Gli ultimi flibustieri - Emilio Salgari 7 стр.


 Padri, disse, quando stavano per risalire la scala, ormai persuasi di aver relegati per sempre tutti gli spiriti maligni allinferno. Io non ho dellolio da offrirvi per le vostre lampade, perché sono un povero diavolo. Accettate però pel vostro disturbo questo caratello di vecchio Alicante.

 Grazie, buon figliuolo: servirà pei feriti che ricoveriamo al convento.

Don Barrejo lo mise sulle spalle del sagrestano-ranocchio e la comitiva ritornò nella taverna e quindi uscí nella via.

 Dieci giornate come questa, disse il guascone, quando i frati se ne furono andati e la porta fu chiusa, ed a te, mio povero don Barrejo, non rimarrà altra alternativa che di chiudere bottega per mancanza di vino.

Che buco hanno fatto questoggi fra Mendoza, Buttafuoco, il Pfiffero, la ronda e poi i frati per sopra mercato.

Al diavolo anche i fantasmi!

Panchita!

Una voce che veniva dal di sopra rispose:

 Vieni a dormire, Pepito.

 Lascia che faccia i conti della giornata, rispose il guascone. Abbiamo lavorato molto questoggi. Laffare delleredità del Gran Cacico del Darien mi ricompenserà però largamente delle perdite, aggiunse poi a mezza voce.

Stava per aprire un vecchio registro, tutto sgorbio e macchie dinchiostro, dove nessuno avrebbe potuto certamente raccapezzarsi, fuorché il proprietario della taverna dEl Moro e sua moglie, quando si udí picchiare alla porta.

 Tonnerre! esclamò il guascone, il quale cominciava a perdere le staffe. È proprio scritto che questa notte io non debba né fare i miei conti, né andare a dormire? Al diavolo tutte le ronde di Panama.

Si alzò, scaraventando lontano lo sgabello su cui stava seduto, prese per precauzione la sua draghinassa ed aprí la porta.

Due uomini daspetto poco rassicurante, con ampi ferraiuoli e cappellacci immensi, tentarono di entrare, mentre uno di loro chiedeva:

 È vero che la vostra taverna è piena di spettri? Noi non abbiamo paura nemmeno del diavolo e vi offriamo di tenervi compagnia fino a domani mattina.

 Chi ve lo ha detto? gridò don Barrejo, mostrando la draghinassa.

 Abbiamo veduto i frati uscire poco fa dalla vostra taverna.

 Ebbene, giacché non avete paura nemmeno del diavolo, andate a tenere compagnia a lui. Io non ho bisogno di nessuno.

E chiuse senzaltro la porta sul viso dei due sconosciuti, accompagnando il colpo con un tonnerre dei piú formidabili che fossero usciti mai dalle sue labbra.

 Questa è una notte dinferno, borbottò il bravuomo. O questi spettri faranno la fortuna della mia taverna o rovineranno completamente le mie tasche e porteranno via anche la lunga catena doro di Panchita.

Birbante di Mendoza! Quando centra lui, porta ovunque la rivoluzione. È vero che anche don Barrejo, che è qui che mi ascolta, quando ci si mette fa le sue.

Aveva appena terminato i conti della giornata, constatando unuscita di trenta bottiglie non pagate, senza contare il caratello regalato ai frati, quando fu di nuovo picchiato alla porta.

 Cane dun lume! esclamò il guascone, furioso. È questo che mi tradisce.

Riprese la draghinassa e per la seconda volta aprí.

Si trovò di fronte a tre o quattro altri individui di dubbia cera, i quali gli chiesero tutti ad una voce:

 È qui che ci sono gli spettri? Siamo venuti per spazzarli via.

 Basta la mia scopa! gridò don Barrejo. Tonnerre! Lasciate che i galantuomini, che hanno lavorato quindici ore su ventiquattro, si prendano un po di riposo. Filate!

