«Che abbia intenzione di chiuderci il passo e dimpedirci di raggiungere la pagoda?»
«È nascosta in mezzo a questi mindi, signore. Non perdete di vista quelle piante».
I loro compagni si erano fermati stringendosi attorno ai due prigionieri ed armando le carabine.
Tremal-Naik, dopo daver atteso un po, passò in testa al drappello unendosi a Yanez ed al capo dei cacciatori.
«Non si va dunque?» chiese. «Vorrei vedere quale sarà la belva che avrà tanto fegato da gettarsi su di noi. Apriamoci il passo colla forza, amici».
«Preferisco aspettare» rispose il portoghese. «Se noi facciamo fuoco i paria sapranno regolarsi intorno al posto da noi occupato e non tarderebbero a piombarci addosso».
«Tu puoi aver ragione, ma io ti dico che qualunque cosa deva succedere è meglio affrettarci. Io sono più certo che siamo seguiti dai ribelli». «Hai notato qualche cosa?» «Ho udito poco fa un fischio che doveva essere un segnale».
«Allora preferisco affrontare la bestia» disse Yanez. «Noi sappiamo che è sola, mentre non possiamo sapere quanti sono i paria che si sono messi sulle nostre tracce. Sbrighiamo questo affare fra noi due. Il capo intanto cercherà di indurre la pantera, poiché pare che non si tratti di una tigre, a lasciare il suo rifugio e mostrare il suo muso. Tenere fermi otto cacciatori del nostro valore è troppo!» «Dove si trova?» chiese lindiano. «Fra quel gruppo di mindi».
«È ben vicina la birbona. Deve essere assai affamata per tentare un simile attacco e anche» Si era interrotto bruscamente alzando il capo. «Hai udito, Yanez?» chiese. «Sì, un fischio».
«I paria ci sono alle spalle. Salviamoci sul finestrone della pagoda, giacché non abbiamo staccate le corde, né i ganci».
«Sei pronto?» chiese Yanez al capo degli sikkari, il quale aveva raccolto un grosso ramo secco non essendo possibile trovare dei sassi sotto quella boscaglia. «Quando vorrete, mio signore» rispose il cacciatore. «Getta».
Il ramo, lanciato da due braccia vigorose, descrisse una gran parabola, e andò a cadere proprio in mezzo ai mindi facendo strage di fiori. Subito si udì un urlo rauco, quasi soffocato, poi una belva spiccò un gran salto e cadde a tre passi da Yanez e da Tremal-Naik. Stava per riprendere lo slancio, quando le due carabine tuonarono con gran fracasso.
«Fulminata» disse il capo degli sikkari. «Come avete veduto, mio signore, non mi ero ingannato. Si tratta duna pantera in cerca di cena».
«Ora che la via è aperta corriamo alla pagoda» disse Yanez. «Speriamo di non fare altri cattivi incontri».
Saltarono sul corpo della belva, una magnifica bestia grossa quasi quanto una tigre, col mantello graziosamente picchiettato, e si slanciarono sul sentiero, correndo a perdifiato.
Ormai non prendevano più nessuna precauzione. Con quei due colpi di carabina si erano traditi, quindi non valeva la pena di ritardare la marcia, tanto più che ormai sapevano davere i paria alle spalle. Con un ultimo slancio giunsero dinanzi alla porta maggiore della pagoda, si aggrapparono alle corde che non avevano ritirate, e si misero in salvo sulle teste dei due elefanti, dinanzi al gran finestrone.
«Non credevo di aver tanta fortuna» disse Yanez, ricaricando subito larma. «Si direbbe che tutti gli dèi dellIndia si sono messi daccordo per proteggerci».
«Non siamo ancora a casa nostra» disse Tremal-Naik. «Sai tu che cosa può succedere ora?»
«Prevedo un attacco da parte dei paria, ma di quei furfanti io non ho mai avuto paura. Se Sindhia fosse andato ad arruolare i suoi guerrieri fra i nizami, i ragiapatani od i maharatti, la cosa sarebbe ben diversa. Anche lIndia, malgrado il suo clima deprimente, ha delle valorose razze nate per la guerra. Ha preferito i paria, i senza patria e senza casta. Ebbene, vengano ad assalirmi».
