Il capitano Weimar mandò due uomini sulla gran gabbia, affinchè fossero pronti a segnalare le isole Diomede che sorgono in mezzo allo stretto, e contro le quali poteva venire spinto il «Danebrog».
Alle 10 una raffica furiosa si rovesciò sulla nave, la quale, presa di traverso, fu violentemente rovesciata su di un fianco. Un immenso grido di spavento echeggiò sulla coperta mescendosi a urli della tempesta. Tutti i marinai credettero che non si risollevasse mai più.
Fortunatamente Koninson, che si trovava presso i bracci della vela di maestra con pochi colpi di scure tagliò le manovre. Ciò bastò perchè la nave riprendesse il suo equilibrio prima che le onde si precipitassero sulla tolda.
Quasi subito successe una breve calma. Le nubi, violentemente squarciate da quel furioso colpo di vento, mostrarono per alcuni istanti il sole, che in quelle latitudini elevate, nella stagione estiva, si può dire che non tramonta mai.
Leffetto prodotto da quella luce dorata sullo sconvolto mare fu stupendo, ma durò pochi istanti. Le nubi richiusero quello strappo, la semi-oscurità tornò a stendersi sui flutti e il vento ricominciò a ruggire con maggior forza, spingendo innanzi a sè la nave, alla quale non restavano più che la vela di trinchetto e la randa dellalbero di mezzana.
Ad un tratto si udirono i gabbieri gridare:
Terra a prua!
Il capitano affidò il timone a mastro Widdeak e si slanciò, nonostante i violenti rollii, a prua dove laveva già preceduto il tenente.
Ad una distanza di quattro miglia il mare si sollevava a prodigiosa altezza intorno al gruppo delle Diomede formato dallisola Ratmanoff che è la più grande, dalla Krusenstern che è la mezzana e da Ferway che è un arido scoglio.
Bisogna tenersi al largo assai, capitano! disse il tenente
Mi metterò io al timone! rispose Weimar. Fate preparare alcune vele di ricambio.
Temete che scappino quelle spiegate?
Se giunge una raffica forte quanto quella di prima non potranno resistere, ne son certo.
Il capitano ritornò a poppa e prese la ribolla del timone mentre il tenente faceva portare in coperta alcune vele.
Il «Danebrog» era giunto nello stretto, il quale è largo ben 83 chilometri fra il capo orientale dellAsia e il capo di Galles dellAmerica e profondo assai.
Qui il mare era orribilmente agitato. Le onde, spinte dal vento, si schiacciavano, per così dire, fra due coste, quantunque, come si disse, queste siano assai distanti luna dallaltra; e si frangevano furiosamente contro le isole lanciando sprazzi di spuma a tale altezza che questi toccavano le nere frange delle nubi.
A mezzanotte il «Danebrog» giungeva dinanzi allisola Ratmanoff, sulla quale volteggiavano disordinatamente migliaia di uccelli marini.
Dimprovviso, quando i marinai si credevano già quasi fuori di pericolo, una raffica furiosa investì la nave che tuffò più di mezza prua nel seno degli spumanti flutti. Gli alberi si curvarono come fossero semplici stecchi, poi si udirono due scoppi violenti seguiti da urla di terrore. Le due vele strappate dai pennoni volarono via come due immensi uccelli. Il capitano Weimar, malgrado il suo straordinario coraggio, impallidì.
Una vela! Una vela o siamo perduti! gridò.
Infatti il «Danebrog», senza un brano di tela, veniva spinto dalle onde e dal vento contro lisola Ratmanoff che mostrava i suoi scogli a meno di quattro gomene di distanza.
Il tenente, Koninson, mastro Widdeak e una decina di marinai malgrado le disordinate scosse che li atterravano, tentarono di spiegare una trinchettina, ma le onde che si precipitavano in coperta e i soffi tremendi del vento, rendevano quelloperazione quasi impossibile.
Tre volte la vela fu innalzata fino al pennone e tre volte il vento labbattè e con essa gli uomini.
