Jolanda, la figlia del Corsaro Nero - Emilio Salgari 6 стр.


Carmaux e lamburghese, di quando in quando scorgevano bensì qualche uomo o qualche donna attraversare velocemente i giardini, ma non si prendevano la briga di dare loro la caccia.

Correvano da dieci minuti, quando si trovarono su una piazzetta allestremità della quale, dinanzi ad una porta, pendevano due enormi corna.

«La taverna» disse Carmaux.

«Sì, la riconosco dallinsegna» rispose lamburghese.

«Pare che anche qui tutti abbiano sgombrato».

«Taci!»

«Che coshai?»

«Qualcuno savvicina».

Presso la taverna sapriva una via e da quella parte si udivano delle persone avanzarsi, correndo disperatamente.

«Attento amburghese» gridò Carmaux, slanciandosi da quella parte.

Aveva appena raggiunto langolo, quando un uomo gli cadde fra le braccia. Carmaux fu pronto a stringerselo al petto, gridandogli con voce minacciosa:

«Arrenditi!»

Nel medesimo istante otto o dieci negri che correvano allimpazzata, carichi di pacchi voluminosi, urtarono lamburghese così violentemente da mandarlo a gambe levate, prima ancora che avesse potuto alzare il moschetto.

«Tuoni dAmburgo!» aveva esclamato Wan Stiller. «Mi accoppano!»

Udendo quella voce, luomo che era caduto fra le braccia di Carmaux aveva alzato il capo, lasciandosi sfuggire subito un grido dangoscia.

«Sono morto!»

Carmaux era scoppiato in una risata fragorosa.

«Ah! Il piantatore! Che bellincontro! Come state señor Raffaele?»

Il disgraziato piantatore, sentendosi allentare la stretta, aveva fatto due passi indietro, ripetendo con voce strozzata:

«Sono morto! Sono morto!»

«È dunque una vera mania che avete di credervi sempre morto?» chiese Carmaux che non cessava di ridere. «Eppure mi sembra che scoppiate per troppa salute».

«Toh!» esclamò in quel momento Wan Stiller, che si era alzato. «Chi vedo? Il piantatore? Buona presa, Carmaux!»

Don Raffaele, muto per il terrore, guardava or luno or laltro, tirandosi i capelli.

«Ohimè!» sospirò il piantatore. «Mi impiccherete per vendicare i vostri camerati, che il governatore ha fatto appendere alle forche della Plaza Mayor».

«Non siete stato voi».

«Lo so, però il vostro comandante potrebbe crederlo».

«Bah! Bah!» fece Carmaux, che si divertiva immensamente e che faceva sforzi sovrumani per conservarsi serio. «Coraggio, signor mio; ecco là Wan Stiller che porta in trionfo quattro bottiglie, che devono essere state turate ai tempi di papà Noè. Perbacco! Che fiuto che ha quellamburghese! Ha scoperto la cantina di colpo!»

Carmaux aveva preso per un braccio ben stretto il piantatore, onde non gli scappasse, quando a breve distanza rimbombarono alcuni colpi di archibugio e da una via laterale sbucarono a corsa sfrenata parecchi abitanti, che portavano sulle spalle dei grossi involti contenenti probabilmente le loro ultime ricchezze.

«Misericordia!» esclamò il piantatore. «Ci uccidono!»

«Ragione di più per rifugiarci nella taverna» disse Carmaux. «Non si sa mai! Una palla può deviare e fare scoppiare anche la vostra pancia».

Lo spinse violentemente entro la taverna, dove lamburghese stava decapitando, colla sua corta sciabola, le quattro bottiglie.

La sala era deserta, ma tutto era sotto sopra. La grande tavola dove avevano combattuto i galli giaceva colle gambe allaria, i tavolini erano addossati alla rinfusa contro le pareti; gli sgabelli ingombravano il pavimento assieme a vasi e bottiglie infrante.

Pareva che il proprietario, prima di fuggire, avesse cercato di spezzare quanto non aveva potuto portare con sé.

«Purché sia rimasta salva la cantina, poco importa» disse Carmaux. «È così, amburghese?»

«Vero Alicante» rispose Wan Stiller, facendo schioccare la lingua da buon intenditore. «È proprio di quello che abbiamo bevuto la sera del combattimento dei gatti.

