«Mandò due navi poderose furono mandate a sorvegliare i passi delle Antille, collincarico di catturare il veliero olandese, temendo il conte di Medina che la figlia del Corsaro si recasse prima alla Tortue a chiedere lappoggio dei filibustieri, per riavere i beni che il governo spagnolo, dietro istigazione del governatore di Maracaybo, aveva sequestrati».
«E perché li aveva sequestrati?»
«Per vendicarsi del male che aveva fatto il Corsaro Nero alle colonie spagnole» disse don Raffaele.
«E chi amministra quei beni?» chiese Carmaux.
«Il bastardo del duca, il quale finirà poi per trattenerseli; e quei possessi, se non lo sapete, valgono una decina di milioni».
«E non li ha mai reclamati la duchessa di Wan Guld, la moglie del Corsaro?»
«Certo, ma senza risultato».
«Per cento milioni di aringhe salate!» esclamò Carmaux. «Ora comprendo, un po meglio di prima, perché quel briccone di governatore ci teneva a fermare la figlia del Corsaro ed averla nelle sue mani. Mio caro don Raffaele, ecco una bella occasione per salvare la vostra pelle e anche le vostre sostanze. Mimpegno io di farvele rispettare dai miei camerati, ma bisogna che voi ci fate trovare la fanciulla. «Se il governatore non lha condotta con sé»
«Di questo son certo» disse il piantatore.
«Allora deve essere ancora qui. Dove? A voi il dircelo».
Don Raffaele era rimasto silenzioso, colla fronte stretta fra le mani, come se pensasse profondamente. Ad un tratto si alzò dicendo:
«Sì, non può essere stata affidata che al capitano Valera».
«Chi è costui?» chiese Carmaux.
«Un intimo amico del conte di Medina e un po anche la sua anima dannata».
«Dove abita?»
«Nel convento dei Carmelitani».
«Non sarà fuggito?»
«Si sarà invece nascosto nei sotterranei che sono immensi e che si dice comunichino colla laguna».
«Che uomo è?»
«Un valoroso, capace di difendere a lungo la preda affidatagli».
«Non perdiamo tempo» disse Carmaux. «Se i sotterranei comunicano col lago, quel furfante potrebbe questa sera prendere il largo colla fanciulla».
«Avvertiamo il capitano» disse Wan Stiller.
«E prendete con voi degli altri uomini» disse don Raffaele.
«Siamo già in troppi noi due» rispose Carmaux. «Sappiamo maneggiare la spada come veri gentiluomini, è vero Wan Stiller?»
«Siamo allievi del Corsaro Nero, la prima e la più famosa lama della Tortue» rispose lamburghese.
«Su in cammino» disse Carmaux.
Vuotarono lultima bottiglia e uscirono.
Due filibustieri carichi di vasi di argento e di arredi sacri, che avevano probabilmente rubati in qualche chiesa vicina, passavano in quel momento dinanzi alla taverna.
«Ohe, camerati» gridò loro Carmaux. «Avvertite senza ritardo il capitano Morgan che siamo sulle tracce della figlia del Corsaro Nero e che non sinquieti se tarderemo a tornare».
«Buona fortuna, Carmaux» risposero i due corsari, allontanandosi velocemente.
«Guidateci don Raffaele e non dimenticatevi che la vostra vita sta nelle mani della signora di Ventimiglia».
«Lo so» rispose il piantatore, con un sospiro che veniva proprio dal cuore, «e farò il possibile per salvarla».
Si diresse verso una viuzza che doveva essere qualche scorciatoia, aperta fra una piantagione dindaco e di canne da zucchero, facendo segno ai due filibustieri di seguirlo.
Dopo aver percorsi parecchi viottoli che separavano le ultime case della città dalle piantagioni e dalla laguna, don Raffaele si arrestò dinanzi ad un vecchio palazzo annerito dal tempo e che era sormontato da due torrette munite di campane.
«Il convento dei Carmelitani» disse.
«Sembra che sia stato lasciato dai suoi abitanti» disse Carmaux, che aveva osservato che la porta era aperta.
«Tutti sono fuggiti. Voi sapete che i corsari inglesi non risparmiano i nostri frati».