«E se si presentassero in cento, armati colle carabine dei rajaputi?» chiese Tremal-Naik. «Scenderemo nella pagoda e vi rimarremo finché tornerà il cornac di Sahur». «Per farci assediare?»
«Noi siamo uomini da fare delle sortite terribili. Vi sono delle porte qui, qualcuna spero che almeno dallinterno si aprirà, ed allora ci lanceremo sui paria collimpeto delle Tigri di Mòmpracem. Tu già conosci le nostre cariche». «Sì, le cariche dei pazzi» rispose il famoso cacciatore, sorridendo. «Che hanno però sempre sgomentato il nemico».
«Non dico di no. Si tratta di sapere se quelle porte si aprono. Io voglio andare a vedere». «Solo? Sei pazzo?»
«Prenderò con me il capo degli sikkari. Fa gettare una corda dentro la pagoda e tu non lasciare questo posto. Dobbiamo aspettare il cornac».
«Lo so, e so pure che senza un buon elefante noi non riusciremo a raggiungere la capitale. Quei bestioni sentono gli agguati, e quando sono aizzati lavorano di proboscide». «Lasciami andare: i paria non mi mangeranno». «Bada, Tremal-Naik».
«Un uomo che ha lottato per tanti anni contro i thugs della Jungla Nera, non può aver paura dei paria. Se morrò, tu mi vendicherai». «Questo te lo prometto».
Il famoso cacciatore staccò una corda e la lasciò cadere dentro il tempio tenebroso e pieno probabilmente dinsidie. «Non hai paura tu a seguirmi?» aveva chiesto al capo degli sikkari.
«No, sahib, ed aspettavo che tu mi chiedessi di accompagnarti. Io non sono un rajaputo, perché sono del Nizam, un paese che non produce traditori».
Tremal-Naik si assicurò prima di avere una candela, e stava per accenderla, quando tornò verso Yanez. «Unidea» disse. «Parla».
«Giacché gli sikkari hanno confezionata una specie di bomba, non si potrebbe farla esplodere contro la porta maggiore della pagoda?»
«Ora non ci tengo affatto che ci sia unapertura, sia per noi come per gli altri» rispose il portoghese. «È meglio, per ora, che le porte rimangano chiuse».
«Infatti, tu hai ragione» rispose Tremal-Naik. «Colle porte chiuse noi potremo sostenere anche un assedio. Lascia che vada a vedere».
«Buona fortuna» disse Yanez. «Abbiamo altre quattro corde e faremo presto a raggiungerti».
Laudace cacciatore, seguito subito dal capo degli sikkari, si fermò un momento sul largo davanzale del finestrone, e lanciò poscia larpione. Il ferro, battendo sulle pietre, diede un lunghissimo suono metallico che produsse un certo effetto nella vastità immensa della pagoda. Non essendo stata scagliata nessuna freccia, i due valorosi si aggrapparono alla corda, e luno, a pochi passi sopra laltro, cominciarono la discesa. Avevano entrambi muscoli solidi e largo fegato, e non erano uomini da impressionarsi anche se si fossero trovati improvvisamente dinanzi a parecchi assalitori.
«Cento piedi» contò Tremal-Naik. «È ben alta questa pagoda. Ve ne devono essere poche in tutta lIndia che abbiano simili dimensioni».
«Eppure non siamo a Benares, città famosa per la grandiosità dei suoi templi» rispose il capo degli sikkari, mettendo piede a terra pel primo. «Hai anche tu una candela?» «Sì, sahib». «Accendila e andiamo a visitare queste porte».
Stavano per strofinare gli zolfanelli, quando udirono echeggiare improvvisamente un suono non facile a definirsi.
«Qui vi è qualcuno che ci spia» disse Tremal-Naik. «Che abbia aperta qualche porta?»
«A me parve un colpo dato a qualche statua con un pezzo di ferro» rispose il capo degli sikkari, accendendo rapidamente la candela.
Si guardarono intorno ma non videro altro che delle statue di dimensioni gigantesche che rappresentavano tutte le incarnazioni di Visnù.
«Eppure noi abbiamo udito bene e non siamo sordi» disse Tremal-Naik, il quale aveva pure accesa la sua candela. «Qui ci doveva essere qualcuno poco fa. Dove si sarà cacciato?» «E sarà solo, sahib?» «Questo si saprà più tardi». «Speri, sahib, che i congiurati si mostrino?» «Verranno almeno a domandarci che cosa desideriamo». «E noi che cosa risponderemo?»