«Bada che gli altri non vengano a vuotarcele, perché non ho trovate che queste bottiglie. Quel mascalzone di taverniere ha fracassato tutto nella cantina. Imbecille!»

Riempì un bicchiere trovato per miracolo ancora intatto e lo offrì al piantatore, dicendogli:

«Elisir di lunga vita, signor spagnolo. È di quello, ve ne ricordate?»

Don Raffaele, che si sentiva tremare le gambe, lo vuotò dun fiato borbottando un grazie.

«Un altro» disse Carmaux, mentre lamburghese si metteva alle labbra una delle quattro bottiglie.

«Volete ubriacarmi una seconda volta per poi impiccarmi?» chiese don Raffaele.

«Ve lha detto qualcuno che il capitano Morgan ha decretato la vostra morte?» chiese Carmaux, con voce grave.

«Sono un moribondo, dunque?» urlò don Raffaele, diventando livido. «Vuole vendicare su di me la morte dei suoi sette marinai?»

Carmaux lo guardò per qualche istante in silenzio, aggrottando a più riprese la fronte, poi disse:

«Sta in voi salvarvi».

«Che cosa devo fare? Ditemelo! Io sono ricco, posso pagare un grosso riscatto al vostro capitano»

«Quello lo pagherete a noi, mio caro signore» disse Carmaux, «essendo stati noi a farvi prigioniero; ma per ora non è questione di danaro, bensì di pelle».

«Spiegatevi meglio» disse don Raffaele, che cominciava a respirare più liberamente. «Non ho alcun desiderio di ballare un fandango allestremità duna corda».

«Allora rispondete e pesate bene le vostre parole» disse Carmaux, che tutto dun tratto era diventato minaccioso. «Dove è stata nascosta la signora di Ventimiglia?»

«Come!» esclamò il piantatore, facendo un gesto di sorpresa. «Non lavete ancora trovata?»

«No».

«Eppure io non lho veduta a fuggire col governatore».

«Ah! Ha preso il largo quel bravuomo!» esclamò Wan Stiller con voce ironica.

«Assieme ai suoi ufficiali e su buoni cavalli» rispose don Raffaele. «A questora deve essere ben lontano e sarete ben bravi se riuscirete a raggiungerlo».

«E non vi era con lui la figlia del Corsaro Nero?»

«No».

«Don Raffaele!» gridò Carmaux, picchiando sulla tavola un pugno così formidabile da far saltare le bottiglie. «Badate che giuocate la vostra vita».

«Lo so ed è per questo che io non cercherò dingannarvi».

«Allora si trova ancora qui?»

«Ne sono più che certo».

«O che sia stata uccisa?» chiese Carmaux impallidendo.

«Non credo, che il governatore abbia avuto il coraggio di lordarsi le mani del proprio sangue».

«Che cosa dite?» chiesero ad una voce i due filibustieri.

Il piantatore si morse le labbra come se si fosse pentito di essersi lasciate sfuggire quelle parole, poi alzando le spalle disse:

«Io non ho giurato di mantenere il segreto e poi la mia vita si trova nelle vostre mani ed io ho il diritto di difenderla come meglio posso».

Carmaux tracannò un sorso dAlicante, poi incrociando le braccia e piantando gli occhi in viso al piantatore, disse:

«Don Raffaele, spiattellate. Di quale sangue parlavate?»

«Avrete la pazienza di ascoltarmi?»

Carmaux stava per rispondere, quando alcuni colpi di fucile rimbombarono sulla piazza e parecchie persone passarono correndo dinanzi alla taverna, gettandosi verso le vicine ortaglie.

Cinque o sei filibustieri, che avevano in mano gli archibugi ancora fumanti, vedendo linsegna del Toro, si erano affacciati alla porta della taverna, urlando:

«Una cantina! Hurrà! Buchiamo le botti!»

Carmaux si slanciò verso di loro collarchibugio in mano, gridando:

«Indietro, camerati!»

«Toh!» esclamò uno di quei corsari. «I due inseparabili! Volete bere tutto voi? Satanasso! Lo spagnolo che ha fatto impiccare i nostri compagni! Abbruciamolo vivo!»

