Tu sei un bravuomo disse. I tuoi uomini sono degni del loro comandante. Io ti lascio la vita!
Il capitano del prahos lo guardò come trasognato. Sandokan poggiò le mani sulle spalle di lui e guardandolo fisso:
Dove vai? gli chiese.
A Labuan rispose macchinalmente il capitano.
Tu conosci quellisola?
Sì.
Parlami della Perla di Labuan. Chi è?
Una donna.
Di qual razza?
Inglese.
Le labbra di Sandokan si contrassero mostrando i denti.
Dove ha la sua casa? domandò egli con voce sorda.
Nelle foreste della costa occidentale.
Grazie, mio prode disse Sandokan. Olà! Gettate un barile doro a questi giovinotti!
Nessuno dei pirati aprì bocca, per opporsi a un sì strano comando. Del resto non era la prima volta che la Tigre della Malesia agiva in tal modo. Fu ubbidito, e il barile doro, con sorpresa dei marinai del prahos mercantile, che si chiedevano se sognassero o avessero da fare con qualche deità marittima, passò a bordo del legno.
Sandokan tornò ad avvicinarsi al capitano.
Guardami in volto! esclamò bruscamente egli.
Chi sei? chiesero i marinai ad una voce.
La Tigre della Malesia!
Prima ancora che lequipaggio tornasse in sé dalla sorpresa e dalla paura, Sandokan era già a bordo del suo legno circondato dai pirati.
La Tigre stese la mano verso lest, ve la tenne per qualche tratto così orizzontalmente, poi con voce metallica, stridente, collerica:
Tigrotti, a Labuan! a Labuan!
CAPITOLO III. Lincrociatore
Abbandonato il disalberato e sdruscito legno mercantile, i due prahos pirateschi, con due uomini di meno, ripresero la corsa verso Labuan, lisola della Perla, che Sandokan ormai voleva ad ogni costo vedere.
Il vento dellovest era inoltre propizio per portarsi al nord-est e giungere allindomani allo spuntar del sole e forse la stessa notte allisola. Bisognava però agire con estrema prudenza poiché, per quanto fossero forti e risoluti, potevano incontrare più di un incrociatore che sbarrasse la via o almeno inceppasse la spedizione. Tutti sapevano che il regno di Borneo, la cui capitale non distava gran tratto, benché si prestasse volentieri alla pirateria e mantenesse prahos pirateschi per proprio conto, poteva, fosse solo per attirarsi le simpatie della nuova colonia, armare la sua flotta e lanciarla contro Sandokan. Tutti sapevano che quelli di Borneo erano gelosi di quelli di Mompracem che si erano fatti una sì formidabile nomea.
I due prahos presero arditamente la pericolosa via senza esitare. Sandokan, fatti ripulire i ponti, raggiustare gli attrezzi, tappare i fori delle bombe, fatto dispensare il pranzo del mezzodì, accese la pipa che somigliava a un narghilé turco e andò a sedersi sul medesimo cannone, dove il povero Ragno di Mare si era così generosamente sacrificato per lui.
Egli rimase mezzora senza dir parola, immobile, concentrato, assaporando la calma dopo la pugna, seguendo con occhio distratto le mosse del suo equipaggio che terminava di raggiustare le ultime gomene danneggiate dalla mitraglia. Dimprovviso si scosse e piantando gli occhi su Patau, gli fe cenno davvicinarsi.
Una profonda ruga solcava lampia sua fronte e fumava con maggior furia di prima. Egli guardò per alcuni minuti e in silenzio il Malese, che non ardiva fiatare sospettando qualche rabbuffo.
Doveri nel momento dellabbordaggio? chiese egli alfine con voce calma e grave ma che tradiva un lampo di collera.
Al vostro fianco rispose il Malese.
Hai veduto cadere il Ragno di Mare? Pensa bene e parla meglio. Chi luccise?
Il Malese rabbrividì fino alla punta dei capelli e se fosse stato bianco sarebbe diventato pallido come un morto. Se si fosse trattato di precipitarsi allabbordaggio dove la mitraglia mordeva e sibilava se ne sarebbe infischiato della paura, fosse pure stato sicuro di lasciarvi la pelle, ma dinanzi a Sandokan, cui bastava uno sguardo per inchiodare su due piedi i più ricalcitranti, egli sì, tremava.
