Una stoccata terribile, marchesa rispose il medico, facendo una smorfia e tentennando il capo. Il suo avversario doveva avere un pugno ben solido.
Sperate di salvarlo?
Non posso darvi una risposta sicura, marchesa. Ritiratevi tutti a lasciatemi solo col mio aiutante. È necessario operare subito.
La marchesa, il maggiordomo e i servi si affrettarono a sgombrare.
Una pinza forte, Maurico disse il dottore quando furono soli, volgendosi verso laiutante.
Volete estrarre la lama, dottore?
Non posso certo lasciargliela nel petto!
Non morrà subito?
È quello che purtroppo temo. La punta deve aver offeso gravemente il polmone.
In quel momento il conte emise un profondo sospiro e alzò le braccia, posando le mani sul pezzo di lama che gli usciva dal petto.
Sta per tornare in sé disse il medico, il quale si era curvato sul ferito.
Il capitano emise un altro sospiro piú lungo del primo e che terminò con una specie di rantolo, poi alzò lentamente le palpebre e fissò il dottore con uno sguardo velato.
Voi balbettò.
Non parlate, signore.
Un sorriso contorse le labbra del conte.
Sono un uomo di guerra disse con voce spezzata. Sono finito è vero?
Il dottore scosse il capo senza rispondere.
Quanti minuti ho di vita? Parlate lo voglio.
Potreste vivere anche un paio dore, se non vi levo il pezzo di spada.
E levandolo? ditelo!
Pochi minuti forse, signor conte.
Mi basteranno per vendicarmi Ascoltatemi
Se parlate troppo vi ucciderete anche piú presto.
Un altro sorriso comparve sulle smorte labbra del capitano.
Ascoltatemi disse con suprema energia. Sulla lama vi è inciso un nome quello del mio avversario Voglio conoscerlo prima di morire.
Bisognerebbe levarvela dal petto.
Il conte fece un cenno affermativo.
Lo volete proprio? chiese il dottore.
Già morrò egualmente.
Maurico, le pinze.
Laiutante portò due piccolissime tenaglie, un pacco di cotone e delle fasce, per arrestare subito il sangue che sarebbe sgorgato dalla ferita.
Presto mormorò il conte.
Il medico afferrò la lama e la trasse, a piccole scosse, dal corpo. Il conte aveva stretto le labbra per non gridare. Dallalterazione del viso e dal sudore vischioso che gli copriva la fronte, si capiva quanto doveva soffrire.
Fortunatamente quella dolorosissima operazione non durò che pochi secondi: subito dalla ferita sgorgò un getto di sangue che laiutante fermò con delle bende.
Il nome il nome balbettò il capitano con voce spenta presto muoio
Il dottore pulí la lama lorda di sangue con un asciugamano, e vide apparire delle lettere incise sullacciaio, sormontate da una piccola corona di conte.
Enrico di Ventimiglia lesse.
Il capitano, nonostante la sua estrema debolezza ed il dolore che lo tormentava, si era quasi alzato a sedere, esclamando con voce rauca:
Ventimiglia! Un nome di corsari: il Rosso il Verde il Nero Un Ventimiglia! Tradimento!
Conte, vi uccidete! gridò il medico.
Ascoltate ascoltate la fregata giunta ieri è corsara la comanda quello vestito di rosso correte dal governatore avvertitelo fatela abbordare presto la città è in pericolo Muoio ma vendicheranno la mia morte Ah!
Il capitano era ricaduto sui guanciali. Rantolava ed impallidiva a vista docchio.
Il sangue filtrava attraverso le filacce e le bende arrossando la camicia e la giubba. Ad un tratto una spuma sanguigna comparve sulle labbra del disgraziato, poi le palpebre si abbassarono lentamente sugli occhi già spenti. Il capitano degli alabardieri di Granata era morto.
Maestro, disse laiutante al medico, il quale teneva sempre in mano il pezzo di lama che cosa farete ora?
