La regina dei Caraibi - Emilio Salgari 5 стр.


«Allora fra poco saranno qui.»

«Troveranno un osso duro da rompere,» rispose Carmaux. «Andiamo a barricare il passaggio della torricella. Mille balene!»

«Che hai? chiese il Corsaro.

«Un assediato senza viveri è un uomo morto. Prima di barricarci pensiamo a procurarci qualche cosa da porre sotto i denti.»

«Non preoccupatevi,» disse la giovane indiana. «Ci penso io a procurarvi dei viveri.»

«La piccina ha del fegato, disse Carmaux vedendola scendere tranquilla come se dovesse compiere una cosa semplicissima.

«Seguila,» gli disse il Corsaro. «Se gli spagnuoli la sorprendono a portarci dei viveri, potrebbero ucciderla.»

Carmaux snudò la sciabola e scese dietro alla giovane, deciso a proteggerla a qualsiasi costo. Wan Stiller e Moko, armati di scure, stavano per tagliare la scala onde impedire agli spagnuoli di salire al piano superiore, nel caso che fossero riusciti a sfondare la porta della torretta.

«Un momento, amici,» disse loro Carmaux. «Prima i viveri, poi la scala.»

«Aspettiamo i tuoi ordini,» rispose Wan Stiller.

«Intanto vieni con me. Cercheremo di provvederci di buone bottiglie. Don Pablo deve averne di quelle molto vecchie che faranno bene al nostro capitano.»

«Vi è qui una cesta che sembra fatta appositamente per contenerle,» disse lamburghese, impadronendosi dun grande paniere che si trovava in un angolo della stanzetta.

Lasciarono il loro rifugio ridiscendendo negli appartamenti di don Pablo. La giovane indiana era già entrata in una stanza dove si conservavano le provviste della casa e, riempito un paniere di ogni specie di vivande, tornava frettolosamente nella torretta.

Carmaux e Wan Stiller vedendo molte bottiglie polverose allineate su duno scaffale, saffrettarono ad impadronirsene. Tuttavia ebbero anche il buon senso di prendere due secchi ripieni dacqua.

Stavano per slanciarsi fuori, quando nel corridoio inferiore udirono dei passi affrettati.

«Vengono! esclamò Carmaux, impadronendosi rapidamente del paniere.

Infilarono il corridoio che conduceva nella torricella, affrettando la corsa. Stavano per entrare nella porticina, dietro la quale li attendeva compare sacco di carbone, quando allestremità opposta videro comparire un soldato.

«Ehi! Alt o faccio fuoco!» gridò lo spagnuolo.

«Appiccati!» rispose.

Uno sparo rintronò e la palla andò a forare precisamente uno dei due secchi che portava lamburghese. Lacqua zampillò attraverso il foro.

Carmaux chiuse in fretta la porta mentre delle urla di rabbia echeggiavano nel corridoio.

«Barrichiamoci! gridò al negro.

In quella stanza vi erano parecchi mobili fuori duso; dei tavoli, una credenza monumentale, dei canterani e parecchie sedie molto pesanti.

In pochi minuti accumularono quei mobili dinanzi alla porta formando una barricata così massiccia, da sfidare le palle dei moschetti.

«Devo tagliare la scala?» chiese Moko.

«Non ancora,» rispose Carmaux. «Ne avremo sempre il tempo.»

«Assaliranno la porta.»

«E noi risponderemo, Compare sacco di carbone. Bisogna cercare di resistere più che si può. Daltronde le munizioni non ci fanno difetto.»

«Io ho cento cariche.»

«Ed io e Wan Stiller ne abbiamo altrettante, senza contare le pistole del capitano.»

In quel momento gli spagnuoli giungevano dietro alla porta.

«Aprite o vi uccideremo tutti!» gridò una voce imperiosa, martellando le tavole col calcio dun moschetto.

«Adagio, signor mio,» rispose Carmaux. «Non bisogna avere tanta fretta, che diavolo! Un po di pazienza, mio bel soldato.»

«Sono un ufficiale e non un soldato.»

«Ho molto piacere di saperlo,» disse Carmaux con voce ironica.

«Vintimo la resa.»

«Oh!»

«E subito.»

«Uh! che furia!»

