Il segretario particolare di S. M. il Sultano del Borneo.
E perché siete venuto voi invece dellufficiale di porto?
Per portare più presto allambasciatore che la grande Inghilterra ci ha destinato, i saluti del mio signore.
Chi vi ha detto che io sarei giunto oggi?
Vi attendevamo da parecchi giorni, milord; e vedendo entrare il vostro yacht colla bandiera inglese, ci siamo subito immaginati che voi dovevate trovarvi qui.
A che ora potrò presentare al Sultano le mie credenziali ed i miei omaggi?
Vi riceverà, milord, nellaloun-aloun, dove oggi avremo uno splendido combattimento fra tori selvatici e tigri.
Volete far colazione con me?
No, milord: il mio Signore mi aspetta con impazienza, e la mia testa potrebbe correre qualche pericolo.
Chi verrà a prendermi?
Io, milord.
Potete andare.
Il segretario fece un profondo inchino e ridiscese nella barca, mentre Yanez si volgeva verso un dayaco di statura quasi gigantesca, chiedendogli:
Tu conosci la città, Mati?
Come il vostro yacht, padrone.
Io ti apro un credito illimitato, affinché tu mi acquisti prima di questa sera qualche palazzotto, ove possa dare delle feste e dei ricevimenti.
Mincarico io, padrone.
Allora possiamo far colazione concluse Yanez.
Due barche, cariche di frutta dogni specie: banane, noci di cocco, durion, mangostani ecc. erano in quel momento giunte.
Venivano da parte del Sultano, al quale premeva di tenersi caro lambasciatore del potente leopardo inglese.
Stavano per allontanarsi, dopo daver scaricato, quando un grido colpì i remiganti.
Help! Help!
Le due imbarcazioni si erano fermate, e i battellieri guardavano verso i sabordi di poppa. Yanez che aveva pure udito quel grido fece loro un cenno imperioso di allontanarsi.
Per Giove! esclamò il portoghese Questo Sir William minaccia di darmi già dei grattacapi.
Bisogna che dia lordine dora in poi che nessuna scialuppa si avvicini alla mia nave.
La tavola era stata preparata sul ponte sotto una tenda. Un buon cuoco indiano aveva preparata una colazione eccellente allinglese.
Yanez, che non era mai privo di appetito, fece la sua parte donore al pasto; poi dopo daver sorbita una buona tazza di caffè, andò a sdraiarsi su un seggiolone a dondolo collocato sul castello di prora, in attesa del ritorno del segretario.
La magnifica baia di Varauni si svolgeva dinanzi ai suoi occhi nitidamente e così pure la città, essendo i vari quartieri costruiti in prossimità del mare.
Un gran numero di barche solcava le acque, montate da malesi, da dayachi, da bornesi e da cinesi, i quali si recavano a sbarcare le merci di numerosi velieri schierati in buon ordine di fronte alla città.
Di quando in quando qualche grossa e massiccia giunca cinese, dalla prora quadra e la velatura a stuoie, usciva verso il largo accompagnata da non pochi prahos i quali spiccavano magnificamente, colle loro vele variopinte, sul luminoso orizzonte.
Gli equipaggi cantavano allegramente, lanciando delle note poderose che sfondavano gli orecchi, lieti di tornarsene al mare.
La baia di Varauni non era ormai più quella di una volta.
Nella sua profonda insenatura i pirati si erano radunati in buon numero per dare la caccia ai velieri che passavano al largo o che tentavano di entrare in relazioni amichevoli.
Si ricordano ancora le stragi orrende commesse da quei formidabili predoni del mare che non avevano per capo un Sandokan per frenarli.
Nel 1769 il capitano inglese Padler aveva tentato di ottenere un sicuro asilo dentro la baia, infuriando al di fuori una tempesta spaventevole.
La sera stessa tutto lequipaggio, compresi gli ufficiali, veniva trucidato a colpi di parangs e di kriss.
Nel 1788 era stata purtroppo la volta dun altro comandante inglese. Ancoratosi nella baia, vi era stato assalito da centinaia di prahos.