Andrò ad avvertire subito il governatore. I Ventimiglia sono stati i piú tremendi corsari del golfo del Messico. Qualche loro figlio o parente è ricomparso in queste acque. Guai a noi se non si catturasse! Non ne parlare con nessuno, nemmeno con la marchesa.
Sarò muto, maestro.
Tu andrai ad avvertire il colonnello del reggimento di quanto è accaduto, perché venga trasportato in caserma, questo povero conte.
E voi?
Corro dal governatore.
Avvolse nellasciugamano la lama, poi aprí la porta. La marchesa di Montelimar, in preda ad una visibile commozione, aspettava nella sala vicina insieme al maggiordomo e alle sue cameriere.
Dunque, dottore? chiese.
È morto, marchesa rispose Escobedo. La ferita era terribile.
E non vi ha detto chi lo ha ucciso?
Non ha potuto parlare; deve aver avuto un duello, perché non aveva piú la spada nella guaina.
E ora?
Penso io a tutto. Prima dellalba il capitano sarà portato nella caserma o nel suo appartamento. Si potrebbe malignare sul conto vostro, se lo lasciassimo qui.
È quello che temevo.
Buona notte, marchesa. Mincarico io di ogni cosa.
CAPITOLO III. LA CORSA AI GALLI
Il giorno dopo, una folla gioconda, vestita di costumi svariati e variopinti, si accalcava nei dintorni del grandioso palazzo dei Montelimar. Vi erano ufficiali, soldati, piantatori, marinai e contadini, e non mancavano nemmeno le señore e le señoritas in abiti elegantissimi, con la graziosa manta sulle alte pettinature, quantunque lo spettacolo che stava per incominciare non dovesse interessarle gran che.
Si trattava della corsa al gallo, già annunziata dalla marchesa al conte de Miranda, o meglio al conte di Ventimiglia.
I coloni spagnuoli hanno sempre avuto due grandi passioni: i tori ed i galli! Strano contrasto fra una bestia enorme e temibilissima ed un povero ed innocuo pennuto!
Eppure non badavano a spendere per possedere dei buoni galli, specialmente quelli destinati a combattersi lun laltro, e scommettevano in questo barbaro gioco somme enormi.
Ma uno dei loro divertimenti favoriti era la corsa al gallo, inventata forse con lo scopo di formare degli abilissimi cavalieri, dei quali si aveva purtroppo molto bisogno per dare la caccia ai bucanieri, i formidabili alleati dei filibustieri, che minacciavano senza tregua le città di terra, mentre gli altri si occupavano di quelle marittime.
Il giuoco era semplicissimo, tuttavia non mancava di destare un vivissimo interesse fra i numerosi spettatori, sempre pronti a scommettere una piastra come anche mille.
Su una via diritta scavavano quattro o cinque buche e vi seppellivano altrettanti galli, in modo che tenessero fuori soltanto il collo, tenendo fermi quei poveri volatili con della sabbia e con delle pietre, ma in modo però che non avessero troppo a soffrire.
I cavalieri che prendevano parte a quello strano divertimento erano obbligati a passare a corsa sfrenata, curvarsi fino a terra e con una mano strapparli.
Non era una manovra facile, poiché esponeva il cavaliere ad una caduta che poteva avere gravissime conseguenze, anche se salutata da una clamorosa risata da parte degli spettatori. Il premio ordinariamente era un bacio sulla mano o sulla gota della piú bella signora che assisteva al divertimento; galanteria spagnuola che i rudi Yankees del diciottesimo secolo dovevano piú tardi imitare.
Quattordici cavalieri, montati tutti sui piccoli ed eleganti cavalli andalusi, si erano presentati alla corsa, allineandosi dinanzi al palazzo dei Montelimar. Erano quasi tutti giovanotti, figli di piantatori o di pezzi grossi dellammiragliato, ansiosi di baciare le gote della piú bella vedova di San Domingo.
