Jolanda, la figlia del Corsaro Nero - Emilio Salgari 5 стр.


Non conteneva che due righe:

«Aspetto a Maracaybo i filibustieri della Tortue per impiccarli tutti.

Il governatore della piazza».

Morgan stracciò con ira il biglietto, poi rivolgendosi al marinaio, chiese:

«Ti ha detto nulla della figlia del cavaliere di Ventimiglia?»

«Sì, che andate a prenderla, se ne avete il coraggio».

«E la prenderemo» rispose Morgan.

Poi, con voce tuonante, in modo da poter essere udito anche dai marinai delle altre navi, gridò:

«Si salpino le àncore e si sciolgano le vele. Prima di domani sera Maracaybo sarà nostra».

Un urlo immenso, alzatosi su tutte le navi, rispose:

«A Maracaybo! A Maracaybo!»

Mezzora dopo le otto navi lasciavano la baia, veleggiando verso il golfo. La Folgore che era la nave di Morgan, così battezzata a ricordo della valorosa nave del Corsaro Nero apriva la via.

Era la più grossa di tutte, una fregata a tre alberi, armata di trentasei cannoni di grosso calibro, fra cui alcuni pezzi da caccia e montata da ottanta uomini che nulla temevano.

Le altre, che erano quasi tutte caravelle predate agli spagnoli, ma armate di numerosi pezzi di cannone, di petriere e di grosse spingarde, la seguivano in una doppia colonna, tenendosi ad una distanza di cinque o seicento metri luna dallaltra, onde aver campo sufficiente per manovrare senza correre il pericolo dinvestirsi.

Tutte avevano i fanali spenti. Tuttavia, quantunque la luna mancasse, la notte era abbastanza chiara, essendo laria delle regioni tropicali ed equatoriali duna purezza straordinaria.

Morgan, che si trovava sul ponte di comando, scrutava attentamente lorizzonte, essendogli stato riferito giorni innanzi che tre grosse navi spagnole avevano lasciati i porti di Cuba per dargli la caccia e assalirlo prima che tentasse qualche altra impresa contro le città del continente.

Carmaux, che era il suo fido, si trovava con lui e scambiavano qualche parola.

«Mi viene però un dubbio, capitano» disse Carmaux.

«E quale?»

«Che il governatore, conoscendo lo scopo della nostra spedizione e sapendoci vicini, approfitti del nostro ritardo per far trasferire altrove la figlia del signor di Ventimiglia».

Una ruga profonda si era disegnata sullampia fronte di Morgan.

«Se non ritrovassi quella fanciulla» disse con voce minacciosa, «non darei una piastra di tutte le pelli degli spagnoli di Maracaybo. Tu sai che so essere gentiluomo come il signor di Ventimiglia; ma anche tremendo ed implacabile come Pietro lOlonese, che fu il più feroce e spietato filibustiere della Tortue».

«Quel cane di governatore, che mi fu dipinto come un uomo avidissimo e che fu un tempo amico intimo del duca Wan Guld, il suocero del signor di Ventimiglia, sarebbe capace di farla scomparire».

«Sventura a lui. Come il Corsaro Nero fu implacabile contro il duca, io non lo sarò meno col governatore di Maracaybo e lo perseguiterei fino alla morte. Ah! Se la figlia del nostro vecchio condottiero ci avesse avvertiti del suo arrivo in America, gli spagnoli non lavrebbero presa. Tutti i più celebri filibustieri della Tortue si sarebbero tenuti onorati di scortarla e di proteggerla. È strano che non si sia ricordata che suo padre contava fra noi un numero così immenso di amici e di camerati devoti e che ignorasse che alla Tortue egli possiede ancora una villa e delle piantagioni che io solo amministro da diciassette anni».

«Forse era sua intenzione di giungere fra noi improvvisamente e, senza lincontro colla fregata spagnola che ha catturata la nave olandese, sarebbe già la regina della Tortue».

«Ah! Guarda Carmaux!»

«Che cosa, capitano?»

«Dei fanali laggiù che navigano verso il nord».