«È vero» rispose Wan Stiller.
«Entriamo?» chiese il piantatore.
«Perbacco!» esclamò Carmaux. «Voglio vedere quel bravo capitano, se ci sarà ancora».
«Sono certo che non è fuggito».
Spinsero la porta ferrata che era socchiusa e si trovarono in una sala vastissima, in una specie di chiesa con alcuni altari e molte torce.
Quantunque i filibustieri di Morgan non fossero giunti fino là, vi regnava un gran disordine. Banchi e sedie erano stati gettati sossopra; gli altari erano stati frettolosamente spogliati di quanto avevano di più prezioso ed in terra si vedevano quadri dimmagini sacre e crocifissi.
«È vasto questo monastero?» chiese Carmaux.
«Assai» rispose don Raffaele. «Ritengo però inutile frugare le sale e le celle. Se il capitano si trova ancora qui, si sarà nascosto nei sotterranei».
«Dove si trovano?»
Don Raffaele indicò un angolo della chiesa:
«Sotto quella pietra».
«Che abbia dei compagni il vostro capitano?»
«Lo ignoro».
«Ah! diavolo!» esclamò Carmaux. «Forse siamo stati imprudenti a non prendere con noi un rinforzo! Che cosa ne dici, amburghese?»
«Dico che siamo solidi e ben armati» rispose Wan Stiller, «e che non è questo il momento di rimandare limpresa».
«Tu parli come un libro stampato, compare. Giacché abbiamo cominciato, checché debba succedere, dobbiamo condurlo a termine».
Raccolse da terra un grosso cero, subito imitato dallamburghese, laccese e si diresse verso langolo indicato dal piantatore.
«Spero, don Raffaele» disse, «che non ci attirerete in qualche agguato. Io andrò innanzi, ma il mio compagno vi terrà dietro colla spada in mano e vi avverto che quando vibra un colpo inchioda un uomo come uno scarafaggio».
Il piantatore fece un cenno affermativo col capo e si asciugò il sudore che gli bagnava la fronte.
Entro una specie di nicchia si vedeva una pietra circolare, fornita dun anello di ferro, che pareva lingresso di una tomba. Ed infatti si vedevano delle lettere incise sulla lastra e anche uno stemma, che rappresentava due leoni rampanti su una fascia diagonale.
«Qui» disse il piantatore con voce soffocata.
Carmaux passò la canna dellarchibugio nellanello e aiutato dallamburghese levò e rovesciò la pietra.
Un tanfo di muffa e daria corrotta sfuggì dal foro, facendo indietreggiare i due corsari.
«Un rifugio punto profumato» disse Carmaux. «Possibile che quel capitano si sia rifugiato qui dentro?»
«Sì» disse il piantatore.
«Da chi lo avete saputo voi?»
«Dal governatore e dal padre superiore del monastero».
«Sapete molte cose voi, don Raffaele. È stata una vera fortuna lavervi incontrato quella sera del combattimento dei galli».
«O una disgrazia?»
«Per voi forse, non certo per noi» disse Carmaux ridendo. «Orsù scendiamo».
Una scaletta di pietra a chiocciola conduceva nei sotterranei del monastero. Carmaux snudò la spada, accese anche la torcia dellamburghese, poi scese coraggiosamente, badando dove metteva il piede.
Don Raffaele lo seguiva brontolando; Wan Stiller veniva per ultimo col moschetto armato.
Dopo quindici gradini, i due filibustieri ed il piantatore si trovarono in una specie di cripta, sulle cui pareti, semi-murate, si vedevano dei feretri di pietra con degli stemmi e delle iscrizioni.
«Sono i sepolcri del monastero?» chiese Carmaux, facendo una smorfia.
«Sì» rispose don Raffaele.
«Il luogo è veramente poco allegro. Dove andiamo ora?»
«Entrate in quella galleria; conduce, ne sono certo, al rifugio del capitano Valera».
«Sarà solo colla figlia del Corsaro Nero?»
«Io non posso saperlo, ve lo dissi già».
«Andiamo, compare» disse Carmaux, volgendosi verso lamburghese. «Non voglio che questuomo creda che noi abbiamo paura».
