Silenzio! gridò Sandokan facendo lampeggiare la lama della scimitarra.
Il legno da guerra alla vista dei due prahos pirateschi aveva, dopo il colpo di cannone così fortunatamente riuscito, fatto un mezzo giro a tribordo dirigendo la prua verso il nemico, pel quale pareva avere un certo rispetto che poteva chiamarsi un po di paura, ad onta della sua mole e della sua potente artiglieria. Si udiva sul suo ponte rullare il tamburo e squillare la tromba come in un giorno di battaglia, uomini che comandavano e lo sbuffar della macchina che vomitava torrenti di fumo dalla ciminiera ristretta in mezzo ai quali scintillavano delle scorie.
Da ogni parte si vedevano artiglieri in posizione dietro i loro pezzi col cordone tira-fuoco in mano pronti a bombardare il nemico con turbini di ferro, soldati dalle giacche rosse visibili a grandi distanze e che offrivano un sicuro bersaglio e marinai armati di carabine issati sulle coffe, sui pennoni, sulle sartie, sulle griselle che gesticolavano vivamente impazienti di cominciare il loro formidabile fuoco di moschetteria.
Sandokan a tutti quei preparativi, a tutte quelle mosse del legno da guerra che si teneva sotto vapore per battere in ritirata dinanzi a trentasette uomini, si era messo a ridere. Quelluomo singolare trovava che tutti quei preparativi erano ancor pochi dinanzi a lui, cui il nome sol bastava a triplicare le forze dei suoi pirati.
Eh! esclamò egli rizzandosi quanto era lungo. Non scherziamo di troppo, figli miei, che il leone ha aperte le sue unghie. Orsù, tigrotti miei, mano ai remi e a tutta velocità allarrembaggio senza risparmiare, fra mezzo, qualche moschettata. Una volta sul ponte, sangue e cadaveri!
Sangue! Sangue! urlarono come un sol uomo i due equipaggi.
Ai remi! Ai remi! comandò Patau sempre in posizione dietro al suo cannone, che andava accarezzando.
Trenta uomini, trenta macchine dalle braccia dacciaio, si precipitarono sotto coperta dei due prahos che si tenevano a una rispettabile distanza lun dallaltro per non offrire una mira troppo facile al nemico. Due secondi dopo i legni corsari, guizzanti come pesci, rapidi come battelli a vapore, uscivano a tutta velocità in pieno mare abbandonando ogni precauzione, movendo dritti al legno da guerra che continuava a presentare la prua a meno di cento metri dalla costa.
Ah! esclamò Sandokan quando vide la coperta del suo prahos quasi sgombra. La danza sarà tremenda, ma si danzerà, se il birbante non si risolve a fuggire.
Egli si avvicinò a prua, dove Patau e quattro compagni lo aspettavano dietro il pezzo. Esaminò per qualche istante il legno nemico che aveva sospeso il fuoco intento senza dubbio in qualche audace manovra, e volgendosi verso il Malese sempre impassibile:
Orsù, Patau, non abbiamo un istante da perdere. Seicento metri sono come seicento colpi di cannone, bastanti per fracassare le ali ai nostri legni. Colpo per colpo, occhio per occhio, dente per dente. Quando non avrai più occhio sicuro, cedi il posto e arresta la palla col petto!
Bene, capitano rispose il Malese. Or mi vedrete allopera!
Patau era uno dei migliori artiglieri che contasse la pirateria, un bravuomo in fatto di colpi di cannone che sapeva dare alle palle una direzione infallibile che fracassavano sempre. Egli si curvò sul suo pezzo mirando il ponte dellincrociatore, poi si rizzò colla miccia in mano.
Ancor prima che Sandokan avesse dato il comando, un lampo balenò a prua dellincrociatore seguito da una sorda detonazione. La maistra fu tagliata nettamente come un giunco e precipitò sul ponte coprendolo a metà colla sua vela e coi suoi pennoni, mentre laltro prahos rispondeva fracassando il bompresso che volò in mare a meno di un piede dal cannone ancora fumante.
I nostri uomini cominciano bene! disse Sandokan, traendosi di sotto le pieghe della vela. Animo, Patau, rispondi alla provocazione! Fracassa loro qualche albero o fa saltare quel dannato cannone di prua.