Vedendo il guascone a roteare minacciosamente la draghinassa, anche quegli ultimi nottambuli se la diedero a gambe sotto la pioggia sempre scrosciante.

 Che vengano a prendermi a gabbo? si chiese don Barrejo, il quale perdeva la pazienza. Il primo che viene a seccarmi ancora, lo afferro per la gola e lo mando a tenere compagnia a compare Pfiffero, parola di guascone.

La notte è perduta, è quindi inutile guastare il sonno della mia dolcissima metà.

Scosse tre o quattro bottiglie ed avendone trovata una semipiena la svuotò in due colpi, poi si allungò su due sedie, appoggiandosi contro il tavolino.

Il suo sonno non durò molto, poiché fu interrotto ben presto dallo squillare delle duecento campane che contava allora Panama e che tutte insieme formavano un tale baccano da scuotere anche i morti.

Quel breve sonno però lo aveva rimesso completamente in gambe, non avendo ancora dimenticato le sue vecchie abitudini davventuriero.

Aveva appena data la voce a Panchita perché si alzasse, quando udí bussare discretamente alla porta.

 Che sia un altro che viene a vedere i fantasmi? si chiese. Tonnerre! Gli romperò la testa con un colpo di bottiglia.

Brontolando e bestemmiando, andò ad aprire e si ritrovò davanti un ragazzo indiano di dodici o quattordici anni, daspetto furbesco ed intelligentissimo, con occhi di fuoco e la pelle dai riflessi ramigni.

 Che cosa vuoi tu, furfante? Gli chiese don Barrejo.

 Prendete, da parte di Buttafuoco, rispose il ragazzo, consegnandogli il biglietto piegato in quattro.

Poi se ne fuggí, piú lesto dun cervo, prima che il guascone avesse pensato a trattenerlo, scomparendo ben presto fra le fitte cortine di pioggia, non essendo il cattivo tempo ancora cessato.

 Qui dentro ci devono essere delle grandi novità, borbottò il guascone, girando e rigirando la carta fra le dita. Saprò io decifrare questi sgorbi? Quel caro Buttafuoco ama troppo la scrittura.

Bah! Una mania anche quella!

Allargò, come aveva labitudine, le sue lunghe e magrissime gambe, simili ad un immenso compasso, si mise una mano sul fianco destro e colla sinistra si cacciò sotto gli occhi la carta che era coperta di lettere grosse come ditali, poiché anche i gentiluomini allora si occupavano di frequentare piú le sale di scherma che la scuola.

Il guascone non era della forza del gentiluomo francese, quantunque anche lui avesse prese delle lezioni dal curato del suo villaggio, sicché dopo una mezza dozzina di tonnerre, pronunciati su tutti i tuoni davvero, dovette rinunciare e darsi del triplice asino.

Fortunatamente la bella taverniera era già scesa, e siccome ne sapeva molto piú di lui, non le riuscí difficile decifrare quegli sgorbi.

Quali terribili notizie conteneva quel bigliettino! La contessina di Ventimiglia scomparsa e probabilmente prigioniera del marchese di Montelimar; Buttafuoco e Mendoza assaliti e con un altro prigioniero da unire al Pfiffero; la necessità quindi di mettere insieme i due uomini dentro la botte e di trasportarli altrove, per evitare delle sgradite sorprese da parte della polizia.

 In conclusione, che cosa vuole Buttafuoco? chiese don Barrejo, il quale si grattava furiosamente la testa.

 Che questa sera tu gli conduca il fiammingo alla posada, senza levarlo dalla botte.

 Diventano pazzi questi avventurieri scatenati? Il rapimento della contessina deve aver fatto perdere loro la testa.

 Io credo il contrario, invece, Pepito mio, disse Panchita.

 Ti sbarazzano di quelluomo che per noi costituisce un continuo pericolo.

Pensa che cosa succederebbe se le guardie lo scoprissero dentro la botte.

