Purtroppo, sospirò la duchessa.
Infatti le grida erano cessate nel campo turco e non si udivano più nè i timballi della cavalleria, nè gli squilli delle trombe. Si scorgevano invece sempre quelle miriadi di fiaccole radunarsi or qua ed or là, ed ora disperdersi per limmenso campo in lunghissime file che formavano delle capricciose linee di fuoco, spiccanti vivamente fra la profonda oscurità della notte piovigginosa.
I capitani cristiani, accortisi che almeno per quel momento gli infedeli non avevano alcuna intenzione di muovere allattacco della città, avevano rimandate le loro compagnie nelle casematte, non lasciando che delle forti guardie sui bastioni principali, specialmente intorno alle colubrine.
La notte, come già El-Kadur aveva predetto, passò senza allarmi e gli assediati poterono riposarsi tranquillamente.
Appena laurora comparve, fugando le ultime stelle, quattro cavalieri turchi che portavano sulle alabarde dei drappi di seta bianca e che erano preceduti da un trombettiere, si presentarono sotto il bastione di San Marco sulla cui piattaforma si radunavano ordinariamente i capitani cristiani, chiedendo ad alta voce un breve armistizio, onde farli assistere ad uno spettacolo straordinario, che, assicuravano, avrebbe dovuto influire assai sulle sorti della guerra.
Credendo che si trattasse di qualche nuova sfida, come succedeva di frequente, i comandanti veneti, che non volevano daltronde irritare troppo quei barbari, che tenevano ormai nelle loro mani le sorti della disgraziata città, dopo un breve consiglio, acconsentirono, promettendo che non avrebbero aperto il fuoco prima del mezzodì.
Dieci minuti dopo che i cavalieri erano tornati al campo, gli assediati che si erano radunati sulle mura e sui bastioni, non fidandosi delle promesse di quei barbari, videro spiegarsi nella pianura le innumerevoli orde nemiche, sfilando per battaglioni, come in una grande rivista.
Savanzavano prima gli artiglieri dalle vesti variopinte e gli ampi calzoni, seguiti da duecento colubrine trainate da superbi cavalli arabi impennacchiati e infioccati e con ricche gualdrappe rosse; poi savanzavano le compagnie dei giannizzeri, quei terribili guerrieri che formavano il nerbo dellesercito turco, uomini che non avevano paura della morte e che una volta lanciati, nè spade, nè colubrine, nè moschetti potevano arrestare.
Poi si avanzavano gli albanesi, coi loro sfarzosi costumi, le sottanine bianche ed ampie ed i ricchi e vasti turbanti e le fasce riboccanti di pistoloni e di jatagan; gli irregolari dellAsia Minore, armati di archibugi, di alabarde e perfino di balestre usate centanni prima, coperti di cotte dacciaio scintillanti e forniti di ampi scudi che forse datavano dal tempo delle crociate ed infine immense colonne di cavalieri arabi ed egiziani, avvolti nei loro mantelli bianchi, abbelliti allestremità da larghe righe rosse ed infioccati.
Al suono delle trombe ed al fragore dei timballi, lo sterminato esercito si schierò su varie colonne nella vasta pianura, formando un immenso semicerchio, i cui margini si perdevano allorizzonte.
Che vogliano spaventarci mostrando la potenza dei loro reggimenti? chiese Perpignano a Capitan Tempesta, che guardava, non senza un fremito di terrore, sfilare quelle masse enormi.
Non lo so rispose la giovane duchessa. Qualche cosa però deve succedere.
Aveva appena pronunciate quelle parole, quando le trombe cessarono bruscamente di echeggiare ed i timballi diventarono muti.
Le colonne si aprirono dinanzi al bastione di San Marco e gli assediati videro avanzarsi il Gran vizir Mustafà, tutto coperto di ferro brunito, con un ampio turbante sormontato da un gran pennacchio, che scintillava come se fosse cosparso di diamanti.