Malgrado la disperata difesa dellequipaggio, nessun marinaio era stato risparmiato da quei sanguinari predoni.
Nel 1800 fu al capitano Panien che toccò egual sorte. La strage fu completa, e la nave data alle fiamme per levarle le ferramenta e le lastre di rame, e formarne chiodi atti a caricare le loro spingarde.
Fra il 1806, il 1811 e il 1814 la pirateria ebbe un terribile risveglio.
Le navi che entravano nel porto venivano prese dassalto con ferocia inaudita e poi arse.
Ma una delle più grosse che fecero quei malandrini è la seguente. LInghilterra fino dal 1734 aveva stabilita una colonia allestremità dellisola di Balembang.
I pirati malesi vi piombano sopra e distruggono ogni cosa, aiutati dai sululiani.
Ben pochi coloni furono quelli che ebbero il tempo di salvarsi a Pulo-Condor, unisola mezza francese e mezza cinese, che si faceva ancora temere.
Nel 1809 gli scorridori del mare, furibondi di vedere la colonia ristabilita, piombano ancora su Balembang, trucidando inesorabilmente uomini, donne e fanciulli.
Quasi nello stesso tempo un maggiore olandese, certo Maller, che esplorava linterno del Borneo, veniva barbaramente assassinato dai cacciatori di teste fra le impenetrabili boscaglie di quella grande terra.
La pazienza dellInghilterra e dellOlanda, che aveva fiorenti colonie lungo le coste meridionali ed occidentali dellisola, era esaurita.
Era tempo di mettervi rimedio.
Le cannoniere vecchie e scarse di velocità incaricate dimpedire la pirateria, giungevano troppo tardi per sorprendere gli agilissimi prahos malesi che filavano col vento.
La finissima diplomazia inglese, daccordo col governo dellAja, aveva avuto, come sempre, un tratto di genio.
Giacché i pirati si professavano, a loro modo, mussulmani convinti, manda a prendere a Mascate un non si sa se vero discendente degli imani o se falso, e lo scaraventa fra quelle tribù di malandrini, col suo bravo turbante verde sul capo, come uno stretto parente del grande Maometto.
Pare impossibile, il Corano fa più effetto dei pezzi delle cannoniere inglesi ed olandesi!
Alla foce del cristallino Varauni, che scende dalle montagne dellinterno, si costruisce una città per ospitare degnamente il figlio del turbante verde, reduce dalla Mecca, che probabilmente non aveva mai veduta.
Lapparenza aveva salvato capra e cavoli. Il primo sultano, sapendo di aver per sudditi dei pirati impenitenti, dapprima aveva tollerato certe scorrerie.
Limpiccagione dellequipaggio di un praho, che aveva assalito uno yacht di piacere nelle acque di Mangalum, aveva prodotto su quei feroci scorridori una certa impressione.
Il veliero era entrato in porto con grappoli di appiccati, pendenti dai pennoni.
Vi era stata una sosta, ma durata pochissimo. La razza malese è prolifica come i vermi; non coltiva le sue terre duna fertilità meravigliosa e preferisce montare allabbordaggio.
Le distruzioni dei velieri continuarono negli anni seguenti, finché il figlio del Sultano, appoggiato dalle cannoniere di Labuan e di Pontianak, aveva posto rimedio ad uno stato di cose intollerabile, che poteva attirargli addosso i fulmini di quelle nazioni europee che avevano laggiù delle colonie.
La punizione era stata terribile. Il figlio del Sultano, sentendosi appoggiato dalle artiglierie degli uomini bianchi, un brutto giorno aveva fatto entrare nella baia una mezza dozzina di velieri pieni di appiccati.
La terribile azione servì.
A poco a poco la pirateria scomparve, tranne che al nord della grande isola bornese, dove i sultanelli si tenevano annidati in fondo alle loro profonde baie coperte di banchi di sabbia che rendevano inaccessibile lentrata alle cannoniere.
Ad ogni modo quel tratto di energia di Selim-Bargasci-Amparlang, il quale aveva creduto bene di aggiungere un nome malese al suo mussulmano, aveva dato maggiori frutti di prima.