Allora un grande spavento si impadronì del lequipaggio. Alcuni marinai perduta completamente la testa per il terrore, si misero a correre per la coperta sordi ai comandi e alle minacce dei capi. Altri, non meno spaventati, si gettarono sulle baleniere.
Il «Danebrog», semi-rovesciato su un fianco, coperto dacqua ad ogni istante, andava sempre attraverso le onde malgrado gli sforzi disperati del capitano che non aveva abbandonato la ribolla.
Ad un tratto avvenne un urto formidabile sul tribordo, seguito da un crepitio sinistro. Il capitano, il tenente e i marinai furono violentemente rovesciati in coperta.
Quando si risollevarono il «Danebrog» non correva più. Si era arenato a una sola gomena dallisola, in mezzo ad un gruppo di scoglietti le cui punte nere uscivano dalle onde.
V. LISOLA RATMANOFF
Il capitano Weimar sentendo la nave ferma e comprendendo che forse una grave avaria le era toccata, gettò un vero ruggito.
Con un vigoroso colpo di timone tentò dapprima di trarla da quegli scogli che potevano, da un istante allaltro, sventrargliela, ma non riuscendovi si precipitò verso prua dove si affollavano i marinai gettando grida di terrore. Hostrup, che anche in quel terribile frangente, che pur poteva diventare per tutti fatale, non aveva perduto un millesimo della sua tranquillità, vi era già.
Perduti? gli chiese il capitano col denti stretti.
Forse no! rispose con voce calma il tenente.
Il capitano respinse alcuni marinai e salì sul bompresso. Il «Danebrog» posava la prua su di un banco di sabbia, riparato a destra e a sinistra da una doppia fila di scoglietti. La poppa però galleggiava e se da una parte era un bene, dallaltra era anche un male poichè le onde, sollevandola violentemente minacciavano di disarticolare il vascello.
Che ci sia una falla? chiese il tenente,
Lo temo! rispose Weimar Mi pare di vedere unapertura un po sotto la linea di galleggiamento. Ira di Dio! Anche questa disgrazia doveva toccarci! Non bastava dunque la speronata dellamericano? Povero il mio «Danebrog»!
Ma forse la cosa non è grave, capitano.
Ma chi turerà la falla? Qui siamo come in mezzo ad un deserto.
Abbiamo un abile carpentiere a bordo.
Scendiamo nella stiva, signor Hostrup.
I due comandanti fecero aprire il boccaporto maestro e scesero nel ventre del vascello preceduti da Koninson e da mastro Widdeak che avevano accese due lanterne. Rimosse le botti che occupavano la stiva, si diressero verso prua dove si arrestarono, ascoltando con profonda attenzione.
Udirono distintamente un sordo gorgoglio, dovuto senza dubbia allacqua che entrava nella falla apertasi.
Sarà grande lapertura? si chiese con ansietà il capitano.
Non lo credo, disse mastro Widdeak. Il gorgoglio non è molto forte.
Dobbiamo levare le botti? chiese Koninson.
Per ora è inutile, disse il tenente. Finchè la burrasca non sarà cessata, nulla potremo fare.
Non cè pericolo di colare a picco?
No, disse il capitano. Il «Danebrog» è fortemente incagliato e la poppa è molto alta. Saliamo in coperta.
Abbandonarono la stiva e tornarono sulla tolda ove i marinai, ancora pallidi, li attendevano con grande ansietà. Il capitano con poche parole li rassicurò.
Pel momento nulla eravi da fare, poichè luragano continuava a infuriare in siffatta maniera da rendere impossibile la calata delle baleniere.
Il capitano fece gettare unàncora a poppa per assicurare maggiormente il vascello, e altre due ne fece gettare fra gli scoglietti, a babordo luna e a tribordo laltra. Ciò fatto attese, in preda ad una certa agitazione che non riusciva a vincere, che il mare si calmasse.
La sua pazienza e quella dellequipaggio furono messe a dura prova, poichè luragano infuriò tutto il giorno, scuotendo fortemente la nave che gemeva sinistramente sul suo letto di sabbia.