Eccomi, capitano. Colpo per colpo! Occhio per occhio! rispose il Malese.
Avvicinò la miccia e dié fuoco. Il cannone sinfiammò ruggendo, vomitando ferro e fumo; il suo proiettile che si allontanava pochi metri sopra il livello del mare andò a schiantare la passerella del comandante con matematica precisione, mozzando nel medesimo colpo la ciminiera il cui fumo si sparse pel ponte soffocando i combattenti di babordo che dovettero abbandonare il posto.
Ehi, Patau! esclamò Sandokan cacciando la barra a tribordo. Non addormentarti sul pezzo; fracassa se puoi la macchina a quel leone, fa saltare il suo magazzino delle polveri, fa mordere alle tue palle i cannoni del nemico. Non vedi tu, che si addormenta ancora?
Il vascello da guerra, colpito ripetutamente, pareva sorpreso di quel fuoco così matematicamente diretto. Il suo pezzo di prua non ruggì più, lequipaggio si ritrasse dietro le murate precipitosamente, e il legno virando ancora presentò il tribordo al nemico che si avanzava ratto ratto a tutta forza di remi.
Pareva che si disponesse in maniera da fulminare con i suoi sei o sette pezzi i due legni corsari, che certamente non dovevano trovarsi a tutto loro agio in quel terribile duello, dove tutti i possibili svantaggi erano a loro conto. Sandokan stesso parve inquietarsi di quella manovra.
Il nemico ci schiaccerà! esclamò egli. Se non labbordiamo tra cinque minuti saremo battuti.
In un salto si precipitò sotto coperta. I quindici uomini remigavano furiosamente coi pugnali fra i denti facendo sforzi sovrumani, incoraggiandosi col gesto e collesempio, promettendosi reciprocamente morti e sangue. Non occorreva di più per fargli raddoppiare le forze che toccavano lestremo. Non perdete un colpo di remo! Il nemico ci fugge! gridò Sandokan arrivando fino ai banchi.
Tuoni di Satana! esclamò il Malese che tendeva i muscoli fino a farli quasi scoppiare.
Dobbiamo adunque salire in coperta coi moschetti? domandò un Daiasso.
Silenzio! Ai remi! Ai remi! comandò Sandokan.
Un nuovo colpo di cannone scoppiò al largo. Una palla di piccolo calibro, facendo saltare una tavola due piedi sotto il ponte, scoppiò nella stiva a pochi passi da Sandokan, che rimase impassibile. Una scheggia rimbalzando contro unâncora, andò a fracassare la testa di un remigante che rotolò senza gettare un grido sotto i banchi spruzzando i compagni di sangue e di cervella. Vedete che la danza comincia disse freddamente Sandokan e risalì in coperta mentre i suoi uomini remigavano furiosamente inebbriandosi nel sangue dellestinto compagno.
Quel dannato là non perde i suoi colpi mormorò Patau. Ecco che si sveglia.
Fuoco, Patau! Rompi le ali e fa saltare quella dannata batteria! gridò Sandokan.
Ancora il legno nemico lo prevenne. Due colpi di cannone scoppiarono simultaneamente e due palle prendendo due diverse direzioni giunsero ancora una volta a destinazione. I due prahos ricevettero la scarica in pieno ventre e lo scoppio che ne seguì portò la morte di due remiganti.
Ah! miserabile! urlò Patau. È così che si risponde. Aspetta un po, vedrai!
Per la seconda volta accostò la miccia al cannone. La detonazione non era ancor terminata che il legno nemico parve incendiarsi. Un uragano di ferro volò sui due prahos allora lontani quattrocento passi, a cui risposero urla di furore e le scariche delle spingarde di poppa. Pirati, remi e artiglieri andarono sottosopra sotto il nembo di mitraglia; i due prahos furono rasati come pontoni.
Non avea ancor finito la scarica che ne seguì una seconda, poi il legno da guerra avvolto in nembi di fumo, crepitante sotto la moschetteria che grandinava palle sul nemico reso impotente in mezzo a quella tempesta che sfasciava i deboli suoi legni, si mise a indietreggiare a tutta velocità portandosi fuori di un possibile abbordaggio a seicento metri più lontano.