Gli abbordaggi erano cessati e pochissimi se ne contavano nel 1848, quando fu conquistato Labuan da parte deglinglesi, sempre ferocemente invadenti.
Varauni, come tanti altri porti della Malesia, era diventato un asilo sicuro ai velieri che giungevano dallIndocina o da Canton o da Calcutta.
Ma quella calma poteva essere più apparente che reale, poiché il malese non può vivere senza montare allabbordaggio.
La polvere e il lampo dellacciaio lo inebriano; le grida di guerra e di morte lo entusiasmano al massimo grado.
Un uomo di grande volontà come Yanez avrebbe potuto scatenare un uragano e mettere Varauni a ferro ed a fuoco
Il cronometro di bordo segnava due ore meno dieci minuti, quando il gigantesco Mati fece la sua comparsa a bordo.
Dunque? chiese Yanez.
Tutto combinato, signore: vi ho preso in affitto una palazzina che somiglia al palazzo del Sultano, ammobiliata tutta in stile cinese.
Quando potrò prenderne possesso?
Questa sera stessa.
Chiama il mio chitmudgar.
Un momento dopo un indiano saliva sul ponte, dicendo:
Sono ai vostri ordini, Altezza.
Quando io sarò sbarcato, tu seguirai Mati, visiterai la palazzina che mi ha preso in affitto e preparerai tutto il necessario per dare domani sera una gran festa.
Sì, Altezza. Nientaltro?
Yanez non rispose. Aveva veduto staccarsi dalla riva la barca dipinta in rosso colle bordature doro, montata da dodici remiganti e dal segretario del Sultano.
Aprì una borsetta e levò diversi superbi gioielli.
Qui vi è da accontentare una mezza dozzina di favorite mormorò. Questa spedizione costerà cara, ma siamo sempre ricchi e poi la corona dellAssam non lho ancora impegnata.
La barca si avanzava rapidissima. I dodici battellieri si accompagnavano in cadenza col remo una selvaggia canzone.
Giunse in un lampo sotto la scala, ormeggiandosi, ed il segretario salì a bordo, dicendo:
Milord, il Sultano vi aspetta allaloun-aloun ed è molto impaziente di vedervi.
Veramente avrebbe potuto offrirmi un ricevimento ufficiale nel suo palazzo rispose Yanez freddamente.
Ormai lo spettacolo non si poteva rimandare, senza provocare, da parte della popolazione, dei disordini.
Partiamo.
Scese nella scialuppa, salutato dai battellieri da un urlo selvaggio identico a quello che usavano cento od anche cinquantanni prima, quando si scagliavano allabbordaggio e si sedette a fianco del segretario, il quale teneva il timone.
Sulla gettata una folla considerevole, composta di burghisi, di macassaresi, bornesi, malesi, dayachi, cinesi e negritos, si era radunata attorno ad un carro tutto dipinto in verde, con una cupoletta dorata sostenuta da sei colonnette e trascinato da due zebù, specie di buoi di piccola taglia, con molta gobba e che sono buonissimi corridori.
La curiosità di vedere il nuovo ambasciatore aveva trattenuto ancora sulle gettate molte persone, quantunque lo spettacolo dellaloun-aloun, tanto caro a quelle popolazioni di istinti sanguinari, fosse imminente.
Yanez sbarcò a terra preceduto dal segretario, degnandosi appena di salutare i presenti collo stik di cui si era munito e salì tranquillamente sul carro, sedendosi su un larghissimo cuscino di seta cremisi con fiocchi doro.
Il cocchiere, un giovane malese, torse subito ferocemente la coda ai due animali, i quali partirono a corsa sfrenata, con grande pericolo di rompere le gambe ai viandanti, i quali erano costretti a gettarsi, alla lettera, dentro i negozi o dentro le case, senza osare di muovere alcuna protesta, poiché sapevano bene che il Sultano sarebbe stato inesorabile e delle teste ne avrebbe fatte tagliare senza nemmeno contarle.