 Tu ragioni meglio del curato del mio villaggio, che si ostinava a cacciarmi in testa, come tanti chiodi, degli a e dei b. Condurre via quella botte non sarà cosa facile.

È bensí vero che non sarò cosí stupido da farla viaggiare in pieno giorno.

Tra là là, ci sono!

 A che cosa?

 Il problema è sciolto, disse il guascone, prendendo una bottiglia daguardiente e riempiendosi un bicchierino. Ad ogni passo io scopro una nuova America.

 E con tutte queste scoperte io non vedo altro che te che ti attacchi alla bottiglia dellaguardiente, disse la bella castigliana.

 Questa sera, prima del tramonto, andrai a chiamare tuo fratello. Egli è forte e grosso come un toro e fra noi due la botte verrà portata fuori dalla cantina.

Raccomandagli di noleggiare un carretto qualunque per caricare il Pfiffero e anche laltro che si trova nella posada.

Come vedi, non ci voleva molto studio a risolvere la questione.

Quella invece che farà sudare sarà laltra: la scomparsa della contessina di Ventimiglia.

 Vuoi occuparti anche di quella? chiese la castigliana, con inquietudine.

 Quandè che i guasconi hanno dimenticato gli amici? chiese don Barrejo, con voce grave, mettendosi le mani sui fianchi ed allargando piú che poté le sue gambe. Ohé, Panchita, vi permettete delle osservazioni fuori di luogo.

 Io penso alla tua vita, Pepito, che può correre, da un momento allaltro, qualche grave pericolo.

 I guasconi, quando hanno una draghinassa al fianco, sanno difendersi contro tutti gli spadaccini di questo e dellaltro mondo. Ricordatelo Panchita.

Tracannò un altro bicchierino di aguardiente e andò a sedersi presso la porta, osservando le persone che passavano.

La storia degli spettri, colla relativa visita dei frati, doveva essersi sparsa fra gli a abitanti del quartiere, poiché presso gli angoli delle case si raggruppavano delle vecchie comari le quali si additavano, dopo il segno della croce, la taverna dEl Moro.

Don Barrejo fingeva di non accorgersi di nulla e poi si occupava piú di certi tipi, che non aveva mai veduti bazzicare la sua osteria e che passavano e ripassavano, coi feltri inclinati insolentemente su un orecchio e le spade bene in vista.

 Se quei corvi credono di farmi paura, singannano, borbottò il guascone. Devono essere tutte spie del marchese di Montelimar, perciò niente vino per loro.

E mantenne la parola. A piú riprese, alcuni di quegli individui sospetti, entrarono nella taverna chiedendo da bere, però don Barrejo, colla scusa che le botti erano state benedette troppo di recente e che i fantasmi potevano ritornare, un po scherzando e un po colle brusche li fece sloggiare al piú presto.

Quel giorno la taverna dEl Moro non vendette un bicchiere di vino, poiché la cera burbera del proprietario aveva fatto scappare tutti.

Verso sera, mentre luragano si rinnovava colla solita violenza, essendo Panama una città soggetta alle grandi siccità e anche agli interminabili acquazzoni, Panchita lasciava la taverna, mentre il marito chiudeva con fracasso le porte, per avvertire i vicini che non voleva essere disturbato.

Da un armadio aveva tratta una corazza irrugginita ed un elmetto e si era messo a strofinare vigorosamente or luna ed or laltro, continuando a borbottare come era sua abitudine.

Quando le credette abbastanza lucide, prese un lume ed una bottiglia di aguardiente, che aveva già prima sturata, e scese nella cantina, per vedere in quali condizioni si trovava il suo Pfiffero.

Scalò la grossa botte, alzò il coperchio e si lasciò cadere entro lampio recipiente, badando di non calpestare il povero fiammingo, il quale stava rannicchiato in fondo.

 Ohé, mastro Arnoldo! chiamò don Barrejo, scuotendolo vigorosamente. A che punto siamo della vostra digestione?