«Che siano i tre vascelli che sono incaricati di darci la caccia? Ho udito a raccontare che sono navi grosse, dalto bordo, equipaggiate da biscaglini e capaci daffrontare una squadra ben più numerosa della nostra. In guardia con quei lupi, capitano».

«Quei fanali vanno verso il settentrione, quindi non li incontreremo sulla nostra rotta» rispose Morgan.

«Purché non facciano rotta falsa, per poi piombarci alle spalle quando saremo impegnati coi cannoni del forte della Barra a Maracaybo» disse Carmaux.

«Giungeranno troppo tardi. Va ad avvertire Pierre le Picard di stringere contro la costa e fa chiamare in coperta tutti gli uomini».

Mentre venivano eseguiti i suoi ordini, Morgan seguiva attentamente cogli sguardi i sei punti luminosi che continuavano ad allontanarsi dal golfo di Maracaybo, anziché accorrere in difesa della città. Quando li vide scomparire sul fosco orizzonte, respirò liberamente e la ruga che si delineava sulla fronte, scomparve.

«Se torneranno, giungeranno a cose finite» mormorò. «Quando sorgerà lalba, noi saremo sotto il forte della Barra e vedremo se gli spagnoli resisteranno a lungo».

Le otto navi che formavano la squadra si erano ripiegate verso la costa, stringendo il vento il più possibile. Già lisola di Zapara era in vista sulle sue spiagge non brillava nessun fuoco che annunciasse qualche sorveglianza da parte degli spagnoli.

Mancava qualche ora allalba, quando la squadra, ancora da nessuno avvistata, entrava a gonfie vele nella laguna di Maracaybo, passando fra la penisoletta di Sinamaica e la punta occidentale di Tablayo.

Tutti gli uomini erano già ai loro posti di combattimento, dietro le brande accumulate sui bastingaggi o nelle batterie dietro ai pezzi, ed i comandanti sui ponti col portavoce in mano.

«Carmaux» disse Morgan che fissava il forte della Barra, già in vista. «Dà ordine ai nostri artiglieri di non far fuoco, anche se gli spagnoli ci bombardano.

Cominciavano a diradarsi le tenebre, quando la squadra comparve improvvisamente nelle acque battute dal forte, disposta su una sola linea, colla Folgore nel centro.

Lallarme era stato già dato e lintera guarnigione era uscita frettolosa dalle casematte per accorrere sugli spalti del castello. Quei soldati dovevano però essere ben sorpresi di vedersi piombare addosso, allimprovviso, quella squadra che non era stata fino allora segnalata nemmeno dalle caravelle incaricate della vigilanza della bocca della laguna.

Probabilmente il governatore, non credendo alla minaccia di Morgan, non si era preso nemmeno il fastidio di avvertire il comandante del forte di prepararsi alla difesa.

Gli spagnoli però non si perdettero danimo ed accolsero la squadra con un furioso cannoneggiamento, credendo di affondarla facilmente o per lo meno di costringerla a tornare nel golfo.

Avevano però da fare con gente che non sinquietava gran che delle cannonate.

Malgrado quella grandine di palle, le navi corsare continuavano tranquillamente ad accostarsi, senza prendersi la briga di rispondere.

Qualche albero e qualche pennone cadeva, qualche murata si sfasciava qualche filibustiere venivano mutilato o fulminato da quelle incessanti scariche, eppure nessuno osava trasgredire lordine dato da Morgan, tanto era ferrea la disciplina che regnava sui vascelli corsari.

Già la Folgore non si trovava che a due gomene dalla spiaggia e si preparava a calare in mare le scialuppe, quando tutto quel furioso cannoneggiamento come per incanto cessò.

Diradatosi il fumo che ondeggiava sugli spalti, gli equipaggi con loro grande stupore non scorsero più nessun uomo dietro alle artiglierie.

«Che cosa vuol dir ciò?» si chiese Morgan, che non aveva abbandonato per un solo istante il ponte di comando. «Che si arrendano? Eppure ritenevano questo forte inespugnabile. Pierre le Picard!»

Il filibustiere che portava quel nome e che, come abbiamo detto, aveva il comando in seconda e che godeva fama di essere uno dei più intrepidi Fratelli della Costa, lasciò la ribolla del timone, raggiungendo il comandante.