«Eppure noi abbiamo udito bene e non siamo sordi» disse Tremal-Naik, il quale aveva pure accesa la sua candela. «Qui ci doveva essere qualcuno poco fa. Dove si sarà cacciato?» «E sarà solo, sahib?» «Questo si saprà più tardi». «Speri, sahib, che i congiurati si mostrino?» «Verranno almeno a domandarci che cosa desideriamo». «E noi che cosa risponderemo?»
«Intimeremo loro senzaltro la resa della pagoda, se non vorranno provare le nostre grosse carabine. Vedo aprirsi là in fondo dei vasti corridoi. Andiamo a visitarli». «Sii prudente, sahib».
Attraversarono lentamente la gran pagoda, guardandosi intorno per evitare qualche brutta sorpresa, e giunsero dinanzi a una galleria la quale forse metteva agli alloggi dei sacerdoti.
Stavano per salire la gradinata, quando udirono un leggero sibilo seguito subito da un colpo secco. Pareva che qualche freccia si fosse spezzata presso di loro.
«Alto!» aveva comandato prontamente Tremal-Naik. «Non amo provare il veleno dei bis cobra».
«Hanno lanciata una freccia addosso a noi, e per un caso miracoloso siamo sfuggiti ad una morte orribile. Sahib, non andare più innanzi».
«Veramente ci penso poco» rispose il famoso cacciatore. «Contro le armi da fuoco ci tengo e ci sto, ma i veleni non ho alcuna voglia di provarli così presto. Come mai questi paria si sono armati di cerbottane, armi non troppo usate qui? Eppure hanno, a questora, le carabine dei rajaputi».
Udendo in alto un altro sibilo che annunciava un secondo messaggero di morte, Tremal-Naik scese a precipizio i gradini, seguito dal capo degli sikkari, e andò a rifugiarsi dietro ad una statua che rappresentava una divinità indiana. Là giunto e assicuratosi di non aver nemici alle spalle, puntò la carabina verso la galleria, lasciando partire il colpo. Tosto grida altissime si alzarono, che però si spensero bruscamente.
«Che abbia storpiato qualcuno di quei briganti?» si chiese Tremal-Naik. «La carabina era carica a mitraglia, e di quella grossa anche». In quel momento si udì Yanez domandare dallalto del finestrone: «Hai sfondata una porta?» «No, amico». «Stando quassù pareva che fosse rovinato qualche cosa di grosso». «Non ho sparato che un colpo». «Ci sono?»
«Sì, e devono essere anche in molti, e quello che è peggio, armati di cerbottane». «Hai trovata nessuna porta?»
«No, Yanez. Non oso andare innanzi e fare conoscenza colle frecce tinte nella bava del bis cobra». «Ti credo e dovresti» «Che cosa fare?»
La risposta fu soffocata da una scarica di carabine. Gli sikkari, ben nascosti dietro le trombe di pietra degli elefanti, avevano aperto il fuoco.
«Altro che cercare le porte!» esclamò Tremal-Naik, slanciandosi verso la corda. «Ci si assale da tutte le parti. In alto! In alto, sikkaro!»
Il bravo cacciatore però non lo seguì subito. Avendo veduto delle ombre precipitarsi giù dalla scala della galleria, aveva fatto fuoco. Nuove e più acute urla si erano alzate, urla feroci, urla di guerra, di gente decisa a venire alle mani.
Tremal-Naik era già sul davanzale del finestrone e ricaricava rapidamente la sua arma a fianco di Yanez.
«Facciamo un doppio colpo o perderemo il capo degli sikkari» disse il portoghese. «Dove devo fare fuoco? Ti confesso che non vedo assolutamente nulla». «Spara in fondo alla pagoda». «Sei pronto?» «Sì, Yanez». «Se non si arresteranno faremo lavorare gli sikkari».
Puntarono le carabine e fecero fuoco scatenando urla selvagge. I paria dovevano aver ricevuto un po di mitraglia, e forse si erano arrestati, non sapendo con quanti avversari avevano da fare.
Il capo degli sikkari aveva subito approfittato di quella breve sosta, per mettersi anche lui al sicuro sul finestrone. «Non hai ricevuta nessuna freccia?» gli chiese Tremal-Naik.
