Il Guercio però, che temeva forse qualche sorpresa, si affrettò dopo alcuni passi a metterglisi al fianco, narrandogli delle pesche prodigiose che faceva sulle coste di Ceylon, quando non era ancora stato condannato alla deportazione in quel penitenziario. Pareva che cercasse di stornare lattenzione del macchinista; questi invece non lo perdeva di vista un solo momento e lo sorvegliava strettamente, cercando nel medesimo tempo di trarlo lontano dal luogo ove si trovava il piccolo deposito di viveri, senza darlo a vedere.
Il Guercio, a cui premeva di non tradirsi, si arrendeva senza resistenza, ma i suoi occhi scandagliavano le rocce che formavano la scogliera con una insistenza che faceva venire i brividi al mulatto. Con una scusa qualsiasi si arrestava quando scorgeva qualche crepaccio, perlustrandolo attentamente coi suoi sguardi furbeschi, balzava sulle rocce per meglio osservare se sulla spiaggia vi fossero dei granchi e di quando in quando fingeva dincespicare e si lasciava cadere, quando poteva vedere qualche fenditura.
Jody osservava tutte quelle manovre sospette, tuttavia si studiava di non farci caso. La sua destra stringeva sempre il coltello, pronto a qualsiasi sbaraglio, a qualsiasi rischio.
Giunti allestremità della scogliera senza aver scorto alcun granchio, Jody si fermò, dicendogli:
«Avevo ragione io di dirti che qui i granchi non vengono più. Sono stati troppo spaventati.»
Il cingalese non rispose subito. Ritto sulla cima duna roccia, guardava insistentemente una spaccatura, semicoperta da sterpi, che sapriva a qualche metro dal livello dellacqua e che poteva essere lentrata di qualche caverna. Jody aveva seguito quello sguardo.
«Che cosa guardi?» chiese con voce minacciosa.
«Mi pareva di aver scorto, in mezzo a quelle punte rocciose, uno swordfish, rispose il cingalese, pacatamente. Sono eccellenti, sai Jody quei pesci. Li conosci tu?»
«Tu parli dei pesci velieri, mi pare.»
«Sì.»
«Io non vedo nulla.»
«Eppure giurerei su Godama di aver scorto la sua natatoia dorsale e anche la sua lunga spada.»
«Va a prenderlo dunque,» disse Jody con impazienza.
«Se avessi una fiocina, non me lo lascerei scappare.»
«Giacché non labbiamo, è inutile che ci soffermiamo qui. Torniamo verso i cocchi; non sono già venuto qui a fare una partita di chiacchiere con te, Guercio.»
«Sì, andiamo a prendere qualche granchio pel governatore,» rispose il cingalese.
Sincamminarono luno presso laltro, seguendo la cresta della scogliera. La luna, al suo ultimo quarto, salzava allora sullorizzonte specchiandosi in mare ed una fresca brezza soffiava da levante facendo stormire dolcemente le foglie piumate dei cocchi. Alla base della scogliera la risacca rumoreggiava, accartocciando le onde con ritmo monotono e rigettando sulla sabbia le conchiglie.
Avevano percorso una cinquantina di passi, costeggiando sempre i boschetti, quando il cingalese, che pareva ruminasse da un po qualche cosa nel suo cervello, chiese improvvisamente al macchinista:
«Hai più veduto Palicur?»
«Il malabaro? domandò Jody. No, non lho più veduto; mi hanno detto che è ancora allinfermeria e per causa tua.»
«Cioè sua,» rispose il cingalese.
«Sia come vuoi, ma vorrei sapere perché mi hai fatto quella domanda,» disse il mulatto, guardandolo sospettosamente.
«Sai che ho saputo una bella storia sul suo conto?»
«E quale?»
«Che egli si trova al bagno per aver ucciso due o tre tiruvamska dellantico monastero di Annarodgburro.»
«Che i granchi mi strappino un braccio se io so che cosa tu voglia dire,» rispose il macchinista, alzando le spalle.
«E ha una fanciulla in quel monastero.»
«Non so nulla io.»
