I due prahos, dopo di aver fiancheggiato per breve tratto la costa coperta da fitti alberi, in mezzo ai quali torreggiava qualche tek, navigando lentamente e con estrema prudenza per non dar sospetto a qualche colono che battesse i dintorni, si cacciarono silenziosamente in un piccolo fiume, che alla foce avevasi scavato poco a poco un seno semi-nascosto da piante palustri.
Le âncore furono gettate con buona riuscita su di un fondo sabbioso, le vele ammainate senza far rumore come lo dovevano due visitatori che volevano mantenersi incogniti, e i prahos spinti verso la riva destra, nascondendoli del tutto sotto lombra dei grandi alberi e dei canneti, che fiancheggiavano una piccola palude di due o trecento metri di estensione. Un incrociatore che avesse battuto la costa, non sarebbe riuscito a scoprire quei due legni pirateschi che si tenevano imboscati come le tigri nel delta del Gange che spiano, sotto le grandi foglie acquatiche, la preda.
Sandokan e Patau sbarcarono, mentre che il restante dellequipaggio rimaneva a bordo rigorosamente consegnato. Bisognava agire più che prudentemente per affrettare i piani del formidabile capo, che già contava non solo di veder la Perla, ma di mettere a ferro e fuoco se non tutta almeno una parte dellisola.
Armati entrambi di carabine indiane e di scuri, i due pirati sinternarono senza dir verbo sotto la foresta, che lasciava qua e là qualche varco, tracciato talvolta dalla mano umana ma il più dalla naturale disposizione delle piante, che si rizzavano in mille guise differenti, ora ritte, ora inclinate e talvolta contorte come giganteschi serpenti.
Sandokan guidò il Malese per un duecento passi sotto la foresta, come conoscesse di già il cammino, poi si arrestò ai piedi di un durion colossale le cui frutta pericolose per le cadute che il più delle volte riescono mortali per lincauto che vi passa sotto, si agitavano leggermente sotto uno stormo di tucani dal becco colossale, che parevano affaccendarsi nella costruzione dei loro strani nidi.
Ascolta, Patau dissegli. La vicinanza di nemici, che godono fama di possedere potenti navi e potenti congegni di distruzione, non ti nasconderò che mi inquieta per Mompracem, la mal difesa isola che non saprebbe resistere dinanzi ai loro cannoni, e che è duopo ci rimanga. Lintenzione di queste giacche rosse dacché si sono stabilite su questi malaugurati mari, è evidente che mira a portare un colpo fatale alla pirateria; fuggono la nostra presenza, ma spiano e cercano di tagliarci la ritirata invadendo i nostri selvaggi covi.
Lo so rispose il Malese. Mompracem è troppo vicina a Labuan, offre troppe mire per quei ladri di terre, e un dì o laltro non mi meraviglierei che una intera flotta si presentasse dinanzi al villaggio e cominciasse una danza infernale a suon di cannone.
È ciò che vado pensando anchio da vario tempo. Vedi, la presenza di questo incrociatore, che fuma silenziosamente su queste onde, non mi rassicura punto riguardo alle sue intenzioni che puzzano di polvere cento miglia lontano. È duopo che uno di noi, Mompracem o Labuan, abbia a cedere le armi al più forte. Spenta la pirateria, la Malesia sarà morta.
Se io rimanessi in vita disse Patau senza commuoversi, agirei prontamente. La colonia va crescendo di giorno in giorno, grazie alla scoperta del carbone che attira maledettamente tutte le navi da guerra dei dintorni; oggi è un pugno di uomini che labitano, domani saranno due, da qua un anno cento. Le difficoltà allora saranno cento volte raddoppiate, le mosse difficili sotto locchio degli incrociatori e poco a poco la pirateria cadrà.
Sandokan rimase colle braccia incrociate a mirare il Malese, come per commentar le sue parole che trovava più che giuste, poi ripigliò la via senza smascherare laudace progetto che lo rodeva.