Montava un cavallo arabo dal pelo bianco, dalla criniera lunghissima, bardato con lusso inaudito. Aveva un enorme ciuffo di magnifiche penne di struzzo fissato sulla testa, briglie larghe come usano oggidì i marocchini e i berberi, intagliate e dorate, una grande gualdrappa di velluto cremisi con frange doro che gli scendeva fino al garrese e le fonde delle pistole di velluto azzurro con due grandi mezzelune dargento.
Lo seguiva un araldo con una lunga tromba ed uno stendardo di seta verde, poi veniva su una giumenta bianca una fanciulla, tutta avvolta in un lungo velo candidissimo, adorno di piccole stelle doro che impediva di poterla vedere in viso, quindi pascià e capitani, tutti risplendenti nelle loro corazze argentate e cavalieri superbamente vestiti, con turbanti giganteschi e sorreggenti delle aste sormontate dalla mezzaluna con sotto delle code di cavallo.
Il gran vizir, che procedeva al passo, trattenendo con mano ferma il suo ardente destriero, mentre teneva laltra posata fieramente sullanca, sinoltrò fino a trecento metri dal bastione di San Marco, guardando fissi i capitani cristiani, affollati sugli spalti, poi snudò la sua scimitarra e si volse verso i suoi guerrieri, gridando con voce tuonante:
Ecco come il vostro vizir spezza le sue catene!
Con una improvvisa speronata fece fare al suo arabo un gran salto che lo portò presso la giumenta, si rizzò sulle corte e larghe staffe e con un terribile colpo della sua arma tagliò netto il collo della fanciulla, facendo volare lontano il capo, senza dubbio bellissimo.
Il corpo della decapitata si mantenne per alcuni secondi ritto sulla sella mentre i bianchi veli si coprivano di sangue, poi stramazzò al suolo, mentre un grandurlo di raccapriccio salzava fra i cristiani.
Il gran vizir asciugò sulla gualdrappa del proprio cavallo la scimitarra, la ringuainò freddamente, poi tendendo il pugno chiuso verso Famagosta, gridò con voce terribile che parve uno scoppio di tuono:
Ed ora, giaurri, pagherete pel sangue che ho sparso! Ci rivedremo questa notte!
CAPITOLO V. Lassalto di Famagosta
La minaccia del gran vizir dei turchi aveva prodotto un profondo effetto sui capitani cristiani, i quali conoscevano laudacia e la fermezza di quel formidabile guerriero, cui fino allora aveva sempre arriso la vittoria, nonostante lestremo valore dei soldati veneti.
Certi di dover subire nella notte un assalto furioso, più tremendo di quanti ne avevano provati fino allora e conoscendo la loro debolezza, dopo che le mine avevano sconquassati i bastioni e le cinte, dietro consiglio del governatore avevano subito preso le disposizioni necessarie per far fronte al terribile pericolo che li minacciava.
I posti di guardia furono raddoppiati, soprattutto sulle torri a difesa dei profondi fossati, quantunque ormai questi fossero così ingombri di macerie da non poter più servire da ostacolo, e le colubrine furono piazzate nei punti più elevati onde battere e coprire di mitraglia gli assalitori.
Gli abitanti, già avvertiti, malgrado la loro estrema debolezza causata dai lunghi digiuni, non ignorando che se i turchi fossero riusciti a varcare le cinte, non sarebbero sfuggiti alle loro scimitarre, erano prontamente accorsi a rinforzare i bastioni più maltrattati colle macerie levate dalle loro abitazioni, già quasi tutte demolite da quel lungo assedio.
Una profonda angoscia si era impadronita di tutti. Sentivano per istinto che la fine di Famagosta era prossima e che una orribile strage stava per succedere.
Lesercito turco, venti volte superiore agli assediati, sicuro della sua strapotente forza, e della immensa superiorità delle sue artiglierie, stanco di quel lunghissimo assedio che lo stremava da mesi e mesi, doveva tentare uno di quei formidabili sforzi a cui nessuno può resistere: nè la saldezza dei cuori meglio corazzati contro la paura, nè il valore disperato, nè la fede incrollabile.
Durante la giornata, gli assedianti si mantennero tranquilli, limitandosi a sparare solo, di quando in quando, qualche colpo di colubrina, più per rettificare il tiro dei loro pezzi, che per danneggiare le opere di difesa degli assediati; però si vedeva nel loro campo un movimento insolito.