Spiccava però tra loro il conte de Miranda, sempre vestito di rosso, elegantissimo, che montava un cavallo andaluso tutto nero, dagli occhi ardenti, acquistato la mattina stessa a caro prezzo. Vedendo comparire la marchesa sullo scalone di marmo del palazzo, il conte si era levato il feltro rosso adorno duna lunghissima piuma e si era chinato sul cavallo.
La bella vedova rispose con un sorriso e con un grazioso gesto della mano, poi prese subito posto in una specie di tribuna eretta dinanzi ai palazzo, insieme al suo maggiordomo e alle donne della casa.
Quattro galli erano stati seppelliti, ad una distanza di venti metri luno dallaltro. I disgraziati pennuti facevano sforzi disperati per liberarsi da quella incomoda prigionia, allungando il collo e cantando a piena gola, ma le pietre li trattenevano e impedivano loro di fuggire.
Due giudici di campo, due vecchi ufficiali in ritiro, si erano collocati ai due lati dei cavalieri per regolare la corsa.
Il pubblico, che era diventato numerosissimo, scommetteva intanto con vero furore e, sia per simpatia, sia per la bella figura, puntava di preferenza sul figlio del Corsaro Rosso.
Quale terribile sorpresa, se avesse saputo che giocava sul suo piú mortale nemico, su uno di quei tremendi filibustieri che avevano giurato la distruzione delle colonie spagnuole dellAmerica Centrale!
I due giudici di campo, dopo aver esaminato attentamente le bardature dei cavalli, perché non accadesse qualche disgrazia, si erano accostati al palco dove si trovava la marchesa.
Pronti? chiese uno.
Tutti risposero ad una voce i quattordici cavalieri, lanciando uno sguardo verso la marchesa di Montelimar.
Partite. disse laltro.
I cavalli, vivamente spronati, spiccarono un salto, poi si slanciarono con impeto irrefrenabile.
Il figlio del Corsaro Rosso aveva subito preso la testa del drappello, tenendo solamente il piede sinistro nella staffa per potersi piú facilmente curvare fino a terra.
Il suo morello, un cavallo scelto con cura, divorava la via con uno slancio straordinario, lasciandosi dietro di parecchi metri gli avversari.
Cavalcava cosí splendidamente, da suscitare un vero entusiasmo fra gli spettatori. Uomini e donne applaudivano fragorosamente quando passava davanti a loro, curvo sul collo del destriero, facendo ondeggiare la sua lunghissima piuma rossa. Il giovane cavaliere, giunse cosi addosso al primo gallo, con la velocità dun uragano, si piegò verso terra, tenendosi con una mano ben fermo al collo del cavallo e, lesto come un cavaliere arabo, afferrato il primo volatile, lo strappò dalla sua buca e lo alzò trionfalmente.
Un grido di entusiasmo, partito dalla folla, salutò il colpo maestro del cavaliere. Uomini e donne sventolavano i fazzoletti ed agitavano bastoni ed ombrelli, come se avessero assistito ad una corrida de toros. Il giovane rosso in quel momento veniva acclamato come uno dei piú famosi espadas del circo di Siviglia o di Granata.
Il conte strozzò il gallo e lo gettò ad un gruppo di mendicanti; poi, giunto allestremità della via, chiusa da uno steccato, fece fare al cavallo un fulmineo volteggio e riprese la corsa di ritorno.
I cavalieri che lo avevano seguito giungevano in quel momento quasi in gruppo serrato, ma tutti a mani vuote. Nessuno era stato fortunato, in quella prima corsa, ed i galli erano rimasti dentro la loro prigione.
Che pessimi cavalieri! mormorò il conte. Che spetti a me accoppare tutti questi volatili? La cosa sarebbe noiosa, se la vittoria non valesse un bacio alla piú bella donna di San Domingo.
Allentò le briglie e riprese la corsa, spronando col piede destro il suo morello, e tenendo come prima il sinistro libero, per potersi curvare con maggiore comodità.
Poiché aveva sugli avversari un vantaggio di oltre trenta metri, ed era solo, mentre gli altri galoppavano in gruppo, il conte raggiunse in un lampo il secondo gallo e lo strappò.