Ah! miserabile! urlava Sandokan rimasto illeso fra quelluragano di scaglie.
Patau e due uomini rovesciati dalla caduta del trinchetto e dal cannone a metà sprofondato sul castello schiantato, si rizzarono quasi subito. Il pezzo dartiglieria, trascinato in mezzo al ponte solcato in mille guise dal ferro nemico, fu in batter docchio caricato e puntato.
Abbiamo da continuare la manovra? domandò il Malese che si accingeva a rispondere ancora.
Sandokan non rispose. Egli guardò il legno nemico lontano un chilometro e più che fumava puntando le artiglierie verso la costa e che virava di prua con insolente provocazione, forte del suo diritto e dei suoi potenti mezzi. Egli misurò collocchio la distanza, guardò i prahos e si morse le labbra. Tirar innanzi, inseguire quel nemico fuggente che aveva il vento nel ventre e sì numerose artiglierie, sarebbe stata una pazzia. I due prahos di già seriamente avariati era da vedersi sarebbero stati sfasciati ancor prima di giungere allabbordaggio. Tanto valeva farsi uccidere sotto la costa da pari a pari, in terra, petto contro petto, arma contro arma. Egli si avvicinò a Patau.
Noi abbiamo preso una falsa via dissegli. Il nemico è più forte di quanto credevo. Non vedi tu che ci sfugge quando tentiamo abbordarlo? Un cannone contro sei, è troppo!
Lo so bene io. Se non avesse la macchina nel ventre! rispose il Malese quasi ferocemente.
E due soli cannoni aggiunse uno dei pirati che succhiavasi il sangue colante da un dito mozzato.
Unultima prova, Patau. Fammi largo, va a rianimare i miei uomini nella stiva, fa avvicinare il prahos, lega i due legni assieme. Due cannoni e due spingarde possono ben far ruggire la tigre e mordere il leone che fugge come un codardo Va, Patau, va! Se giungo ad abbordarlo ti prometto cento cadaveri.
Il Malese scomparve nella stiva e ne uscì un momento dopo traendosi dietro il drappello ridotto a soli dodici uomini. Con un fischio chiamò gli uomini dellaltro prahos. Il restante della manovra si compié con fantastica rapidità; i legni si trovarono ormeggiati, formando un sol ponte che presentava una formidabile batteria al nemico, ancor prima che questi potesse comprendere il piano del pirata.
Dinanzi alla batteria venne gettato tutto ciò che poteva servire per un riparo. Botti ripiene di palle, rottami, âncore, vecchi cannoni inchiodati che formavano parte della zavorra, e dietro a quella barricata si affollarono i pirati colle mani raggrinzate sulle carabine e i denti stretti sulle lame dei pugnali che scintillavano fra le labbra frementi. Otto uomini, i feriti, ma ancor robusti manovravano di remi al di sotto dei ponti, che scricchiolavano sotto i piedi dei combattenti anelanti carneficina.
La nave da guerra aveva allora arrestata la mossa retrograda. La ciminiera smozzata eruttava nubi di fumo e le ruote mordevano le acque spumeggianti. Essa si avanzava diritta alla batteria galleggiante colle gole fumanti dei cannoni puntati sul nemico e lo sperone a metà sommerso quasi avesse laudace progetto di cozzarvi contro. Era quello che aspettava Sandokan.
Un minuto dopo i cannoni da ambo le parti ricominciavano la musica infernale. Si rispondeva colpo per colpo, palla per palla, mitraglia per mitraglia. Le due macchine da guerra si fulminavano a vicenda, in un duello mortale, movendosi incontro, proteggendosi con uragani di ferro, che sibilavano nellaria e che mordevano tigre e leone, frantumando attrezzi, atterrando uomini.
Non si scorgevano quasi più, avvolti comerano tra nembi di fumo che una calma assoluta manteneva al di sopra dei ponti, ma che montava? Da ambe le parti si ruggiva con egual furore, da ambe le parti si mordeva malgrado la sproporzione dei mezzi e delle forze.