Durante la giornata, gli assedianti si mantennero tranquilli, limitandosi a sparare solo, di quando in quando, qualche colpo di colubrina, più per rettificare il tiro dei loro pezzi, che per danneggiare le opere di difesa degli assediati; però si vedeva nel loro campo un movimento insolito.
Gruppi di cavalieri partivano ad ogni istante dalle tende del Gran vizir e dei pascià, recandosi alle estreme ali dellesercito per portare ordini e si scorgevano gli artiglieri trascinare i loro pezzi verso le trincee, mentre bande di minatori si disperdevano per la pianura strisciando come serpenti per non farsi mitragliare.
I capitani cristiani, Bragadino, Martinengo, Tiepolo e lalbanese Manoli Spilotto, dopo aver tenuto consiglio col governatore della piazza, Astorre Baglione, avevano deciso di prevenire lassalto dei turchi con un furioso bombardamento, onde tener lontani i minatori ed impedire alle artiglierie turche di piazzarsi indisturbate nei punti migliori.
Ed infatti, appena scoccato il mezzodì, tutti i pezzi che guarnivano i bastioni e le torri aprirono tosto un fuoco infernale coprendo la pianura di ferro e di palle di pietra, mentre i più abili archibugieri, nascosti dietro i parapetti ed i merli, gareggiavano fra di loro nel freddare i minatori che savanzavano incessantemente, cercando di ripararsi dietro le ineguaglianze del suolo.
Quel rimbombo assordante durò fino al calar del sole, causando agli assedianti non poche perdite e smontando parecchie colubrine; poi, appena le tenebre furono fitte, squillarono le trombe dallarme per far accorrere lintera popolazione alla difesa delle cinte.
Lesercito turco si spiegava allora per la tenebrosa pianura, in masse enormi, pronto a tentare un assalto generale.
Suonavano pure le trombe turche e rullavano i timballi della cavalleria. Urla spaventevoli si alzavano di quando in quando, echeggiando sinistramente agli orecchi dei guerrieri veneti e si udivano, nei brevi momenti di silenzio, le grida dei muezzin che incoraggiavano e fanatizzavano i figli dellIslam.
Nel nome di Allah! Distruggete! Uccidete! Non vi è Dio fuor di Dio e Maometto è il suo Profeta!
La difesa dei cristiani si era concentrata sul bastione di San Marco, perchè sapevano che lo sforzo maggiore del nemico sarebbe stato volto verso quello, essendo la chiave di Famagosta.
I migliori capitani, fra i quali Tempesta, avevano radunate colà le loro compagnie e piazzate venti colubrine, scelte fra le più grosse.
Il fuoco di quelle numerose bocche, manovrate per lo più da marinai veneti, che godevano allora fama di essere valentissimi, doveva fare dei grandi vuoti fra le colonne turche che muovevano allattacco, compatte, sfidando serenamente la morte.
Anche dalle torri gli assediati sparavano furiosamente, massacrando specialmente la cavalleria che galoppava in tutti i sensi, per avvolgere completamente la città ed impedire la fuga degli abitanti ormai condannati al macello.
Il fuoco era stato appena ripreso, quando El-Kadur, che aveva lasciato il campo turco prima che gli assedianti si muovessero, scalò il bastione presentandosi a Capitan Tempesta:
Signora, disse con un forte tremito nella voce, fissandolo con estrema ansietà. Ecco, lora terribile sta per suonare per Famagosta. A meno dun miracolo, domani la città sarà nelle mani degli infedeli.
Siamo tutti pronti a morire, rispose la duchessa con accento di rassegnazione. E il signor Le Hussière?
Lo salverà Iddio.
Vi è forse ancora tempo per fuggire. Coperta dal mio mantello arabo potresti passare inosservata fra la confusione orribile che succederà fra poco.
Sono un soldato della Croce, El-Kadur, rispose la duchessa con fierezza. Io non priverò Famagosta duna spada che saprà fare il suo dovere.
Pensa, signora, che domani forse non sarai più viva, perchè io so che il gran vizir ha ordinato di passare tutti a fil di spada.