Ebbene? domandò qualche istante dopo Sandokan senza abbandonare il suo posto, né la canna della gran pipa e senza nemmeno guardare in volto il Malese che tremava come avesse la febbre.
Una palla di cannone arrischiò Patau e dette indietro mentre lequipaggio sogghignava contento che quel Malese del diavolo fosse stato innalzato fino a un grado così invidiato per essere precipitato chi sa dove da una sola parola del terribile padrone.
Non si amava a bordo Patau perché derubava silenziosamente i camerati valendosi della sua autorità, e senza che alcuno osasse farne parola al capitano. Si aveva paura di entrambi, ma ben differentemente.
Sandokan alla risposta del Malese aveva fatto un legger movimento, ma fu tutto. Egli continuò:
Il tuo posto era accanto a me giacché non ti avevo affidato il timone. Quando noi giungeremo a Mompracem, ti farai fucilare! Vattene!
Non si poteva scherzare con un simile uomo, né arrischiare parola. Commettere una vigliaccheria a bordo sarebbe stato un far ruggire la Tigre. Il Malese senza batter ciglio, conservando quella fierezza in lui abituale, si allontanò come se si trattasse di un nonnulla. Sandokan lo richiamò.
Potrebbe darsi che si avesse a incontrare lincrociatore dissegli. Mi occorre un uomo: tu puoi essere quello giacché ti ho spacciato per Mompracem; morire combattendo è un favore che io solo accordo ai coraggiosi. Alla prima cannonata, arresterai la palla col tuo petto.
Grazie, capitano! esclamò il Malese e contento della sentenza del suo formidabile capo, di cui nessuno avrebbe osato mettere in dubbio linfallibilità, se ne andò al timone.
Sabau! gridò egli guardando sempre il mare e come parlasse a sé stesso.
Un altro Malese di bassa statura, ma di membra gagliarde, dalla faccia quadra anziché no, ossuta, dal naso schiacciato e grosso, dagli occhi piccoli ma brillanti, dalla bocca grande con le labbra grosse, la tinta fosca e vestito con un solo paio di corti calzoni rossi, si fece innanzi dondolandosi comicamente.
Tu non sei stato il primo a saltare sul prahos dopo di me? domandò Sandokan.
Infatti, mi sono trovato sul ponte alle prese con uno di quei mascalzoni rispose egli.
Bene, quando la palla di cannone sfonderà il petto del tuo compatriota, subentrerai nel comando.
La giustizia era finita per quelluomo singolare che si faceva chiamare la Tigre. Egli abbandonò il cannone, diede uno sguardo alle due grandi vele gonfie sotto il vento dellovest, un altro allaltro prahos che seguiva la via del primo rigorosamente dritta e si mise a passeggiare da prua a poppa colla fronte serena ed un sorriso bonario.
Durante la giornata i due legni pirateschi continuarono a veleggiare in quella parte di mare compresa fra Mompracem e le Romades allovest, la costa di Borneo allest e nord-est, e Labuan colle Tre Isole al nord, senza trovare il minimo impaccio e senza scorgere alcuna di quelle vele che di solito si mostrano sì numerose in quei paraggi, recandosi o partendo dalla capitale del regno di Varauni.
Già da parecchi anni la fama di Sandokan si era sparsa su quei ristretti mari, e solamente i grossi vascelli con numerosi equipaggi o prahos armati da guerra arrischiavano la traversata diretta. I più si tenevano sotto la costa, sicuri di poter sbarcare e di salvare almeno le vite se non il carico o approfittando di qualche giornata burrascosa o di qualche notte oscura per prendere il largo. Sandokan non ignorava più quelle astuzie, diventate ormai tanto vecchie da essere conosciute anche sulle spiaggie di Mompracem, e sarebbe bastato passare una notte in vista della costa per essere sicuri al mattino di far ritorno con un carico completo delle più preziose merci del paese, cosa che non mancava mai però di fare a rischio di cadere in unimboscata, quando trattavasi di spedizioni di minerale giallo.
