.
E credi tu che il vizir cederà dinanzi alla volontà dei suoi soldati? chiese Capitan Tempesta.
Vedrete che non oserà resistere rispose larabo. Il sultano tiene delle spie al campo e, se venisse informato del malumore che regna fra i suoi guerrieri, non indugerebbe a regalare al comandante supremo un laccio di seta, e voi sapete che cosa significhi un simile dono: o appiccarsi o venire impalato.
Povera fanciulla! esclamò Capitan Tempesta, con voce commossa. E dopo?
Quando quelladorabile candiotta non esisterà più, potete aspettarvi un assalto furibondo. Le orde islamite sono stanche della lunghezza di questo assedio e si rovesceranno su Famagosta, come un mare in tempesta e spazzeranno via ogni cosa.
Saremo pronti a riceverle come si meritano, disse Perpignano. Le nostre spade e le nostre corazze sono solide ed i nostri cuori non tremano.
Larabo scosse il capo, guardando con angoscia la duchessa, poi disse con un sospiro:
Sono troppi.
A meno che non prendano la città per sorpresa.
Ci sarò sempre io per avvertirvi in tempo. Devo tornare al campo turco, padrone?
Capitan Tempesta non rispose.
Appoggiato al parapetto, ascoltava le vociferazioni spaventevoli degli assedianti e seguiva con uno sguardo inquieto le miriadi di torce che sagitavano burrascosamente intorno allalta tenda del gran vizir.
In mezzo a quel baccano assordante, che pareva il muggito dun mare sconvolto dai venti, sudivano ad intervalli migliaia di voci che urlavano:
Morte alla schiava! Vogliamo la sua testa!
Poi i timballi, le trombe e gli spari coprivano quelle grida feroci e tutte quelle urla, che sfuggivano da centomila petti, si fondevano in un ruggito spaventevole, come se il campo degli infedeli fosse stato improvvisamente invaso da legioni e legioni di belve feroci, sbucate dai deserti africani ed asiatici.
Debbo tornare, padrone? tornò a chiedere larabo.
Capitan Tempesta si scosse e rispose:
Sì, va, mio buon El-Kadur. Approfitta di questo istante di tregua e non stancarti nelle tue ricerche se vuoi vedermi felice.
Negli occhi del figlio del deserto passò come unombra dinfinita tristezza, poi disse, con accento rassegnato:
Farò quello che vorrete, padrone, pur di veder le vostre belle labbra a sorridere e la vostra fronte serena.
Capitan Tempesta fece cenno al suo tenente di rimanere, poi accompagnò larabo verso il parapetto del bastione.
Tu mi hai detto che il capitano Laczinki è ancora vivo, disse.
È vero, signora, nè pare che per ora abbia alcuna voglia di morire.
Veglia su di lui.
Che cosa temete, padrona, da quel rinnegato? chiese larabo levandosi minaccioso in tutta la sua altezza.
Sento in lui un nemico.
Per quale motivo dovrebbe odiarvi?
Egli ha scoperto che io sono una donna invece dun uomo.
Che vi ami invece? chiese El-Kadur, mentre il suo volto si trasfigurava sotto un improvviso scoppio dira terribile.
Chi lo sa, rispose la duchessa. Potrebbe odiarmi perchè la donna ha abbattuto il Leone di Damasco e potrebbe anche segretamente amarmi. Non è facile comprendere il cuore umano.
Il visconte Le Hussière sì, ma quel polacco, no! disse larabo con voce fremente.
Supporresti che io amassi quellavventuriero?
Non lo crederei mai, signora, ma se così fosse El-Kadur ha un jatagan nella cintura e lo immergerà tutto nel petto di quel rinnegato.
Si leggeva in quel momento sul viso del selvaggio figlio dellArabia una tale espressione di collera, che Capitan Tempesta ne fu impressionato. Vi era una disperazione intensa, terribile.
Non temere, mio povero El-Kadur, disse la duchessa. O le Hussière o nessuno. Amo troppo quel valoroso.
Larabo si portò una mano sul cuore, conficcandosi le unghie nella carne, come se avesse voluto soffocarne i battiti e chinò il capo, nascondendo il viso nellalto colletto del suo mantello.
Addio, signora, disse dopo qualche istante. Veglierò su quelluomo nel quale sento anchio un nemico della vostra felicità, ma veglierò come il leone spia la preda che agogna. Quando lo comanderete il povero schiavo ucciderà.
Poi, senza attendere la risposta della duchessa, balzò sul parapetto e si lasciò scivolare giù dalla scarpa, scomparendo rapidamente fra le tenebre.
La giovane duchessa era rimasta immobile, cercando di discernere attraverso le ombre della notte il taub del suo fedele schiavo.
Come deve sanguinare il suo cuore! mormorò. Povero El-Kadur. Sarebbe stato meglio per te che mio padre non ti avesse liberato dal tuo crudele padrone.
Perpignano, vedendola sola, sera fatto innanzi.
Pare che i turchi si siano calmati, le disse. Che abbiano assassinata la cristiana? Quelle canaglie sono capaci di tutto: quando la collera li prende non rispettano nè donne, nè fanciulli.