«Sarà solo colla figlia del Corsaro Nero?»
«Io non posso saperlo, ve lo dissi già».
«Andiamo, compare» disse Carmaux, volgendosi verso lamburghese. «Non voglio che questuomo creda che noi abbiamo paura».
Alzò la torcia per meglio vedere dove metteva i piedi e sinoltrò risolutamente nel corridoio, tenendo la punta della spada diritta innanzi a sé. Anche in quel corridoio si vedevano numerose tombe e anche dei monumenti, rappresentanti per lo più dei cavalieri spagnoli con corazze, spade ed elmetti.
Dopo qualche minuto giunsero dinanzi ad un cancello di ferro semiarruginito, che non era chiuso.
Al di là si vedeva una seconda cripta e allestremità, Carmaux e Wan Stiller scorsero, con viva gioia, una sottile striscia di luce che si proiettava dallumido e nero pavimento del sotterraneo.
«Ci siamo» mormorò Carmaux, spegnendo rapidamente le due torce.
«Ho mantenuta la mia promessa?» chiese don Raffaele.
«Da gentiluomo» rispose Carmaux. «È ben là che noi troveremo la figlia del Corsaro Nero?»
«Ne son certo».
«Le hanno scelta una ben brutta prigione».
«Bisognava sottrarla alle vostre ricerche».
«Compare Wan Stiller, preparati a battagliare» disse Carmaux. «Il capitano non si arrenderà senza lotta».
«Di questo non ne dubito» disse don Raffaele. «È un valoroso».
Savvicinarono cautamente a quella striscia di luce e saccorsero che sfuggiva al disotto di una porta.
Carmaux accostò un occhio alla toppa che era abbastanza larga e guardò attentamente, rattenendo il respiro.
Al di là, vi era una stanza piuttosto vasta, colle pareti coperte da tavoloni di legno e arredata semplicemente, non essendovi che alcuni scaffali e delle vecchie poltrone a bracciuoli in pelle di Cordova. Due uomini stavano seduti dinanzi ad una tavola che si trovava nel mezzo e parevano intenti a finire una partita agli scacchi.
Uno aveva laspetto dun gentiluomo e indossava anche lelegante costume dei ricchi spagnoli, laltro sembrava un soldato, avendo indosso la corazza ed in testa un mezzo elmetto dacciaio con una piuma.
«Non sono che due» disse Carmaux sottovoce, volgendosi verso lamburghese.
«È aperta la porta?»
«Mi sembra».
«Spingi ed entriamo. E le torce?»
«La stanza è illuminata e non ne avremo bisogno».
«Avanti dunque».
Carmaux spinse violentemente la porta, che non doveva essere stata assicurata internamente e sinoltrò colla spada in pugno, dicendo con voce un po ironica: «Buona sera, signori!»
Capitolo ottavo. Un duello terribile
I due giuocatori, vedendo entrare quei tre personaggi, di cui due armati di spada e darchibugio, balzarono rapidamente in piedi, allontanando le sedie.
Colui che pareva un gentiluomo, era di statura piuttosto alta, magro come un biscaglino, colle gambe e le braccia estremamente lunghe e poteva avere una quarantina danni.
Il suo volto, dai lineamenti duri, angolosi, con due occhi grigi dal lampo vivido, non era affatto piacevole.
Laltro, che doveva essere un soldato, era invece piuttosto tozzo, basso di statura ed abbronzato come un indiano o per lo meno come un meticcio.
Aveva gli occhi nerissimi invece ed i lineamenti assai meno duri del compagno, quantunque avesse nellinsieme qualche cosa che ricordava il muso astuto e feroce del coguaro.
«Chi è di voi che si chiama il capitano Valera?» chiese Carmaux sempre ironico, scoprendosi con finta cortesia il capo.
«Sono io» rispose luomo magro squadrandolo dal capo alle piante. «E voi chi siete?»
«Vi preme saperlo?»
«Certo, prima di cacciarvi di qui a calci».
«Ah! È una cosa un po difficile, mio signore» disse il filibustiere ridendo. «Ho dunque lonore di dirvi che noi siamo due corsari agli ordini del capitano Morgan».
Una bestemmia era sfuggita dalle labbra dello spagnolo.