«E si dice che egli sia un discendente degli antichi rajah di Calicut.»
«Tu mi narri delle frottole,» disse Jody.
«No, è Palicur che ha detto ciò alleuropeo, e quando narrò la sua storia io lho udito più volte singhiozzare. Mi trovavo nella cella prossima a quella da loro occupata ed ho potuto udire tutto.»
«E che cosa importa a me quella storia?»
«È vero, sono uno stupido, disse il cingalese ridendo. Non può interessarti, avendo noi tutti una storia. È meglio che ci occupiamo dei granchi. Ne troveremo altri? Il mio non lo cederò al governatore; me lo hai regalato e me lo mangerò.»
«Nessuno te lo disputa; daltronde non torneremo con quello solo. Vieni nella macchia dove ho collocato le noci di cocco cotte nel forno. A questora ve ne saranno altri che stanno mangiandole.»
Si diressero verso il gruppo di piante impugnando la mazza e, giunti sul margine, udirono subito gli scricchiolii prodotti dalle poderose tenaglie dei crostacei sui gusci delle frutta. Cinque o sei granchi erano calati dagli alberi od erano sorti dal mare e si erano gettati avidamente sulle esche. «Addosso, Guercio!» gridò Jody.
Si precipitarono in mezzo alle piante percuotendo furiosamente i dorsi dei poveri animali, i quali invano cercavano di far fronte a quella grandine, allungando ed agitando minacciosamente le loro branche.
In meno dun minuto furono tutti a terra semi-fracassati, colle zampe spezzate, spargendo intorno quellodore particolare ai granchi ed ai gamberi, che emanava dalle loro ferite.
«Ne abbiamo abbastanza per questa sera, disse Jody. Uno a me, uno tu lhai già e gli altri al governatore. Imbarchiamoli e torniamo al penitenziario.»
«Dormirei volentieri su questa scogliera, disse il cingalese. Si sta bene qui.»
«Non compromettermi, Guercio, rispose il macchinista. Se io non ti riconducessi si potrebbe credere che io avessi cercato di farti fuggire e la doppia catena non amo portarla per nessuno.»
«Forse nessuno sinquieterebbe al penitenziario se io tornassi domani. Hanno fiducia in me.»
«Ma non ne ho io, rispose asciutto Jody. Se tu fuggissi ne andrei di mezzo io. Basta, Guercio, non dire sciocchezze od io vado ad avvertire i guardiani.»
«Non ce nè bisogno; torno con te.»
Trasportarono i granchi nella scialuppa, sciolsero la fune e presero i remi, avviandosi lentamente verso la baia. Un quarto dora dopo giungevano dinanzi allimbarcadero che in quel momento non era vigilato, non essendo ancora stato suonato il copri-fuoco.
«Prendi il tuo granchio e vattene,» disse Jody.
«E tu? chiese il cingalese, guardandolo maliziosamente. Volevo invitarti a cenare con me; sai che domani dovrò tornare al cantiere e che non ci rivedremo più per qualche settimana.»
«Ho da portare i granchi al governatore e ricevere gli ordini per domani.»
«Allora buona notte, Jody, disse il Guercio, mettendosi sulle spalle il granchio regalatogli e allontanandosi. Guardati dai cattivi incontri».
«Quali?»
Il cingalese rispose con una risata e scomparve sotto gli alberi del viale.
Il macchinista rimase sulla spiaggia con una mano affondata nella fascia dove celava il coltello, in preda ad una terribile perplessità.
«Avrei fatto meglio ad ucciderlo, disse con voce irata. Quel furfante sa troppe cose ed ho paura che venga a guastare i nostri progetti. Mi ha spiato, ne sono certo, e sa che io da tempo vado accumulando dei viveri entro quel crepaccio. Come ha fatto a saperlo? Che sia uno stregone od un demonio costui?
«Fortunatamente domani, se tutto va bene, noi saremo lontani di qui e sulla scogliera non rimarrà un solo biscotto, né una briciola di pesce secco. Non perdiamo tempo. Sono già le dieci.»