«Non abbiamo tempo da perdere noi.»

«Noi invece ne abbiamo molto,» disse Carmaux.

«Non scherzate; potreste pentirvi.»

«Parlo seriamente. Vi pare che questo sia il momento di scherzare?»

«Il comandante della città vi promette salva la vita.»

«Purchè ce ne andiamo? Ma se non desideriamo altro!»

«Ad una condizione però.»

«Ah! Vi sono delle condizioni?»

«Che cediate a noi la vostra nave, armi e munizioni comprese,» disse lufficiale.

«Mio caro signore, voi avete dimenticato tre cose.»

«E quali?»

«Che noi abbiamo le nostre case alla Tortue; che la nostra isola è lontana e finalmente che noi non sappiamo camminare sullacqua come S. Pietro.»

«Vi si darà una barcaccia onde voi possiate andarvene.»

«Uhm! Le barcacce sono incomode, mio signore. Io preferisco tornarmene alla Tortue colla Folgore.»

«Allora vi appiccheremo,» gridò lufficiale che solamente allora erasi accorto dellironia del filibustiere.

«Sia pure, badate però ai dodici cannoni della Folgore. Lanciano certi confetti da buttar giù le vostre catapecchie e da radere al suolo anche il vostro forte.»

«La vedremo. Ohe! Buttate giù quella porta!»

«Compare sacco di carbone, tagliamo la scala,» disse Carmaux, volgendosi verso il negro.

Salirono entrambi al piano superiore e con pochi colpi di scure spezzarono la scala, ritirando i rottami. Ciò fatto chiusero la botola mettendovi sopra una vecchia e pesante cassa.

«Ecco fatto,» disse Carmaux. «Ora salite se ne siete capaci.»

«Sono già entrati gli spagnuoli?» chiese il Corsaro Nero.

«Non ancora, capitano,» disse Carmaux. «La porta è solida e ben barricata e avranno molto da fare per forzarla.»

«Sono in molti?»

«Lo credo capitano.»

Il Corsaro stette un momento silenzioso, poi chiese:»

«Che ora abbiamo?»

«Sono le sei.»

«Dobbiamo resistere fino alle otto di questa sera prima di fare il segnale a Morgan.»

«Resisteremo, signore.»

«Non perdete tempo, miei bravi. Quattordici ore sono lunghe.

«Andiamo, compare sacco di carbone,» disse Carmaux, prendendo larchibugio.

«Sarò anchio della partita,» disse lamburghese. «Fra noi tre faremo prodigi e impediremo agli spagnuoli lentrata, almeno fino a questa sera.»

I tre valorosi riaprirono la botola e appoggiata unasta della scala si lasciarono scivolare nel piano inferiore, decisi a farsi uccidere piuttosto che arrendersi.

Gli spagnuoli intanto avevano cominciato ad assalire la porta, percuotendo le tavole coi calci dei loro moschetti, però fino a quel momento non avevano ottenuto alcun successo. Ci volevano delle scuri ed una catapulta per aprire una breccia in quella barricata massiccia.

«Appostiamoci dietro a questa credenza e appena vediamo una fessura, facciamo fuoco,» disse Carmaux.

«Siamo pronti,» risposero il negro e lamburghese.

Dopo un quarto dora, si udì al di fuori una voce a gridare:

«Largo!»

«Qualche nuovo rinforzo?» chiese il negro, aggrottando la fronte.

«Temo qualche cosa di peggio,» rispose Carmaux, con accento inquieto.

«Cosa vuoi dire, compare bianco?»

«Odi!»

Un colpo tremendo, accompagnato da uno scricchiolìo prolungato, si fece udire.

«Adoperano la scure,» disse lamburghese.

«Si vede che hanno fretta di prenderci,» disse il negro.

«Oh! La vedremo,» rispose Carmaux, armando larchibugio. «Spero che noi terremo loro testa finchè le tenebre ci permetteranno di fare il segnale a Morgan.»

Gli spagnuoli continuavano a percuotere con maggior accanimento. Oltre la scure facevano anche uso dei calci dei moschetti e degli spadoni, cercando di schiodare le tavole della porta.

I tre filibustieri, non potendo pel momento respingere quellattacco, lasciavano fare. Si erano inginocchiati dietro la credenza tenendo pronti gli archibugi e anche le loro corte sciabole.