Patau lo seguì, cacciandosi come il padrone sotto cespugli spinosi dove vi era pericolo di lasciarvi mezze vesti, tendendo lorecchio per raccoglier ogni estraneo rumore e collocchio in guardia sulle piante vicine, dove poteva darsi che qualche tigre se ne stesse imboscata aspettando la preda al varco o che qualche serpe si dondolasse da qualche ramo pronto ad avviluppare il primo venuto e stritolarlo tra le vischiose anella con una di quelle strette cui non resistono forze umane. Per mezzora quei due uomini proseguirono il difficile cammino senza scambiare una sola parola, poi Sandokan tornò ad arrestarsi facendo cenno al compagno di tacersi. Aveva udito lontano un abbaiar di cani che sembravano seguire qualche pesta di selvaggina e che andavano rapidamente avvicinandosi, ed a cui talvolta univasi uno squillo di tromba.
Vi sono degli uomini che cacciano disse Sandokan dopo di avere ascoltato attentamente. Si vede che questi dannati Inglesi non perdono tempo. Sono sicuro che cacciano le ultime tigri sfuggite alle armi degli indigeni; ovunque è distruzione dove passa lavvelenato loro soffio.
Ma dove andiamo ? chiese Patau che non comprendeva lo scopo della passeggiata.
Dove vuoi che andiamo, se non si va in cerca della Perla?
Ma questi uomini? Io credo che mostrarci sia pericoloso.
Potrebbe darsi, Patau. Ma a noi occorrono notizie per sapere dove si trova questa Perla e come vanno le faccende della colonia. Tiriamo innanzi. I due pirati, anziché battere prudentemente in ritirata, si riposero in cammino dirigendosi verso il luogo dove udivasi squillare la tromba e abbaiare i cani.
A poco a poco gli alberi poco prima strettamente uniti, cominciarono diradarsi dando luogo a praticelli e a radure cespugliose in mezzo alle quali sinnalzavano gran numero di piante di pepe, che avviticchiandosi ai rami degli arenga e degli artocarpus, formavano grandi reti vegetali e festoni ricadenti, dove garrivano leggiadri uccelletti e svolazzavano battaglioni di lucertole volanti.
I latrati dei cani si udivano allora tanto vicini che i due pirati, temendo essere scoperti, si nascosero dietro ad un aloé la base del cui tronco spariva fra gigantesche erbe.
Quasi subito apparve un indigeno in calzoncini bianchi, tenendo a guinzaglio un grosso mastino che ringhiava fiutando la terra.
Ecco il mio uomo disse Sandokan allorecchio di Patau. Non farti vedere, Malese mio; non allarmiamo questo stupido schiavo delle giacche rosse, questo schifoso rettile, questo miserabile più codardo di tutti i popoli della Malesia.
Gettò al Malese la carabina e si cacciò fra i cespugli circostanti senza far rumore e in maniera di abbordare il selvaggio di fronte. Alla sua improvvisa comparsa il bracconiere si arrestò tra il sospettoso e lo spaventato.
Che vai cacciando, sulle mie terre? domandò brutalmente Sandokan piantandosi dinanzi a lui e vibrando un potente calcio al mastino che gli abbaiava contro.
La tigre rispose lindigeno.
Chi è questo furfante che si permette di calpestare i miei campi?
Lord Haawen.
Ah! fe Sandokan ghignando. Una giacca rossa. La colonia comincia adunque ad avere certi signori che si permettono di cacciare sulle terre altrui?
Non sono di loro le terre? Gli antichi padroni sono morti.
Sandokan tornò a sogghignare ma con quel sogghigno crudele che faceva rabbrividire e parve che volesse fulminare il selvaggio colla potenza dei suoi occhi.
Ah! esclamò il pirata. Tu rimpiangi adunque listante in cui lIris si mostrò su queste coste e che i tuoi accolsero danzando?
Forse.
Sandokan si passò la mano sulla fronte e stette per qualche istante in silenzio come pensasse. Poi guardando fisso fisso il selvaggio:
Odimi bene, maledetto schiavo gli disse. Sai tu che la colonia fu condannata ad essere distrutta da un uomo potente, la cui sua comparsa basterebbe per incutere spavento?