«No, sahib, però ne ho udite molte fischiarmi intorno. Guai se non avessi spenta subito la candela. Mi avrebbero imbottito di veleno».
«Ed ora che cosa succederà?» chiese Tremal-Naik, guardando Yanez, il quale si era affrettato, dopo la comparsa del sikkaro, a ritirare la corda. «Noi volevamo sorprendere i congiurati e mi pare invece che i sorpresi siamo stati noi».
«Chi poteva prevedere il tradimento dei rajaputi?» disse Yanez, con un sospiro. «Eppure in quelle truppe avevo fiducia. Duecento uomini passati al nemico in una sola notte! Sono troppi per un principe che ne ha appena un migliaio ed anche disseminati nelle diverse città. Non credevo che quel Sindhia fosse così forte e così astuto». «Cè qualcuno che lo guida». «Il fakiro che ha pagato i miei guerrieri».
«Sì, Yanez. Sindhia da solo non saprebbe far nulla. Laltra volta aveva un greco, ora ha un fakiro per condottiero delle sue forze». «Il greco era più pericoloso». «Noi non sappiamo ancora chi sia questo fakiro».
«Io spero di poterlo, un giorno o laltro, sorprendere ed attaccarlo alla bocca dun cannone». «Ed intanto siamo assediati».
«E veramente assediati, perché anche dinanzi a noi, nascosti nella boscaglia, vi sono altri uomini i quali ci impediranno di far ritorno alla capitale». «Che venga il cornac?»
«Io lo spero. Se Sahur giunge, noi caricheremo al galoppo quelle canaglie e le metteremo in completa rotta». «E se al cornac fosse mancato il colpo?»
Yanez si mise una mano in tasca, prese una sigaretta, laccese, poi colla sua calma abituale disse:
«Allora saremo noi che caricheremo a gran colpi di carabina. Oh! Non sarà questa notte che io perderò il mio impero».
«Queste Tigri di Mòmpracem, anche se di pelle bianca, sono sempre meravigliose» disse Tremal-Naik. «Non dubitano mai della vittoria finale».
«Altezza» disse in quel momento il capo degli sikkari, il quale spiava dal davanzale del finestrone. «Noi abbiamo una specie di bomba. Se non possiamo più far saltare la grossa porta, lanciamola dentro la pagoda».
«No, mio caro, la getteremo contro i paria che cercano dimpedirci la ritirata, e dallalto dellelefante. Di quelli che sono chiusi nel tempio non mi occupo, poiché sarà ben difficile che possano salire fino qui. Che cosa fanno?»
«Non odo più nulla, come non vedo più nulla» rispose il cacciatore. «Pare che quei colpi di carabina li abbiano resi estremamente prudenti».
«Giacché ci lasciano tranquilli, niente di meglio, se non ci preparano invece qualche sorpresa». «Dovrebbero incendiare la pagoda» disse Tremal-Naik, sorridendo. «Ah, furfante! Vuoi insegnare loro per farci prendere subito».
«Sono lontani e non ci possono udire, amico Yanez. E poi vi è troppa pietra qui, ed il fuoco si estinguerebbe subito senza bisogno dacqua. Io vorrei sapere che cosa fanno quelli che si sono imboscati dinanzi a noi. Che cosa aspettano per assalirci? Questa tregua mi stupisce». «Aspetteranno dei rinforzi». «Se cercassimo di snidarli, Yanez». «È quello che pensavo poco fa».
«Vuoi che proviamo? Siamo ancora ben muniti di polvere e di palle malgrado la confezione della bomba». «Io però non saprei dirti esattamente dove si sono nascosti». «Spareremo a casaccio i primi colpi. Se rispondono sapremo regolarci».
«Allora a voi, sikkari» disse Yanez. «Noi guardiamo il finestrone per impedire ai paria del tempio di raggiungerci».
I sei cacciatori coricarono i due prigionieri in un luogo sicuro, poi si sdraiarono dietro le gigantesche trombe degli elefanti e fecero una scarica in mezzo alla boscaglia, tirando a casaccio.
Le detonazioni non si erano ancora spente, quando parecchi uomini, forse più di cinquanta, si precipitarono fuori dai cespugli sparando verso il finestrone.
«Sgombriamo» disse Yanez. «Tirano male come coscritti, tuttavia ho udito delle palle miagolare sopra di me».