«Che furia!» disse ad un tratto Carmaux. «Mi pare che abbiano già aperta una fessura.»

«Io vedo un buco,» disse Moko, allungando rapidamente larchibugio.

Stava per far partire il colpo, quando una detonazione rintronò. Una palla, dopo daver smussato un angolo della credenza, andò a frantumare un vecchio candeliere che si trovava in un angolo della stanza.

«Ah! Cominciano!» gridò Carmaux, facendo un salto indietro.

«Per bacco! Bisogna che facciamo anche noi qualche cosa.» Savvicinò allangolo della credenza che era stato smussato dalla palla e guardò con precauzione, onde non ricevere una palla nel cranio.

Gli spagnuoli erano riusciti ad aprire uno squarcio nella porta ed avevano introdotto un altro moschettone.

«Benissimo,» mormorò Carmaux. «Aspettiamo che facciano fuoco.»

Con una mano afferrò larchibugio e cercò di spingerlo da una parte. Il soldato che lo aveva puntato, sentendo quellurto, lasciò partire il colpo, poi ritirò sollecitamente larma per lasciare il posto ad un altro.

Carmaux, pronto come il lampo, avanzò larchibugio e lo puntò attraverso lo squarcio.

Si udì una detonazione seguita da un grido.

«Toccato!» disse Carmaux.

«E prendi questa!» urlò una voce.

Un altro sparo rimbombò al di fuori e la palla, passando pochi pollici sopra il capo del filibustiere, spaccò di colpo la cornice superiore della credenza.

Contemporaneamente alcuni colpi di scure, bene appioppati, staccavano una tavola della porta. Quattro o cinque archibugi ed alcune spade furono introdotte.

«Badate,» gridò Carmaux ai compagni.

«Stanno per entrare?» chiese Wan Stiller, che aveva impugnato larchibugio per la canna, onde servirsene come duna mazza.

«Cè tempo,» rispose Carmaux.

In quel momento una voce gridò:

«Vi arrendete sì o no?

«Per farci fucilare? No, signor mio, non ne ho nessun desiderio pel momento.»

«Sfonderemo anche questo mobile che cimpedisce di entrare!» urlò lo spagnuolo.

«Fate pure, mio caro signore. Vi avverto però che dietro la credenza vi sono anche dei tavoli, e dietro ai tavoli degli archibugi e degli uomini decisi a tutto.»

«Vi appiccheremo tutti!»

«Avete almeno portato con voi la corda?»

«Abbiamo le cinghie delle nostre spade, canaglia!»

«Ci serviranno per strigliarvi per bene!» disse Carmaux.

«Compagni! Fuoco su questi furfanti!

Quattro o cinque spari rimbombarono: le palle andarono a conficcarsi nella credenza, senza riuscire ad attraversare le massicce tavole.»

«Che concerto clamoroso,» disse Wan Stiller. «Possiamo intuonare anche noi qualche pezzo rumoroso?»

«Siete liberi,» rispose Carmaux.

«Allora cercheremo di fare qualche cosa.»

Wan Stiller strisciò lungo la credenza e raggiunse langolo opposto nel momento in cui gli spagnuoli, credendo di fugare gli avversarii, facevano una nuova e più rumorosa scarica.

«Ci siamo,» disse. «Uno lo faccio partire di certo per laltro mondo.»

Un soldato aveva introdotto attraverso lo squarcio il suo spadone tentando di far saltare una tavola della credenza. Certo di non venire importunato dagli assediati, non si era nemmeno presa la briga di tenersi nascosto dietro la porta.

Wan Stiller che lo aveva veduto, allungò rapidamente larchibugio e lasciò partire il colpo.

Lo spagnuolo, colpito in pieno petto, lasciò cadere lo spadone, allargò le braccia e cadde addosso ai compagni che gli stavano dietro. La palla lo aveva fulminato.

Gli assalitori, spaventati da quellinaspettata fucilata, retrocessero mandando urla di furore.

Nellistesso momento in lontananza si udì a rombare cupamente il cannone.

Carmaux aveva mandato un grido:

«È un cannone da caccia della Folgore!»