Forse.
Sandokan si passò la mano sulla fronte e stette per qualche istante in silenzio come pensasse. Poi guardando fisso fisso il selvaggio:
Odimi bene, maledetto schiavo gli disse. Sai tu che la colonia fu condannata ad essere distrutta da un uomo potente, la cui sua comparsa basterebbe per incutere spavento?
No, stenterei daltronde a crederlo.
Nemmeno se questuomo si chiamasse
Egli sarrestò bruscamente mordendosi le labbra.
Chi?
Silenzio disse il pirata ponendosi un dito sulle labbra. Silenzio! Dimmi ora, hai mai udito parlare della Perla di Labuan?
E chi, in Labuan, non ne avrebbe udito parlare?
Chi è?
Un genio benefico, che nulla ha di comune colle giubbe rosse.
La conosci tu, questa Perla?
Sì, lho veduta.
Dove abita?
A un miglio da questo luogo rispose il selvaggio.
Potrei vederla io?
Sì, lo potreste.
Indicami il modo.
Basterà che vi nascondiate dietro qualche albero del parco. Tutte le mattine va a passeggiare al chiosco chinese.
Una vampa inesplicabile salì in volto al pirata. Trasse un pugno doro e lo diede al selvaggio che lo guardò istupidito.
Grazie, amico gli disse. E ora va va, e non volgerti più mai indietro.
Il selvaggio se ne andò correndo. Sandokan aspettò che fosse abbastanza lontano da non vederlo più, poi ritornò presso il Malese che lo aspettava impazientemente.
Ebbene? chiese Patau.
Tutto va bene, tigrotto rispose Sandokan. Domani vedremo la Perla.
E le giacche rosse?
Sono più forti di prima.
Ah! esclamò il Malese sospirando. I bei giorni sono finiti.
Crederesti tu che la Tigre avesse paura? Cento leoni sarebbero pochi per incatenare la gran Tigre. Ritorniamo, Malese.
Sandokan raccolse la carabina e si diresse verso la costa seguito da Patau. Non avevano ancor percorso cento metri, che un colpo di cannone rombò verso lalto mare.
La Tigre della Malesia cacciò fuori un ruggito come di belva ferita, poi precipitossi verso la foresta agitando come un forsennato la carabina.
Vieni, Patau! Vieni! gridò egli, facendo salti da tigre. Vedo del sangue!
I due pirati in cinque minuti attraversarono il lembo della foresta e giunsero al fiumicello. Nel medesimo tempo un secondo colpo di cannone rombò sul mare, e in mezzo a un denso fumo che volteggiava nellaria assieme a scintille, fu veduto il fumante incrociatore che moveva a tutto vapore verso la costa, sbarrando la ritirata ai legni da preda!
CAPITOLO IV. Pirati e Incrociatori
Non vi era da ingannarsi sulla manovra dellincrociatore che cominciava a scagliare i più grossi proiettili alla foce del fiume. Aveva fiutato la presenza dei prahos pirateschi, e, benché non potesse ancora averli visti, ne indovinava la posizione, perché le sue palle erano passate pochi pollici sopra le murate perdendosi nella piccola palude.
Non vi era tempo da perdere se non si voleva farsi schiacciare ancor prima di poter agire; bisognava abbandonare il pericoloso posto dove vi era la probabilità di venir presi fra due fuochi da terra e da mare. Giacché la manovra era riuscita e lincrociatore li aveva scoperti con rara sagacità, il meglio da farsi era quello di assalirlo. Vinti o vincitori bisognava guadagnare il largo.
Sandokan e Patau in pochi istanti avevano guadagnato i prahos, dove si era ormai organizzata la difesa; i cannoni caricati, gli uomini sotto le armi: non si domandava che di abbordare il vapore malgrado la sua mole, i suoi uomini tre volte più numerosi e la colossale portata delle sue artiglierie.
Andiamo, figliuoli, salpate le âncore, issate le vele, impugnate le armi! gridò il capitano. Il miserabile che viene a sfidarci nei nostri nascondigli non può essere che un coraggioso. Ci aspetta.