Gettò i granchi entro una carriola, lasciandone però uno nella scialuppa, e li portò nella casa del governatore, poi collo stesso rotabile savviò verso il piccolo deposito di carbone, mormorando:
«Cerchiamo dimbarcarne più che si può! Nella rapidità sta la nostra salvezza. Avanti e coraggio.»
6. La fuga dei forzati
Mentre il bravo mulatto preparava la fuga, il quartiermastro della Britannia ed il pescatore di perle si accingevano con grande sangue freddo e coraggio disperato alla terribile impresa, che poteva costare loro la vita, perché non ignoravano che le sentinelle disposte intorno al penitenziario avevano lordine di sparare addosso a chiunque lasciava di notte i dormitori e linfermeria. Per una combinazione fortunata, nessun ammalato era stato condotto in quei giorni nel loro reparto, sicché potevano agire senza testimoni pericolosi.
Dopo la visita serale fatta dal medico, avevano finto di addormentarsi subito, facendosi abbassare il lucignolo della lampada da Foster, il quale si era ben guardato di lasciare ad altri il primo quarto della mezzanotte, per non perdere la bottiglia promessagli da quella perla di mulatto, da quel bravo giovane dal cuore così largo.
Rannicchiati sotto le coperte i due forzati attendevano, in preda ad una certa angoscia, lo squillo che annunciava il copri-fuoco e la visita di Jody, il quale doveva recare loro, come la sera innanzi, un paio di bicchieri di ginepro. Il quartiermastro aveva già tratto dal nascondiglio la piccola sega circolare, un vero capolavoro di meccanica, mosso da un sistema di orologeria che doveva far funzionare il disco dentato contro le sbarre di ferro delle finestre; mentre il malabaro, le cui ferite si erano quasi rimarginate, levate due lenzuola da un letto vicino, le aveva rapidamente annodate per potersi calare sul tetto del magazzino senza correre il pericolo di rompersi il collo.
Un passo piuttosto leggero, ad essi ben noto, ed una esclamazione gioconda di Foster, il quale vegliava nellattiguo corridoio, li avvertì finalmente che il momento di agire era imminente.
Jody era entrato portando la bottiglia promessa a quel beone dirlandese, onde diventasse cieco e sordo.
«Taspettavo, figliol mio, disse il guardiano. Non ho mai provato una sete così terribile come questa sera.»
«Sono sempre di parola, rispose il mulatto. È una bottiglia uguale a quella di ieri ed esce dalla cantina del governatore.»
«Figliol mio, disse lirlandese, non vorrei che fossero le tue mani anziché quelle del signor governatore a tirarle fuori dalle tenebre. Tanta generosità da parte di quel signore, e verso un forzato, mi pare poco naturale. Bada, Jody, io sono un galantuomo innanzi tutto, e non tengo mano ai ladri.»
«Oh! Signor Foster! esclamò il macchinista, fingendosi addolorato e nello stesso tempo indignato. Mi credereste capace di derubare il governatore? Potete berla con animo tranquillo: ho ucciso, è vero, e mi hanno condannato; ma non ho mai rubato.»
«Sono stato uno stupido a sospettare di te, disse lirlandese. Dammi la bottiglia, cuor doro, e facciamo la pace.»
«Un bicchiere prima agli ammalati, se me lo permettete.»
«Sì, va, buon figliuolo.»
Jody empì, come la sera precedente, le due tazze e mentre lirlandese dava lattacco alla bottiglia, entrò nellinfermeria chiudendo la porta.
Il quartiermastro ed il malabaro si alzarono subito.
«Tutto va bene, disse rapidamente il macchinista. Non vi sono che due sentinelle lungo il viale ed ho promesso di vuotare insieme a loro un litro di gin. Passate dietro la siepe e andate ad aspettarmi nella scialuppa.»
«E Foster?» chiese Will.
«Sta bevendo e fra poco sarà così ubriaco da non vedere né udire nulla. È montata la sega?»
«Sì.»
«Agite subito, mentre io trattengo quellubriacone per qualche minuto, e non scendete dal letto finché non mi vedrete uscire.»
«E il Guercio?» chiese Palicur.