Dopo dieci minuti di corsa rapidissima, attraverso vie sfondate e polverose, fiancheggiate per lo più da casolari malesi e dayachi, il carro giungeva sul luogo ove stava per svolgersi il grande spettacolo.
In una vasta prateria si ergeva una specie di anfiteatro, ma formato esclusivamente di canne bambù, le quali erano state intrecciate in forma di gabbia per impedire che le tigri si portassero via gli spettatori.
Migliaia e migliaia di persone, prementi, impazienti, avevano occupato tutte le gradinate, facendo un chiasso infernale.
In una piattaforma, abbellita da tappeti e da festoni di seta verde, insegna del potere, stava il Sultano del Borneo S. A. Selim-Bargasci-Amparlang.
Il signore del Borneo, come tutti i sultanelli delle isole Indomalesi, non era già un gigante e non aveva affatto un aspetto guerresco. Era un cosettino smilzo, color del pane bigio, cogli occhietti brillantissimi ed un po di barba al mento che cominciava già a brizzolarsi.
Indossava una lunga tunica di seta verde ricamata in oro, e portava sul capo un turbante di dimensioni monumentali.
Poteva tenersi per altro ben sicuro, poiché dietro di lui, altre ad un gran numero di malesi e dayachi, stavano ritti cento rajaputi indiani, sempre pronti ad un suo cenno a portare lo spavento nella capitale.
Yanez salì una scala coperta da un ricco tappeto persiano, giunto laggiù chi sa in seguito a quali vicende, e si presentò al Sultano, toccandosi appena con un dito la tesa dellelmo, come si conveniva al rappresentante di una nazione così potente, da mangiarsi tutto il sultanato in ventiquattro ore.
Siate il benvenuto alla mia corte! gli disse il Sultano. Il vostro arrivo mi era già stato annunciato.
Dubitavo che vi fosse toccato qualche spiacevole accidente. Sapete bene che i mari nostri, per quanto io faccia, non sono mai sicuri.
Sono giunto col mio yacht, Altezza, rispose Yanez e la mia nave porta sempre dei buoni pezzi di cannone capaci di contrabbattere vantaggiosamente tutte le spingarde, i lilà ed i mirim dei pirati.
Sedetevi presso di me, milord, non si aspettava che voi per cominciare lo spettacolo.
Se siete stato in India, ne avete veduti altri simili.
E molti, Altezza.
Ma io vi offrirò qualche cosa di più interessante: una battaglia di lanceri fra le tigri.
Abbiamo fatto molte grosse battute tutta la settimana scorsa e siamo ben provvisti di animali.
Questi spettacoli sono sempre assai emozionanti e si vedono volentieri.
Volete che dia il segnale? Tutto è pronto.
Il Sultano alzò un braccio.
Tosto si udirono tre squilli sonori di tromba, i quali ottennero dalla parte degli spettatori un profondissimo silenzio.
Da un capannone costruito allestremità del grandioso recinto si slanciò sullarena un magnifico toro tutto nero, di forme vigorose, colla fronte ampia e le corna incurvate in avanti.
Doveva essere una bestia selvaggia, presa da poco nel fondo di qualche fossa, poiché aveva ancora gli occhi iniettati di sangue per la lunga prigionìa.
Appena fatta una corsa furiosa di quindici o venti passi, si arrestò di colpo fiutando laria, sferzandosi i fianchi colla coda e mandando dei sordi ed impressionanti muggiti.
Il povero animale sentiva certamente il pericolo.
Altri tre squilli echeggiarono e da unaltra capanna situata quasi sotto il palco del Sultano, si slanciò fuori una tigre, annunciandosi con un a-ou-ug che fece sussultare il toro.
Non era una di quelle magnifiche tigri reali che si trovano solamente nel Bengala.
Quelle che popolano le isole del mar della Sonda sono più basse di zampe, più tozze; ma non sono meno ardite delle altre.
La belva, che doveva aver capito di che cosa si trattava, invece di muovere direttamente contro lavversario che laspettava ben piantato sulle zampe e colla testa bassa, si accovacciò al suolo lanciando un secondo a-ou-ug non meno impressionante del primo.