«Tuoni dAmburgo!» esclamò Wan Stiller, diventando pallido come un cencio lavato. «Cosa succede a bordo del nostro legno?»

«Che sia un segnale?» chiese Moko.

«O che stiano per assalire la nostra nave?» si chiese Carmaux, con angoscia.

«Andiamo a vedere!» gridò Wan Stiller.

Stavano per slanciarsi verso la scala, quando nel corridoio sudì una voce a tuonare.

«Addosso, camerati! Il cannone tuona nella baia! Non mostriamoci da meno dei soldati del forte!»

«Per centomila squali!» urlò Carmaux. «Non ci lasciano un minuto di pace! Attenti allattacco!»

«Siamo pronti a riceverli,» risposero Moko e Wan Stiller.

Un secondo colpo di cannone rimbombò verso la costa, seguito da una nutrita scarica di fucileria.

Quasi nellistesso momento i soldati del corridoio, come se avessero attinto novello coraggio in quelle scariche, si precipitarono addosso alla porta, martellandola furiosamente coi calci dei moschetti e cogli spadoni.

«Attenti,» gridò Carmaux ai suoi compagni. «Qui si giuoca la pelle o la libertà!»

CAPITOLO V. LASSALTO ALLA FOLGORE

Udendo quel primo colpo di cannone, il Corsaro Nero, che da qualche minuto, vinto dallestrema debolezza causatagli dalla perdita del sangue, aveva chiuso gli occhi, erasi prontamente ridestato, alzandosi a sedere.

La giovane indiana, che fino allora era rimasta accoccolata presso il letto, senza mai staccare gli occhi dal volto del ferito, era pure balzata in piedi, indovinando già da qual parte veniva quella rumorosa detonazione.

«È il cannone, è vero, Yara?» le chiese il Corsaro.

«Sì, mio signore,» rispose la giovane indiana.»

«E tuona dalla parte del mare?»

«Sì, verso la costa.»

«Guarda cosa succede nella baia.»

«Temo che quella cannonata sia partita dalla vostra nave.»

«Morte dellinferno!» esclamò il Corsaro. «Dalla mia nave! Guarda Yara, guarda!»

La giovane indiana si slanciò verso la finestra e guardò in direzione della baia.

La Folgore stava ancorata nel medesimo posto, però aveva messa la prora verso la spiaggia, in modo da dominare coi suoi sabordi di tribordo il fortino della città. Sul suo ponte, lungo le murate e sul cassero, si vedevano numerosi uomini a muoversi, mentre altri salivano rapidamente le griselle per prendere forse posizione sulle coffe. Otto o dieci scialuppe, cariche di soldati, serano allora staccate dalla spiaggia e si dirigevano verso la nave, mantenendo fra di loro una notevole distanza.

Non era necessario essere pratici di cose guerresche, per comprendere che nella baia stava per avvenire un combattimento. Quelle scialuppe correvano rapide addosso alla nave, collintenzione di abbordarla e possibilmente di espugnarla.

«Signore,» disse la giovane indiana con voce alterata. «Si minaccia il vostro vascello.»

«La mia Folgore?» gridò il Corsaro, facendo atto di gettarsi giù dal letto.

«Cosa fate, mio signore?» chiese Yara, correndo presso di lui.

«Aiutami, fanciulla,» disse il Corsaro.

«Non dovete muovervi, mio signore.»

«Io sono forte, fanciulla mia.»

«Le vostre ferite si riapriranno.»

«Si rimargineranno più tardi odi!»

«Un altro colpo di cannone!»

Senza attendere altro sera avvolto in un ferraiuolo nero e con un potente sforzo di suprema volontà era disceso dal letto, mantenendosi ritto senza alcun appoggio.

Yara si era precipitata verso di lui, ricevendolo fra le braccia. Il Corsaro aveva fatto troppa fidanza sulle sue proprie forze e queste ad un tratto gli erano venute meno.

«Maledizione!» esclamò, mordendosi le labbra a sangue. «Essere impotente proprio in questo momento, quando la mia nave corre forse un grave pericolo! Ah! Quel sinistro vecchio finirà col portare sventura a tutti quelli della mia famiglia! Yara, fanciulla mia, lascia che mi appoggi alle tue spalle.»

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