La sua pazienza e quella dellequipaggio furono messe a dura prova, poichè luragano infuriò tutto il giorno, scuotendo fortemente la nave che gemeva sinistramente sul suo letto di sabbia.
Verso però le 11 pomeridiane quei formidabili soffi a poco a poco scemarono di violenza e attraverso gli squarciati vapori tornò a mostrarsi il sole che allora radeva lorizzonte occidentale.
Alla mezzanotte una calma assoluta regnava negli strati superiori, e laria, poco prima così agitata e fredda, era diventata così tiepida da far quasi credere di essere nel Messico anzichè nello stretto di Behring. Il mare però mantenevasi ancora agitatissimo e continuava a infrangersi con grande violenza contro le isole, inoltrandosi nei «fiords» con muggiti prolungati.
Lindomani, 2 settembre, a bassa marea il capitano, il tenente, Widdeak e il carpentiere scesero in una baleniera e approdarono sul banco dove la prua del vascello era rimasta quasi interamente allo scoperto.
Lavaria causata dal violentissimo urto era gravissima ma non irreparabile. A pochi piedi dallasta di prua, subito sotto la linea di galleggiamento, la punta aguzza di uno scoglietto aveva aperto un buco così grande che vi poteva passare comodamente un barile. La chiglia fortunatamente non aveva riportato alcun guasto, avendo incontrato un banco di sabbia, in cui vi si era quasi interamente seppellita,
Che ne dici, carpentiere? chiese il capitano con inquietudine.
Il colpo è stato fierissimo, rispose linterrogato, e la falla è ragguardevole. Però....
Però? disse il capitano, nei cui sguardi brillò un lampo di gioia.
La si turerà.
Quanto tempo chiedi? Bisogna che sia breve affinchè possiamo approfittare della gran marea del 12 settembre.
Per quel giorno il Danebrog sarà pronto a prendere il mare.
E quando avremo lasciato il banco, dove andremo? chiese il tenente che caricava flemmaticamente e con profonda attenzione la sua pipa.
Vi spiacerebbe seguirmi verso il nord? disse il capitano, guardandolo fisso fisso.
Ne sarei lietissimo, signore.
Il capitano gli prese la destra e gliela strinse fortemente.
Siete un bravuomo, signor Hostrup.
Mi sta sul cuore la scommessa, signor Weimar, rispose Hostrup. E da parte mia rischierò senza esitare la mia vita, pur di tenere sempre alta la fama dei balenieri danesi.
Grazie, tenente. Ed ora, carpentiere, al lavoro.
Dovendosi approfittare della sola bassa marea, il carpentiere si mise alacremente allopera, aiutato da una squadra di marinai che su unaltra baleniera gli avevano recato gli attrezzi necessari, una considerevole quantità di legname e parecchie grosse lastre di rame, mentre alcuni altri sgombravano la prua delle botti che loccupavano e mettevano in opera le pompe per estrarre lacqua entrata dalla falla.
Il tenente Hostrup, che di simili lavori si intendeva poco, tornò a bordo a prendere il suo fucile.
Faremo una passeggiata sullisola, disse a Koninson. Vedo dei grossi uccelli e forse nei «fiords» si nasconde qualche foca o qualche tricheco. Prendi un fucile e seguimi....
Maneggio meglio il rampone che le armi da fuoco, tenente, rispose il fiociniere. Voi penserete ai volatili e io alle foche.
Come vuoi, amico.
Simbarcarono sul piccolo canotto e presero il largo girando attorno agli scoglietti sui quali venivano a rompersi le ultime onde sollevate dalluragano.
Arrancando con lena, in brevi istanti raggiunsero lisola, ma da quella parte la costa non offriva approdi, essendo tagliata quasi a picco e molto alta. Attorno vi volteggiavano numerosi uccelli marini, i quali fra i crepacci avevano piantato i loro nidi.