«Che cosa ne pensi tu di questo improvviso silenzio?» gli chiese Morgan. «Che nasconda qualche sorpresa?»

«Vado ad assicurarmene» rispose il filibustiere, senza esitare. «Datemi quaranta uomini, tenetene pronti altri cento e do la scalata al forte».

Le scialuppe erano state già calate in acqua. Il filibustiere scelse i suoi uomini e vogò verso terra, mentre le altre navi si preparavano a sbarcare parte dei loro equipaggi, onde appoggiarlo nellardimentosa impresa.

Morgan, che temeva una sorpresa, fa scaricare tutti i venti cannoni di tribordo, tempestando le difese avanzate del castello, ma nessuno rispose, né alcun soldato si mostrò.

I quaranta corsari della Folgore, sbarcati a terra, presero a scalare le rocce, armati solamente duna pistola e duna corta sciabola, lottando in celerità per giungere primi. Giunti sotto le mura scagliarono fra i merli alcune granate mandandole a scoppiare al di là delle cinte, poi montando gli uni sulle spalle degli altri, si arrampicarono sulla cinta esterna e la scalarono mandando urla terribili.

Non trovano altro che i cannoni e pochi fucili abbandonati dal nemico nella sua precipitosa ritirata. Il presidio, credendo di non poter arrestare i corsari e spaventato dal numero delle navi, si era ritirato precipitosamente in Maracaybo, accontentandosi di mettere una miccia accesa al magazzino delle polveri, perché con esse saltassero in aria anche i nemici.

Fortunatamente i corsari non erano ancora entrati nel forte quando lo scoppio avvenne.

Crollarono con immenso fracasso le casematte, le merlature e parte delle muraglie, aprendo qua e là delle enormi breccie, senza però danneggiare lequipaggio della Folgore.

Udendo quel rombo spaventevole e vedendo innalzarsi quella colonna di fumo, i marinai delle altre navi si erano affrettati a prendere terra per accorrere in aiuto dei loro camerati che credevano di trovare malconci e anche alle prese cogli spagnoli, e furono invece accolti da altissime grida di vittoria.

Morgan, informato della ritirata del presidio, decise senzaltro dinvestire la città, prima che i suoi abitanti potessero rifugiarsi nei boschi e mettere in salvo i loro tesori.

Lo scoppio del forte aveva già sparso il terrore fra quella disgraziata popolazione, che aveva già provati gli orrori del saccheggio, compiuto ventanni prima dai filibustieri del Corsaro Nero, di Pietro lOlonese e di Michele il Basco.

Invece di prepararsi alla difesa tutti gli abitanti si erano dati a fuga precipitosa nei boschi vicini, portando con sé quanto aveva di meglio, e anche fra i soldati della guarnigione regnava un panico, che la presenza del governatore e dei suoi ufficiali non bastava a dissipare.

Il nome di Morgan, lespugnatore di Portobello, faceva titubare i più vecchi soldati, che pur avevano date tante prove di valore sui campi dellEuropa e che avevano conquistati e rovesciati imperi, come quelli degli Aztechi nel Messico e degli Incas nel Perù.

I filibustieri, lasciati pochi uomini a guardia della squadra e saliti sulle scialuppe, si accostarono velocemente alle banchine del porto. Morgan era alla loro testa con Pierre le Picard, Carmaux e Wan Stiller.

Vedendoli sbarcare, gli spagnoli, che erano pure in buon numero e che avevano innalzate frettolosamente delle trincee, avevano aperto un violentissimo fuoco di moschetteria, mentre i due fortini che proteggevano la città dal lato di terra, facevano rombare i loro grossi cannoni. Era però ormai troppo tardi per arrestare quei filibustieri, che le possenti e numerose artiglierie del forte della Barra non avevano saputo trattenere né schiacciare.

I bucanieri, che si trovavano sempre in buon numero sulle navi corsare e che, in quellepoca, erano i migliori bersaglieri del mondo, con scariche ben aggiustate, avevano ben presto costretto il presidio ad abbandonare le trincee ed a salvarsi con una fuga più che precipitosa.