«Indietro, camerati!»

«Toh!» esclamò uno di quei corsari. «I due inseparabili! Volete bere tutto voi? Satanasso! Lo spagnolo che ha fatto impiccare i nostri compagni! Abbruciamolo vivo!»

«È nostro prigioniero» gridò Carmaux.

«Fosse anche del diavolo, io non me ne andrò se prima non gli avrò bucato il ventre» disse un altro corsaro. «Largo, camerata! Quelluomo appartiene alla giustizia dei Fratelli della Costa».

Il povero don Raffaele, che era diventato paonazzo dal terrore, si era rifugiato dietro la tavola, cercando di farsi più piccino che poteva.

«Levatevi dai piedi!» urlò Carmaux, puntando risolutamente larchibugio verso i filibustieri che si spingevano lun laltro per entrare. «Questuomo è una preda dellalmirante».

Udendo quelle parole, i corsari si arrestarono titubanti, poi volsero le spalle allontanandosi di corsa, tanto era il terrore che esercitava Morgan anche su quellaccozzaglia di scorridori del mare, che pur non riconoscevano né leggi, né governo.

«Parlate, ora» disse Carmaux, tornando verso il piantatore. «Nessuno verrà più a disturbarci».

Don Raffaele bevette dun fiato un bicchiere dAlicante, per riprendere coraggio, poi disse:

«Listoria che io sto per narrarvi è un segreto che solo pochissimi spagnoli conoscono e che voi ignorate. Vorrei però sapere, prima di cominciarla, quale causa dellodio implacabile che regnava fra il Corsaro Nero, signor di Ventimiglia, ed il duca Wan Guld, un tempo governatore di questa città.

«Voi che siete stati marinai e forse confidenti del terribile corsaro, che tanto male ha recato alle nostre colonie, dovete saperne qualche cosa e ciò schiarirebbe forse lodio che il governatore attuale nutre ora per la giovine figlia di quello scorridore del mare».

«Come!» esclamò Carmaux. «Il governatore odia la figlia del Corsaro Nero? Non è dunque solo linteresse che lo ha spinto a farla prigioniera?»

«No, è odio di sangue» disse don Raffaele, con voce grave. «Se il duca è morto ha lasciato un vendicatore che non sarà meno implacabile di lui».

«Che cosa mi narrate voi?» disse Carmaux, spaventato.

«Rispondete alla domanda che vi ho fatta, poi io mi spiegherò meglio».

Capitolo settimo. Il monastero dei Carmelitani

Carmaux, che pareva in preda ad una vivissima agitazione, stette qualche istante silenzioso guardando il piantatore, poi disse:

«Lodio fra il Corsaro Nero ed il duca di Wan Guld risale circa a venticinque anni fa e non ebbe principio in America, bensì nelle Fiandre. I signori di Ventimiglia erano allora in quattro fratelli e combattevano fra le truppe dei duchi di Savoia, alleati della Francia, contro la Spagna. Belli tutti, valorosi, audaci, godevano fama dessere i più nobili gentiluomini del Piemonte. Un giorno essi vennero assediati in una rocca fiamminga da un numero strabocchevole di spagnoli, assieme al loro reggimento che era comandato dal duca di Wan Guld. Resistevano tenacemente da alcune settimane, combattendo come leoni, quando una notte il nemico entrava nella rocca a tradimento e se ne impossessava, dopo daver ucciso uno dei quattro fratelli che era accorso a contrastargli il passo. Un uomo aveva venduta la rocca ed aveva aperte le porte: quel miserabile era il duca di Wan Guld».

«Avevo udito a parlare vagamente di quella storia» disse don Raffaele. «Continuate».

«Il duca, per sfuggire allira dei signori di Ventimiglia, aveva chiesto al governo spagnolo un posto nelle colonie dellAmerica ed era stato nominato governatore di questa città».

«Era il prezzo del tradimento» disse lamburghese, picchiando il pugno sulla tavola.

«Il duca» proseguì Carmaux, «credeva di essere stato dimenticato dai signori di Ventimiglia, ma singannava. Non erano ancora trascorsi sei mesi da che aveva assunto il suo posto, quando comparvero alla Tortue tre navi, montate dai tre fratelli piemontesi. Erano il Corsaro Nero, il Verde ed il Rosso, i quali avevano giurato di non lasciar più pace al traditore e di vendicare il fratello assassinato nella rocca».