La notte cadde con quella rapidità che è propria delle regioni equatoriali dove il sole, anziché tramontare, si tuffa. Tutti i lumi vennero spenti a bordo dopo la cena, non amando essere scoperti e di vedere a loro agio, le vele in parte terzarolate per premunirsi dagli improvvisi colpi di vento che non mancano in quei capricciosi mari, e le sentinelle scelte fra gli uomini più intrepidi e dalla vista più acuta, che sapevano scorgere, per quanto le tenebre fossero fitte, una nave due miglia lontano. Alle otto i due equipaggi si ritirarono in massa e senza far rumore guadagnando le loro amache oscillanti, senza perdere tempo a spogliarsi delle poche vesti, pronti a prendere posto ai cannoni e ai moschetti al primo allarme, la qual cosa non di rado avveniva, sia per respingere un attacco di qualche notturno leone che spingeva la sua audacia fino a irritare la Tigre, sia per piombare su qualche inoffensivo legno e rischiararlo a colpi di cannone.
Sandokan rimase sul ponte assieme agli uomini di guardia, assiso a poppa tenendo una delle ribolle, collo sguardo che balzava dalla bussola al mare, porgendo ascolto al lieve russar degli addormentati e al frangersi dellonda sulla prua del legno. Si avrebbe detto che quelluomo cercasse di raccogliere qualche rumore estraneo a quello del mare. Chi sa? un lontano colpo di cannone, che poteva tuonare in direzione di Mompracem, o che cercasse colla potenza del suo occhio da tigre di attirare la preda fuggente e di scoprirla; chi sa? forse il fumante cacciatore.
Gli uomini di guardia confusi fra gli attrezzi, seduti o ritti, parevano condividere i pensieri del loro capo. Gli occhi loro, che rilucevano come carboni nella profonda oscurità, balzavano dalle vele al mare scrutandolo nei più lontani orizzonti, cercando avidamente una preda sempre sospirata o un pericolo. Poco montava che si dovesse sfidare colpi di cannone e colpi di scure, con gran pericolo della pelle; bastava loro veder della preda, menar le mani insanguinate su cento e cento vittime, tuffarle in nuovo sangue, ubbriacarsi al fumo della polvere e veder morti e morti mutilati, guazzar sui bagnati ponti.
Ma nessuna vela si mostrava nel cerchio abbracciato da quei potenti occhi, fuorché le tenebre sovrastanti ai flutti color di inchiostro che rimuggivano sordamente come uscissero da un abisso e che venivano a cozzare sulla prua del prahos frangendovisi sopra e lasciando solo allor intravveder un leggero scintillio, che si cangiava sulla scia in un gorgogliamento luminoso perfettamente visibile in quella oscurità.
Alla mezzanotte il vento, sino allora debole, sembrò svegliarsi colla comparsa della luna, che faceva capolino fra le nubi. I due prahos parvero rialzarsi sotto quella nuova spinta e accelerarono la corsa verso lest poggiando di qualche quarto al nord, dirigendosi verso le Tre Isole, che non dovevano esser gran fatto distanti. E invero poco dopo, rischiarate dalla luna, che tornava a mostrarsi in uno squarcio dei negri vapori, furono vedute tutte e tre benché vi sia fra loro una rispettabile distanza.
Parevano uscire dal mare come improvvisamente, di un color fosco, di una struttura più bizzarra che pittoresca in quellora, vere sentinelle avanzate di Labuan e di Borneo, che potrebbero far solida barriera alla baia di Varauni dalla quale non distano molto.
Sandokan appena che poté vederle abbandonò la ribolla a uno de suoi uomini e discese nella sua piccola cabina. La vista di quelle isole faceva quasi a lui credere di esser a Labuan che voleva dire lontano dal fumante incrociatore che alla mattina navigava presso le coste meridionali di Mompracem, e quindi libero da un improvviso attacco da parte sua che avrebbe potuto riuscire disastroso.
La cabina di Sandokan era ben ristretta a bordo di quel prahos; non mancava però di una certa eleganza non dissimile da quella della sua abitazione, e che non toglieva che vi dormisse a suo agio. Era un caos di piccoli mobili gli uni più graziosi degli altri, ma gli uni più avariati degli altri, un miscuglio di sete e di tappeti che lingombravano, che la soffocavano addirittura sotto le pesanti pieghe e in mezzo alle quali vedevansi armi mescolate a bottiglie e tazze con bombe.