Dieci minuti dopo, le bande di Morgan irrompevano nelle vie della disgraziata città, invadendo le case e uccidendo senza misericordia quanti tentavano di opporre resistenza.

Capitolo sesto. Don Raffaele

Mentre i filibustieri sabbandonavano al saccheggio, Morgan con una cinquantina dei suoi marinai si era diretto verso il palazzo del governo, dove sperava di sorprendere ancora il governatore e dove supponeva di trovare qualche resistenza.

Non vi era invece più nessuno. Tutti erano fuggiti, lasciando il portone spalancato ed il ponte levatoio abbassato.

Solo sette forche, dalle quali pendevano i sette corsari che avevano accompagnato il piantatore, facevano triste mostra, proprio nel mezzo dellampia e deserta piazza.

Nello scorgerli, un urlo di rabbia era scoppiato fra il drappello di Morgan.

«Bruciamo il palazzo del governatore! Vendetta, capitano, vendetta! Trucidiamo tutti!»

Pierre le Picard, che faceva parte del drappello, gridò:

«Portate qui due barili di polvere e facciamo saltare il palazzo!»

Già degli uomini stavano per slanciarsi in varie direzioni, quando un comando breve ma energico di Morgan li arrestò.

«Sono io che comando qui! Chi si muove è uomo morto!»

Il filibustiere si era gettato fra la turba furibonda, colla spada nella destra e una pistola nella sinistra.

«Insensati!» urlò. «Che cosa siamo venuti a far qui? E non pensate che forse in questo palazzo, in qualche antro segreto si trova la figlia di cavalier di Ventimiglia? Volete ucciderla per una stupida vendetta?»

A quelle parole lira furibonda dei filibustieri era improvvisamente sbollita. Chi poteva assicurare che il governatore, prima di fuggire, non avesse nascosta in qualche sotterraneo la fanciulla, per la cui salvezza avevano tentato quellardito colpo di mano?

«Invece di gridare come oche» disse lalmirante della flotta corsara, «cercate di fare quanti prigionieri potete. Qualcuno saprà dirci dove si trova la figlia del Corsaro Nero.

«Questo si chiama parlare doro» disse Carmaux che faceva parte del drappello. «Ehi, amburghese, dove sei?»

«Eccomi, compare» rispose Wan Stiller.

«In caccia, amico mio. Cerchiamo di prendere qualche pezzo grosso».

Mentre Morgan entrava con parecchi dei suoi ufficiali nel palazzo del governo, per frugarlo da cima a fondo, e gli altri si disperdevano in varie direzioni per procurarsi dei prigionieri, Carmaux e lamburghese, che conoscevano sufficientemente la città essendovi stati già due volte col Corsaro Nero molti anni prima, presero un viottolo che serpeggiava fra le muraglie di alcuni giardini.

«Dove mi conduci?» chiese lamburghese, dopo aver percorso un centinaio di passi, senza aver incontrato alcuno. «Non è da questa parte che fuggono gli abitanti».

«Voglio andare a fare una visita alla taverna El Toro» rispose Carmaux. «Scommetterei una piastra contro un doblone di Spagna che troveremo qualcuno da quelle parti».

«I nostri non devono ancora essere giunti fino là».

«Infatti non odo alcun colpo di fucile echeggiare verso la laguna».

«Allunga il passo, amburghese».

I filibustieri della squadra, che avevano appena allora cominciato il saccheggio, si trovavano ancora nei sobborghi, che si prolungavano dietro il forte della Barra e non erano giunti ancora nel cuore della città.

Da quella parte si udivano clamori spaventevoli, seguìti da qualche scarica di fucili e si vedevano alzarsi anche delle colonne di fumo. Nei giardini e nelle case adiacenti, regnava invece un silenzio assoluto. La popolazione doveva aver approfittato della breve resistenza opposta dalle truppe, per sgombrare precipitosamente, salvandosi nei boschi o sulle isole della laguna.

Carmaux e lamburghese, di quando in quando scorgevano bensì qualche uomo o qualche donna attraversare velocemente i giardini, ma non si prendevano la briga di dare loro la caccia.

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