«Chi vi ha guidati qui?»
Carmaux aveva gettato un rapido sguardo verso la porta e non vide che lamburghese. Il prudente don Raffaele non aveva osato comparire dinanzi al capitano, che probabilmente lo conosceva.
«Siamo venuti di nostra iniziativa» disse, ritenendo inutile compromettere il piantatore.
«E che cosa volete?»
«Nullaltro che la restituzione della signora di Ventimiglia, che il conte di Medina vi ha affidata».
«Chi ve lo disse?» gridò il capitano, sfoderando rapidamente la spada.
«Adagio colle armi» disse Carmaux, facendo due passi innanzi, mentre lamburghese alzava larchibugio.
«Ci minacciate?»
«Siamo gente di guerra, mio caro signore. Basta! Abbiamo chiacchierato abbastanza e non abbiamo tempo da perdere. Consegnateci la figlia del Corsaro Nero».
«Alcazar, a me!» urlò il capitano. «Cacciamo questi gaglioffi».
Il soldato era già balzato innanzi snudando la spada, e con un urto improvviso aveva rovesciata la tavola, gettando a terra il candeliere.
Wan Stiller aveva fatto fuoco sul capitano, ma in causa dellimprovvisa oscurità aveva mancato il colpo.
«Mano alla spada, compare!» urlò Carmaux. «Ci piombano addosso.
«Don Raffaele, accendete una torcia!»
Nessuno rispose.
«Tuoni dAmburgo!» gridò Wan Stiller, indietreggiando verso la porta, e menando colpi allimpazzata per impedire ai due spagnoli di accostarsi. «Il piantatore è scappato come una lepre!»
«Tieni testa tu per qualche minuto?»
«Sì, compare».
Carmaux, indietreggiando, aveva ritrovata la porta. Avendo lasciate le due torce nel corridoio, appoggiate alla parete, savanzò a tentoni per ritrovarle ed accenderle, avendo con sé lacciarino e lesca.
Lamburghese, che non correva più il pericolo di venire colpito dal compagno, tirava stoccate in tutte le direzioni e si copriva con mulinelli fulminei, urlando a squarciagola.
«Avanti, se losate! Prendete questa, capitano! A te, soldataccio, che tremi come un coniglio! Tuoni dAmburgo! Vi faccio in cinquemila pezzi!»
I due spagnoli, trincerati dietro la tavola, tiravano anchessi colpi allimpazzata, per tener lontani gli avversari, e non facevano meno fracasso gridando:
«Ladri!»
«Assassini!»
«Fuori di qui, bricconi!»
«Volete la figlia del Corsaro? Eccola colla punta dacciaio».
Mentre i tre uomini battagliavano contro le tenebre, senza osare fare un passo innanzi, Carmaux trovò finalmente le torce, ma non il piantatore, il quale aveva approfittato per darsela a gambe. Carmaux ne accese una.
«Vedremo ora come se la caveranno» disse.
Spalancò la porta e si precipitò nella sala sotterranea, urlando:
«Giù le armi o vi uccidiamo!»
Invece di abbassare le spade, i due spagnoli si posero in guardia, gridando:
«Avanzatevi, se losate!»
Carmaux piantò la torcia in una fessura del pavimento, e si fece innanzi, dicendo:
«A te il soldato, a me il capitano».
«Sì» rispose lamburghese.
Prima però dincrociare la lama, Carmaux fece un ultimo tentativo.
«Siamo allievi del Corsaro Nero, che fu il più formidabile spadaccino della Tortue» disse. «Noi vi uccidiamo, questo è certo. Volete arrendervi e consegnarci la signora di Ventimiglia?»
«Il capitano Valera non si arrende ad un mascalzone pari tuo» rispose lo spagnolo. «Vedrai come ti scucirò il ventre».
«Tuoni dellaria! A noi due!»
Carmaux con un salto si era gettato verso la tavola, dietro la quale si tenevano i due spagnoli ed aveva incrociata la spada col capitano.
Wan Stiller, dal canto suo aveva girato lostacolo, piombando addosso al soldato, il quale era stato costretto a lasciare il riparo per non farsi prendere alle spalle.