I due prahos non la cedevano al vascello. Lampeggiavano, eruttavano ferro, non perdevano né un colpo, né un momento che poteva a loro costare una completa rotta. Forati, rasati, schiantati di tavole, sdrusciti, avanzavano non ostante la tempesta di palle che struggeva lo scarso quanto coraggioso equipaggio. Il delirio si era impadronito di quegli uomini che scemavano a vista docchio sotto il tiro micidiale del numeroso nemico, che si teneva sempre fuori di portata di un abbordaggio dove avrebbe potuta avere la peggio.
Patau, fedele alla parola data, aveva arrestato col suo petto la palla tirata sul suo cannone, ed era morto al suo posto, ma che montava? Gli artiglieri dei due prahos erano per metà fuori di combattimento, gli uni senza braccia dalle cui ferite uscivano torrenti di sangue spumoso, gli altri coi fianchi squarciati dalla mitraglia e il rimanente morti, ma che valeva? Nuovi artiglieri manovravano ai pezzi, uno dei quali era stato smontato, e facevano bravamente il loro dovere forando, spezzando, struggendo, e dietro a essi si affollavano tutti gli altri, anelanti, anneriti malgrado il fosco colore delle loro pelli dalla polvere dei cannoni e dei moschetti.
Il ferro turbinava attorno ad essi, staccava braccia e forava petti, troncava gambe e fracassava teste, sibilava sui ponti facendo saltar le tavole, schiantando le murate, tracciando solchi profondi nei più duri legni. Il fumo avviluppava quei due poveri legni corsari ridotti a brani, che non avevano più lapparenza di velieri, ma sopra di essi ruggivano ancor delle tigri affamate, assetate di sangue che calpestavano i cadaveri dei compagni per farsi innanzi, che guazzavano nel sangue, che agitavano le armi, che chiamavano, che insultavano, che urlavano contro il nemico che sfuggiva labbordaggio.
Si vedevano volti foschi, raggrinzati pel furore, occhi iniettati di sangue che schizzavano fuoco a ogni lampeggiar dei cannoni, bocche che masticavano i pugnali sotto i denti freneticamente stretti, mani che facendosi scudo coi cadaveri dei compagni traevano moschettate colla speranza di abbattere a ogni colpo un nemico e in mezzo ad essi, Sandokan, che colla scimitarra in pugno rianimava i combattenti fra un nembo di palle che saltavano e fischiavano a lui dintorno, ora bestemmiando e comandando con una voce che risuonava come una tromba fra tutte quelle detonazioni e quegli scoppi e che ora diventava ruggente come il ruggito della Tigre della Malesia di cui egli ne portava il nome.
La terribile battaglia durò venti minuti, non di più. Dambe le parti vi fu una breve sosta durante la quale Sandokan, prevedendo la completa disfatta dei suoi, comandò la ritirata.
Il nemico incalzava valendosi delle sue potenti artiglierie, sei volte maggiori di quelle che possedevano i pirati ridotte si può dire a un nulla. I due prahos tutti sdrusciti, tutti un foro, mezzi pieni dacqua che continuava trapelare malgrado i tappi frettolosamente cacciati dai pirati, non si mantenevano più a galla, e non erano più in caso di tener ancora testa in pieno mare a quel vascello ferrato. Artiglieri e marinai non erano in un miglior stato: ci voleva assolutamente la ritirata per non venire totalmente schiacciati, e la ritirata, comandata per la prima volta in tanti anni di pugne dalla Tigre, cominciò lenta lenta per quanto lo permettevano gli uomini di bordo gran parte dei quali erano morti o feriti.
Il legno da guerra non per questo si arrestò, e parve deciso a inseguire i due legni fino sotto costa malgrado la poca profondità delle acque e i numerosi banchi subacquei.
Arrestò la sua mossa retrograda e cominciò avanzarsi a piccolo vapore, eruttando pari a vulcano fumo e fiamme.
Le palle ricominciarono a grandinare fitte fitte sui due poveri prahos, facendoli a brani. Lopera di distruzione ricominciò più tremenda di prima.
Ah! ricominci adunque, nave maledetta! esclamò Sandokan con indicibile accento. Seguimi sino alla costa, vieni assalirmi laggiù al fiume se hai del coraggio, lancia i tuoi uomini a terra. Darei tutto il mio sangue per misurarmi petto a petto coi tuoi marinai.