Sandokan, senza levarsi un nulla del vestito, si stese in mezzo ai tappeti e non tardò ad addormentarsi come un uomo della sua tempra, cui un cuor di ferro soffoca le urla delle vittime cadute sotto lacciaio dellassassino e i cui occhi non vedono né le ombre né il sangue.
Tutta la notte i due prahos veleggiarono in pieno mare, sempre in vista delle Tre Isole, correndo bordate per la lenta raffica, che a poco a poco collo spuntar del giorno girava allest. Ma per quanto il vento divenisse contrario non impediva che i due rapidi legni guadagnassero via, aiutati di tratto in tratto dai remi manovrati da robuste braccia che li avean conosciuti fin dalla più tenera età.
Al primo raggio di sole, che invase bruscamente il mare scacciandone la cupa tenebra, sette od otto miglia lontano fu veduta Labuan. Quasi nel medesimo istante Sandokan comparve sul ponte.
Patau! esclamò egli con quel tono che non ammetteva replica né ritardo per quanto minimi fossero.
Il Malese abbandonando il remo in un sol salto gli fu vicino, sempre col medesimo volto fra lilare e il furbesco, come un uomo che ha ormai dimenticato la palla di cannone.
Comandante! rispose egli facendosi innanzi francamente.
La tua palla? domandò Sandokan con strano sogghigno.
È sul petto rispose il Malese, la prima che parte sarà mia.
Bene, conosci tu una baia dove non si possa essere molestati da quei cani dellAustralia?
La conosco.
Bene, dirigi i prahos.
Ad un ordine del Malese i due legni da preda virarono di bordo dirigendosi verso il sud dellisola.
Labuan è un lembo di terra che dista appena otto leghe da Borneo e che ha una circonferenza di circa venticinque miglia.
Si eleva a 24 metri sul livello del mare; semplici alture tengono luogo di catene di monti, numerosi corsi dacqua tengono luogo di fiumi, ma i più durante la stagione calda lasciano il letto completamente asciutto. Ha però magnifiche foreste che potrebbero somministrare eccellenti legnami da costruzione, una graziosa vallata con pascoli al nord-est dove finisce in una tranquilla baia. Vedute pittoresche rendono piacevole il soggiorno su quel lembo di terra, che ogni giorno acquista più importanza grazie le scoperte di vene di carbon fossile che si trovano in gran numero, specialmente nelle vicinanze dei fiumi.
Glindigeni non sono numerosi e sono tanto stupidi, che illusi dalla presenza degli stranieri e da regali di due soldi, si sottomisero al velenoso giogo inglese che lentamente ma sicuramente andrà decimandoli per isbarazzarsi di esseri che potrebbero un giorno dar noia alla giovane colonia.
Fu nel 1846, 24 dicembre, che il capitano Rodney Mundy comparve pel primo a bordo dellIris e che ne prese bellamente possesso, dopo di avere spaventati i nativi facendo tuonare le sue artiglierie, come volesse mostrare a quegli esseri semplici la potenza del leopardo inglese. Ed essi, dopo le danze donore e una festa si sottomisero senza alzar una sola arma in difesa della terra natia.
Da quel tempo gli Inglesi vi avevano fondato la cittadella di Vittoria e si affrettavano a lanciare in mare vapori di ferro per reprimere la pirateria flagello di quei disgraziati mari. Sandokan non lo ignorava, no, ed era anzi per questo che voleva prendere terra nel fondo di qualche canale, di qualche seno al sicuro da improvvisi attacchi per poter poi agire a suo bellagio.
I due prahos, dopo di aver fiancheggiato per breve tratto la costa coperta da fitti alberi, in mezzo ai quali torreggiava qualche tek, navigando lentamente e con estrema prudenza per non dar sospetto a qualche colono che battesse i dintorni, si cacciarono silenziosamente in un piccolo fiume, che alla foce avevasi scavato poco a poco un seno semi-nascosto da piante palustri.