Sapremo morire da forti, rispose la duchessa, soffocando un sospiro. Se è scritto che nessuno di noi sopravviverà a questo memorando assedio, si compia il nostro destino.
Non vuoi venire dunque, signora? insistette El-Kadur.
È impossibile: Capitan Tempesta non può disonorarsi dinanzi alla cristianità.
Ebbene, padrona disse larabo con una specie di esaltazione, Morrò anchio al tuo fianco.
Poi aggiunse fra sè:
La morte spegne tutto ed il povero schiavo riposerà tranquillo.
Intanto il cannoneggiamento era diventato terribile. Le duecento colubrine turche, una artiglieria formidabilissima per quei tempi, avevano aperto il fuoco a loro volta, tempestando con violenza inaudita i bastioni e le torri già semi-diroccate da tanti mesi dassedio.
Palle di ferro e palle di pietra cadevano in gran numero sulle opere di difesa, facendo strage dei difensori, e scariche di moschetteria si succedevano senza posa. La tenebrosa pianura pareva un mare di fuoco ed il rimbombo era così spaventevole che i bastioni tremavano e si sgretolavano, rovinando nei fossati sottostanti.
I guerrieri veneti, quantunque oppressi da quella grandine micidialissima, non si scoraggiavano e aspettavano a pié fermo lurto immane delle sterminate orde, che muovevano allassalto con un vociare che pareva lululato di miriadi e miriadi di lupi famelici, bramosi di carne umana.
Tutti gli abitanti che potevano ancora reggere unarme, erano accorsi sui bastioni armati di picche e di alabarde, di spadoni e di mazze, invasi da un pazzo furore, mentre le loro donne ed i fanciulli si rifugiavano, urlando e piangendo, nella chiesa principale, sotto una pioggia incessante di bombe che diroccavano le ultime case, come se là dentro fosse bastato il ruggito del morente Leone della Repubblica Veneta a trattenere gli adoratori della Mezzaluna e di Maometto.
Un frastuono orrendo copriva Famagosta, Le torri, smantellate dalle artiglierie nemiche, crollavano con immenso fragore, e le cinte si sfasciavano travolgendovi gli sfortunati difensori, mentre le schegge delle enormi palle di pietra volavano dovunque, mutilando guerrieri, donne e fanciulli.
Astorre Baglione, governatore generale, assisteva impassibile a quella strage, appoggiato alla sua spada, aspettando, col cuore stretto però da unangoscia inesprimibile, lurto supremo.
Ritto in mezzo ai suoi capitani, impartiva con voce tranquilla gli ordini, già rassegnato da lunga pezza al suo destino e pronto a sfidare la morte.
Sapeva che il vizir non lo avrebbe risparmiato, se fosse uscito vivo da quella lotta formidabile e guardava serenamente il pericolo che lo minacciava da tutte le parti, esempio ammirabile di gran capitano.
Le masse turche intanto, spalleggiate dalla formidabile artiglieria che batteva fieramente le cadenti mura di Famagosta, savanzavano sempre imperterrite, aizzate senza posa dalle urla dei muezzin.
Uccidete! Sterminate! Il Profeta e Allah ve lo comandano!
I giannizzeri si erano messi alla testa e quei terribili soldati si spiegavano sempre più nella pianura, trascinando allassalto gli albanesi e gli irregolari dellArabia e dellAsia Minore.
I minatori che li precedevano, non perdevano il loro tempo. Approfittando della confusione e delloscurità, si spingevano con pazza temerità sotto i bastioni e sotto le torri e, non badando a saltare in aria, facevano scoppiare barili di polvere per aprire delle brecce che permettessero alla fanteria di spingersi allassalto.
Era specialmente contro il bastione di San Marco che saccanivano maggiormente, minandolo da tutte le parti. Spaventevoli detonazioni si succedevano senza tregua, sconquassando la rivestitura esterna e facendo crollare le merlature.
Ciononostante i pochi figli delle lagune venete e delle scogliere dalmate non cessavano il fuoco, decimando crudelmente le colonne degli infedeli, i quali seminavano la pianura di morti e di feriti.