Dapprima non ottenne per risposta che un rauco brontolio, poi le labbra del disgraziato, si agitarono come se volessero pronunciare qualche parola.

 Dite su, mastro Arnoldo, disse il guascone, mettendogli la lampada sotto il viso. Avete sete?

 Si da pere

 Sempre ai vostri ordini, mastro Arnoldo.

Glintrodusse in bocca il collo della bottiglia e lo tenne fermo finché gli parve conveniente.

Guardò la bottiglia attraverso la luce: era mezza vuota.

 Eccellente, è vero, mastro Arnoldo? chiese. Scommetto che non ne avete bevuto mai di simile da quando siete nato.

Il fiammingo non rispose. Fulminato da una seconda sbornia, si era raggomitolato su sé stesso, ricominciando a russare.

 Lasciamolo riposare tranquillo, borbottò don Barrejo. Sarebbe unimprudenza se gli facessi inghiottire tutto il contenuto della bottiglia.

Risalí rimise a posto il coperchio, badando che non combaciasse, e tornò nella taverna per indossare la corazza e mettersi in testa lelmetto.

 Eccomi tornato armigero, disse, con sospiro. Ah! Quelli erano bei tempi! Le draghinasse non avevano il tempo di arrugginirsi.

Chissà che non ritornino.

Un quarto dora dopo, Panchita, tutta inzuppata dacqua, era di ritorno, accompagnata da un belluomo sui trentanni, bruno come un indiano, con due baffoni neri che gli davano un aspetto marziale. Don Barrejo non aveva esagerato quando aveva detto a Panchita che il di lei fratello era grosso e forte come un toro, poiché infatti il nuovo venuto doveva possedere certi muscoli, da rompere a pugni le costole anche ad un bue.

 Hai condotto il carretto Rios? Gli chiese don Barrejo.

 Sì, cognato, rispose il belluomo.

 Sai che cosa dobbiamo fare?

 Mia sorella mi ha spiegato ogni cosa.

 Hai portato con te almeno una spada? Lavventura potrebbe finire maluccio.

 Tu sai che io maneggio meglio il randello e me ne sono portato uno di quei solidissimi.

 Allora sbrighiamoci: Panchita, fa lume.

I due uomini scesero nella cantina, alzarono non senza fatica la grossa botte e la trasportarono, dopo un lavoro laborioso, su un carretto che stava fermo dinanzi la porta della taverna, collocandovela diritta per non disturbare il sonno del fiammingo.

 Chiudi subito e non aprire a nessuno, disse don Barrejo a Panchita.

 E tu, quando tornerai? In quale avventura timbarchi, Pepito mio? Eravamo cosí tranquilli prima!

 Quando si tratta dun tesoro come quello del Gran Cacico del Darien, non vi è da esitare a mettervi le mani sopra, moglie mia, rispose il guascone. E poi ho nelle vene il sangue di centomila avventurieri e cominciavo ad invecchiare troppo presto nella mia taverna.

Ti rimanderò Rios, il quale ti terrà compagnia durante la mia assenza.

Labbracciò, poi si mise dietro al carretto, mentre il robusto castigliano tirava piú forte dun mulo.

La notte non era migliore della precedente. Il vento soffiava con mille ululati attraverso le vie oscure, strappando le larghe foglie delle splendide palme e devastando i giardini, e la pioggia non cessava un solo istante di cadere.

Il fratello di Panchita e don Barrejo, luno tirando e laltro spingendo, erano giunti allestremità della via, quando sincontrarono in tre individui, i quali si divertivano a prendersi lacquazzone, chiacchierando tranquillamente.

 Ohé, dove si va a questora con quel po po di vino? gridò uno dei tre, avanzandosi verso il carretto.

 Al porto, rispose asciuttamente don Barrejo.

 Si potrebbe assaggiarlo, prima che se lo bevano tutto i peruviani od i cileni?

 È merce sigillata, ripose il guascone, continuando a spingere.

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