«Conosco il seguito» disse don Raffaele. «Dopo varie vicende, il duca riusciva a catturare ed impiccare il Corsaro Verde e poi il Rosso, mentre il Nero, senza saperlo, sinnamorava della figlia del suo mortale nemico, che egli credeva fosse una principessa fiamminga».

«Sì, è così» rispose Carmaux. «E quando il Corsaro Nero, che aveva giurato, sui cadaveri dei fratelli, di sterminare senza misericordia tutti coloro che portavano il nome del traditore, seppe che la fanciulla che amava era la figlia del duca, pur piangendo, labbandonò sola fra le onde in una scialuppa, quando la tempesta stava per scoppiare sul golfo del Messico. Dio però vegliava sulla fanciulla e la scialuppa, invece di venire assorbita dai gorghi, andava a naufragare sulle coste meridionali della Florida, abitate da una tribù di Caraibi, i quali, sedotti dalla bellezza meravigliosa della naufraga, invece di divorarla la proclamarono la loro regina».

«Ed il Corsaro uccise il duca, è vero?» chiese don Raffaele.

«No, perché venuti allabbordaggio alcuni mesi dopo, appunto nelle acque della Florida, il vecchio traditore, piuttosto di cadere vivo nelle mani del suo nemico, dava fuoco alle polveri inabissandosi colla propria nave fra i baratri del Golfo del Messico».

«Il Corsaro era già a bordo di quella nave?»

«Sì, e anche noi» disse Carmaux, «avevamo già espugnato il vascello del duca, quando lesplosione ci scaraventò in mare assieme al Corsaro. Salvatici su alcuni rottami, per una fortunata combinazione, due giorni dopo approdavamo sulle coste della Florida, dove venivamo fatti prigionieri dai sudditi della duchessa, la regina dei Caraibi. Se non ci mangiarono fu perché la figlia di Wan Guld ci aveva riconosciuti a tempo e perché non si era spenta ancora in lei laffezione profonda che nutriva per il Corsaro».

«E non si vendicò?» chiese don Raffaele.

«Tuttaltro, perché una sera simbarcarono insieme su una scialuppa e per molti anni non si seppe più nulla di loro. Più tardi un filibustiere italiano ci narrò come il Corsaro e la giovane duchessa erano stati raccolti al largo da una nave inglese in rotta per lEuropa e condotti in Piemonte, dove si erano sposati.

«La loro felicità, come forse avrete saputo anche voi, fu breve. Dieci mesi dopo, la duchessa moriva dando alla luce una bambina e lanno seguente il Corsaro, che non poteva rassegnarsi alla perdita della sua compagna, si faceva uccidere sulle Alpi, combattendo contro i francesi che avevano invasa la Savoia e che minacciavano il Piemonte».

«Sì, è così» disse don Raffaele. «Il governatore di Maracaybo era stato esattamente informato».

«Perché sinteressava tanto del Corsaro?» chiese Carmaux con sorpresa.

«Perché aveva ricevuto da suo padre una terribile missione».

«Quale?»

«Di vendicarlo».

«Ma chi era dunque suo padre?»

«Il duca di Wan Guld».

Un grido di stupore era sfuggito dalle labbra di Carmaux e di Wan Stiller. Entrambi erano balzati in piedi, in preda ad una vivissima agitazione.

«Il duca ha lasciato un figlio!» avevano esclamato.

«Sì, un figlio avuto da una marchesa messicana ed a cui fu imposto il nome di conte di Medina e Torres; non potendo assumere quello del padre».

«Ed è lui il governatore di Maracaybo?» chiese Carmaux.

«Sì, fu lui a far prigioniera Jolanda di Ventimiglia, la figlia del Corsaro Nero». disse il piantatore «Dai suoi agenti, che aveva mandati in Italia per spiare il Corsaro e, possibilmente, anche per ucciderlo, ciò che sarebbe certo a questora avvenuto, egli seppe che la giovane si era imbarcata su una nave olandese in rotta per lAmerica, onde entrare in possesso dei beni immensi lasciati dal duca».

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