Proseguendo, i due cacciatori scoprirono ben presto un piccolo «fiord», il quale terminava in una sponda bassa coperta in parte duna sabbia finissima e in parte di ciottoloni neri e arrotondati dal continuo lavorio delle onde.
Legarono il piccolo canotto ad una rupe e balzarono a terra portando le loro armi.
Lisola offriva un brutto aspetto. Qua e là si rizzavano delle alture aridissime, più oltre delle grandi rocce nere nei cui crepacci scorgevansi alcuni magri licheni, qualche rosa canina selvatica, o qualche pianticella di ribes o di uva spina.
Che desolazione! esclamò Koninson. Troveremo almeno delle foche?
Lo spero, fiociniere, rispose il tenente. Una volta qui erano talmente numerose, che alcuni balenieri vi facevano i loro carichi dolio; oggi però, in causa delle cacce accanite, non se ne incontrano che pochissime.
Dovevano, distruggerne un numero enorme quei balenieri per fare un carico intero.
Delle migliaia, Koninson.
Allora non tarderanno a sparire dappertutto.
Ciò avverrà sicuramente e forse fra non molto. Già le sponde dellAmerica settentrionale cominciano a essere spopolate.
Che disgrazia! E dire che sono animali così inoffensivi! Se la prendessero almeno cogli orsi bianchi, quei balenieri paurosi.
Dato uno sguardo alle rive, i due cacciatori si addentrarono nellisola, ove gli uccelli si mostravano talmente numerosi da oscurare talvolta la luce del sole.
Ora passavano immense bande di urie, uccelli dalle penne nere e bianche, il becco lungo e dritto e le gambe collocate così indietro da costringere quei volatili a sedersi anzichè coricarsi; ora stormi di strolaghe, bellissimi uccelli col petto e il dorso neri, le ali macchiate e le parti inferiori di un bianco niveo, e ora lunghe file di oche bernine, grosse come unoca comune e che facevano un baccano indiavolato.
Per bacco! esclamò il tenente. Se si volesse fare un carico di uccelli la fatica non sarebbe molta.
Accontentiamoci di empire la dispensa del cuoco, disse Koninson. Allopera, signore.
II tenente si arrampicò su di una rupe, si accomodò sulla cima e di là cominciò a sparare contro le bande di volatili che gli passavano sopra, a destra, a sinistra e dinanzi senza mostrarsi spaventate.
In breve parecchi gabbiani, oche, urie e strolaghe si trovarono a terra colpite dal piombo del valente cacciatore. Koninson ammazzava gli uccelli feriti a colpi di rampone.
Quelle continue detonazioni finirono però collo spaventare i volatili, i quali si allontanarono dalla rupe volando verso le coste dellisola.
Siete un tiratore da far paura, disse Koninson al tenente, che raccoglieva le vittime. Cè qui tanta carne da nutrire per unintera settimana lequipaggio del «Danebrog».
E non ho ancora finito, fiociniere. Ho visto laggiù due grossi uccelli e conto di abbatterli.
Ammucchiarono le vittime sotto la sporgenza di una rupe e si rimisero in cammino riaccostandosi al mare, e precisamente verso un piccolo «fiord», sopra il quale volteggiavano due grandissimi uccelli dalle penne bianche e nere.
Cosa sono? chiese Koninson. Aquile forse?
Aquile qui? A me sembrano due albatros.
Ma gli albatros sono uccelli dei mari australi, signore.
Non ti dico, di no, ma non pochi di quei voraci giganti vanno a piantare i loro nidi, sulle isole dei mari della Cina e del Giappone e in giugno si spingono, sin qui.
La loro carne è eccellente?
Se devo dirti la verità, è coriacea; però tenuta qualche tempo nel sale e condita con una salsa piccante, non è sgradevole.
I due cacciatori giunsero ben presto al «fiord», ma i due albatros, un po magri si ma veramente giganteschi, le cui ali spiegate misuravano non meno di cinque metri, si allontanarono e così rapidamente, che in pochi istanti, furono fuori di vista.