Non un grido, ma un vero urlo entusiastico salutò il cavaliere.
Viva il conte rosso! aveva gridato la folla, battendo freneticamente le mani.
Gli altri cavalieri avevano avuto pure qualche fortuna, poiché due di loro avevano strappato un gallo ciascuno. La vittoria peraltro era rimasta al conte, il quale aveva fatto da solo un doppio colpo.
Scese da cavallo e savvicinò alla marchesa che lo guardava sorridendo, e le mise sulle ginocchia il volatile dicendo:
Lo conserverete per mio ricordo, signora; cosí quando io sarò partito vi ricorderete qualche volta di me.
Volete dunque partire? chiese la bella vedova.
È probabile che questa sera io non sia piú a San Domingo rispose il conte.
Allora voi accetterete di far colazione con me.
Non rifiuto mai la compagnia duna signora, specialmente quando è bella e amabile come voi.
Ah, conte!
Si era alzata. Fece con la mano un gesto daddio ai cavalieri che stavano allineati dinanzi al palco scoperto, e salí lestamente il magnifico scalone di pietra, mentre la folla si disperdeva.
Il conte di Ventimiglia, laveva seguita insieme al maggiordomo e dalle donne di casa.
La marchesa gli fece attraversare parecchie sale riccamente decorate ed elegantemente ammobiliate, e infine entrò in un salotto da pranzo, non molto vasto, con le pareti coperte di cuoio rosso di Cordova e il soffitto dorato.
Nel mezzo una tavola era imbandita con posate e piatti doro e magnifici trionfi dargento contenenti le piú svariate frutta dei climi tropicali.
Non vi erano che due poltrone luna accanto allaltra.
Signor conte, disse la marchesa vi avverto che oggi non ho invitati: cosí potremo parlare liberamente come due buoni amici.
Vi ringrazio, marchesa, di questa delicata attenzione.
E poi devo chiedervi qualche informazione.
A me! esclamò il corsaro con stupore.
A voi! rispose la marchesa di Montelimar, sulla cui bella fronte era apparsa una leggera ruga.
E se vi dicessi che io desideravo vivamente rivedervi, prima di spiegare le vele, per chiedervi anchio uninformazione, che cosa direste?
Questa volta fu la marchesa che fece un gesto di sorpresa.
A me! esclamò. Mi conoscevate voi, conte, prima di gettare le vostre âncore in questo porto?
No: avevo solamente udito parlare dei Montelimar.
Di mio marito?
No, dun vostro cognato che molti anni or sono doveva coprire la carica di governatore di Maracaibo.
Infatti mio marito aveva un fratello governatore.
Lavete mai veduto quel Montelimar?
Sí, due anni or sono feci la sua conoscenza a Portorico.
Lentrata di quattro servi negri, i quali portavano le vivande su dei larghi piatti dargento cesellato e alcuni canestri contenenti polverose bottiglie, fece interrompere la conversazione.
Facciamo colazione ora disse la marchesa al conte. Gli uomini di mare devono esser dotati dun buon appetito e spero, signor de Miranda, che farete onore ai miei cuochi.
Quando suona la campana del mezzodí i nostri stomachi sono sempre pronti, marchesa. Se vedeste i miei marinai che terribile assalto danno alle tavole!
Mi piacerebbe assistervi.
Se rimanessi ancora qualche giorno nel porto sarei onoratissimo di ricevervi sulla mia nave. Disgraziatamente dubito di essere ancora qui domani.
Ma voi mi diceste che vi avevano mandato per proteggere la città da un assalto combinato fra filibustieri e bucanieri.
Questo pericolo non cè piú, ormai rispose il conte con aria un po imbarazzata. Mi avevano detto che parecchie navi sospette si erano vedute nelle acque di Jonaires, veleggianti verso il sud: stamane invece sono stato avvertito che si erano allontanate in direzione della Tortue. Andrò appunto a sorvegliare quei paraggi, per accertarmi della cosa.