Tanto meglio, si danzerà nel sangue disse un Malese mordendo la lama della sua scimitarra.
Ci ubbriacheremo di polvere! esclamò un Daiasso che si accostava ghignando a uno dei cannoni.
I due prahos con una scossa furono allontanati dalle paludose rive, nel mentre una terza palla fischiava fra gli alberi troncandone i rami. Le vele terzarolate per non avere impicci sul ponte vennero tese al vento. I due legni, senza rispondere alle provocazioni nemiche per riserbarsi i colpi a buona portata, si spinsero in mezzo al fiumicello portandosi sullaltra riva la cui ombra delle grandi piante bastava per sottrarli agli occhi più acuti.
Si trattava di sbucare improvvisamente in mare e di muovere arditamente allabbordaggio, ancor prima che il nemico pensasse alla ritirata. Possedendo la macchina nel ventre, era lui il padrone che poteva portarsi da un luogo allaltro, evitare un incontro che fosse pericoloso e battere in breccia colle sue artiglierie assai più potenti di quelle dei pirati. Sandokan aveva di già calcolato sui numerosi vantaggi di lui e cercava sventarli giuocando dastuzia.
Non abbiamo fretta dissegli a Patau che si teneva alla barra. Cerchiamo di risparmiare i nostri uomini che sono contati, non esponiamo troppo i nostri legni al fuoco dellassalitore che ha potenti cannoni: lo abborderemo questa notte, se occorre. Non lasciamolo sfuggire giacché il leone si è gettato dinanzi alla tigre.
Lincrociatore avea preso posto a seicento metri dalla costa e si teneva sotto macchina senza gettare il più piccolo ancorotto onde tenersi completamente libero nei suoi movimenti, assalire o retrocedere, determinato a scovare i pirati a colpi di cannone. Il suo pezzo di prua, senza dubbio un grosso cannone, tuonava ogni cinque minuti cangiando direzione, tirando a caso, non giungendo a scorgere i due legni che, semi nascosti e nel più profondo silenzio, scendevano lenti lenti la corrente aspettando listante di correre allabbordaggio.
Tutti i pirati erano pronti a qualunque sacrificio, decisi di sbarazzare il loro mare da un nemico sì potente che finiva col diventare uno spauracchio anche pei più coraggiosi. Ognuno si giurava di farla finita una volta giunto sul ponte dellincrociatore, scannare il nemico benché tre volte più numeroso o almeno farlo saltare colla Santa Barbara. Sandokan aveva dato gli ordini precisi, niuno li avrebbe cangiati; guerra avea promesso, guerra doveva essere. La vittoria sarebbe venuta dopo.
I due prahos continuarono a scendere la corrente senza più inquietarsi delle detonazioni dellincrociatore. Le palle fischiavano nei boschi abbattendo gli alberi, rimbalzando fino al fiume, forando più duna volta le vele, ma non si rispondeva. Si voleva mordere la carne del leone.
A venti metri dalla foce fu visto il legno nemico che continuava a tirare col solo pezzo di prua. Patau ad un segno del capitano si curvò sul cannone che pareva impaziente di ruggire.
Guarda! Guarda! esclamò Sandokan volgendosi verso il prahos che veniva dopo.
Una nube di fumo sfuggì dalla prua del legno da guerra seguita da una detonazione che si ripercosse sotto gli alberi della costa. La prua del prahos fu passata da un proiettile come fosse stata di cartone, facendo saltare le tavole del castello su cui poggiava il cannone. Il pezzo si rovesciò mentre una colonna dacqua si precipitava fischiando nella stiva.
Quei cani là tirano a meraviglia! esclamò un Daiasso, che si precipitò con tre o quattro altri compagni sotto coperta, dove lacqua di già invadeva il paramezzale.
Se non ci sbrighiamo, la sarà finita prima di filare cento braccia mormorò un Giavanese.
Silenzio! gridò Sandokan facendo lampeggiare la lama della scimitarra.