«È da lui che dovete guardarvi. Quel cane veglierà, non ne dubitò. Suvvia, bevete, spegnete il lume e filate. Se non riusciamo questa notte, non scapperemo più mai, perché temo che il Guercio abbia indovinati i nostri disegni.»
Diede loro le tazze, fece cenno di non far rumore, passando spense la lampada, e raggiunse il sorvegliante che non aveva cessato di baciare la preziosa bottiglia.
Appena la porta fu chiusa, udirono il mulatto dire allirlandese:
«Si sono riaddormentati quei poveri diavoli. Non sono abituati al ginepro del governatore.»
Il quartiermastro ed il malabaro scivolarono giù dai letti portando con loro la macchinetta e le lenzuola annodate.
«Puoi reggerti?» chiese Will allindiano.
«Non temete per me, se il dorso è ancora malandato, le ossa sono intatte e i muscoli sempre solidi.»
Stettero un momento in ascolto e, udendo nel corridoio il macchinista e lirlandese chiacchierare, saccostarono a una delle quattro finestre, quella situata presso langolo, la più lontana dalla porta dingresso.
Il quartiermastro con una chiavetta montò la macchinetta che nella forma rassomigliava ad una bussola, munita duna piccola sega circolare sporgente dacciaio temperato, della circonferenza di sei o sette centimetri, e laccostò ad una delle sbarre.
Tosto la sega si mise a girare rapidissima, mordendo il ferro, senza produrre quasi rumore. Will, seguendo le istruzione del mulatto, laveva già abbondantemente unta collolio sottratto alla lampada, onde non producesse alcun stridore.
«È meraviglioso questo minuscolo congegno, disse il quartiermastro, che si sentiva spruzzare da piccoli frammenti metallici. Vi sono pochi meccanici abili come quel Jody. Questa sega vale un tesoro.»
«Morde bene?» chiese il malabaro sottovoce.
«Fra mezzo minuto questa sbarra sarà segata.»
«Saremo costretti a toglierne quattro ed a compiere otto tagli.»
«È questione di cinque minuti: là, guarda, è finita..»
«Recisa?»
«Sì.»
«Dallaltra parte, signor Will.»
Il quartiermastro ricaricò la molla e ricominciò sullopposta estremità della sbarra.
Nel frattempo nel corridoio si udivano sempre la voce un po nasale del mulatto e quella rauca dellirlandese. Il primo teneva a bada il secondo, raccontandogli delle storielle amene che lo facevano di quando in quando ridere; ma che glimpedivano di fare una improvvisa visita nellinfermeria, cosa poco probabile daltronde, almeno finché vi era del ginepro nella bottiglia.
In capo a cinque o sei minuti le quattro sbarre erano a terra.
«È fatto, disse il quartiermastro, respirando a pieni polmoni la brezza fresca della notte. Dammi le lenzuola.»
Annodò solidamente un capo ad una delle sbarre superiori, poi guardò giù, lasciandole pendere.
«Il lenzuolo tocca il tetto del magazzino, disse al malabaro. La misura è giusta.»
«Vedete nessuno?»
«Solo gli alberi.»
«Che ci sia qualche sentinella lì sotto, dinanzi alla porta del magazzino?»
«Jody ci avrebbe avvertiti. Prendi una sbarra che potrà servire come arma di difesa in caso di pericolo e scendi per primo.»
«Sì, signor Will.»
Il malabaro scavalcò il davanzale, saggrappò alle lenzuola e si lasciò scivolare, stringendo fra i denti una delle sbarre divelte.
Quando il quartiermastro lo vide toccare il tetto, a sua volta discese.
«Adagio, signore, gli sussurrò il malabaro. Il tetto è di stoppie e scricchiolerà sotto i nostri piedi. Può esservi qualche guardiano che dorme sotto di noi.»
«È probabile, rispose il quartiermastro, asciugandosi la fronte. Diavolo, io non avevo pensato a questo.»
«Non facciamo rumore, signore. Le sentinelle non indugerebbero a farci fuoco addosso, se qualcuno desse lallarme.»