La vedo, Sabau rispose Sandokan. La fosforescenza fra poco crescerà.
Navigheremo come in un mare illuminato. La fortuna non è con noi, ma forse è un vantaggio.
Sandokan sorrise e guardò a poppa. Attorno al timone parevano scaturire vivide scintille e la scia prima biancheggiante diventava raggiante come se una luna splendesse sotto i flutti dinchiostro. A prua, lacqua che spumeggiava prendeva la medesima tinta, visibile fra quella oscurità profonda a due o tre miglia distante. Fra i pirati distesi sul ponte si udì un lieve mormorio, qualche bestemmia, qualche sogghigno, e tutti gli occhi si volsero al legno da guerra sempre addormentato sulle sue âncore e lontano già quasi un miglio.
Dormono adunque? mormorò Sandokan tormentando la ribolla del timone.
Il prahos continuò a filare sotto il suo piccolo fiocco, smuovendo i flutti che si facevano ognor più fosforescenti sotto le migliaia e migliaia di uova di pesci. Aveva già percorso una quarantina di metri senza che alcun segnalasse quellinsolito chiarore, quando un grido formidabile, un richiamo risuonò dal mare. I pirati si levarono come un sol uomo colle armi in pugno.
Allarmi! Allarmi! aveva gridato una voce che il vento aveva portato fino al prahos.
Sangue di Satana, siamo scoperti! esclamò un pirata di colossale statura, i cui occhi brillavano come quelli di un gatto fra la profonda tenebrìa.
Tanto meglio! esclamò Sabau, alzando la scimitarra.
Il prahos si arrestò.
I flutti appena appena agitati tornarono diventare oscuri e la scia scomparve.
Il grido era partito dal legno da guerra, non vi era dubbio. Per quanto la smania di avventarsi sul nemico ardesse nel petto di Sandokan, egli cercò di rendere invisibile il suo legno troppo lontano dallincrociatore per venire a un abbordaggio e troppo debole di artiglierie per ingaggiare un terribile duello.
Non movetevi! comandò egli con quel tono di voce che non ammetteva replica.
La medesima voce di prima, che il vento portava, si fece udire al largo:
Allarmi! Allarmi!
Tra il silenzio generale appena rotto dalle ondulazioni del prahos e dalla brezza che fischiava debolmente tra le manovre, si udì il rullo del tamburo risuonare sul legno nemico. Si batteva la carica.
I pirati non si mossero, decisi, come erano sempre, a tutto, pronti a sfidare una nuova tempesta di ferro e ad arrampicarsi sui fianchi del legno nemico. Sandokan era con loro; bastava.
Il tamburo continuava a rullare. Un istante dopo, malgrado la lontananza, sudirono le catene che si torcevano nelle cubie e i colpi secchi dellargano. Si salpavano le âncore, la battaglia era sicura.
Al tuo pezzo Sabau! disse brevemente Sandokan. Quattro uomini con lui!
Si ubbidì sempre nel più profondo silenzio. Nel medesimo istante una fiamma lampeggiò sul ponte del piroscafo, seguita da una forte detonazione. Lacqua rimbalzò fino a poppa del prahos.
I proiettili piovono mormorò Sandokan. Bene, tanto peggio per lui!
Un fumo rossastro sfuggiva a gran volute dalla ciminiera. Si udirono le ruote rimordere le acque spumeggianti, e si videro i fanali cangiar posizione.
Il piroscafo fu visto avanzare a tutto vapore sul prahos che sempre immobile nelle acque fosforescenti, attendeva impassibile lo scontro.
Ai remi, voi! comandò Sandokan nel momento che una seconda detonazione scoppiava al largo e che una nuova palla faceva saltar lacqua a prua.
Il prahos virò immediatamente di bordo, descrivendo un semi cerchio colla prua volta al vascello nemico, che correva alla carica, collevidente intenzione di colarlo a fondo. La fuga non poteva ormai più tentarsi con un sì rapido camminatore, la ritirata su Labuan nemmeno sotto il fuoco schiacciante di un nemico sì potente in fatto di artiglierie. Il meglio era di incontrarlo evitando un urto, abbordarlo a babordo o a tribordo secondo i casi, arrampicarsi sul ponte e intavolare una pugna disperata. Uno dei due dovea scomparire. Tanto meglio: vi sarebbe stato più sangue e più cadaveri!
Entrambi si scorgevano: luno pei suoi fanali, laltro per la scia fosforescente. Entrambi si udivano: luno per il sospirar della macchina ansante, laltro pel battere dei remi. Il fuoco, palla e scaglia, sincominciò con egual furia, per ischiacciarsi a vicenda prima dellurto.
Orsù, Sabau, la partita non è eguale, ma siamo sempre noi i pirati di Mompracem. Fa adunque ruggire il tuo pezzo e frangimi una di quelle ruote che mordono le acque comandò Sandokan.
Il prahos volava ratto ratto, incontro al legno da guerra che arrivava a tutto vapore, mostrando la prua tagliata quasi ad angolo retto, come uno sperone affilato. Sabau cominciò col suo pezzo la musica infernale, protetto dietro la barricata mirando i fianchi del colossale nemico, che rispondeva a tratti, tempestando, ruggendo, infiammandosi, rompendo le tenebre e il silenzio per ogni dove.
In meno di cinque minuti il disgraziato legno che aveva un bel da fare a rispondere, fu demattato sotto un fuoco di dieci o dodici bocche che scagliavano palle e mitraglia. Il ferro strideva sulle tavole del ponte, sui fianchi, sulla barricata e fra gli attrezzi frantumati. Ruggiva, saltava, lacerava, spezzava, turbinava; ai fori aggiungeva strappi, alle avarie aggiungeva avarie.
Il cannone fu smontato, Sabau fulminato accanto al suo pezzo, la barricata sfondata, il timone infranto, e i remi furono schiantati assieme alle murate e ai banchi. Lacqua cominciò a penetrare nella stiva; i remiganti abbandonando i feriti bestemmianti e dibattentisi fra il liquido elemento che li affogava, salirono sul ponte cosparso di rottami disperdendosi dietro le barricate, cercando sostenersi con un inefficace fuoco di moschetteria. In meno di cinque minuti un terzo erano stati sventrati dalluragano di ferro.
Sandokan solo, cui pareva un genio infernale miracolosamente proteggesse, rimaneva impassibile fra quel turbinio di mitraglia che sdrusciva il legno affondante. In piedi a poppa, con un remo in mano e la scimitarra fra le labbra, gettava di quando in quando una specie di ruggito soffocato come la tigre della Malesia che si vede presa dai cacciatori.
La partita era perduta; impossibile resistere a quel vulcano irrompente senza un pezzo dartiglieria. Non restava che morire, ma morire onoratamente sul ponte del nemico dopo di aver venduta ben cara la vita. Dodici soli uomini ancor rimanevano sul ponte frantumato del prahos che coi fianchi aperti se ne andava a picco, ma dodici uomini assetati di sangue, guidati da un capo il cui valore era popolare in quei mari, e che valevano ancora i quaranta partiti da Mompracem.
A me, miei pirati! esclamò Sandokan, fino allora rimasto muto.
I dodici combattenti cogli occhi stravolti, i pugni chiusi come tenaglie attorno alle armi, facendosi scudo coi cadaveri dei compagni lo raggiunsero a poppa dove manovrava ancora al remo. Tre o quattro feriti che bestemmiavano sotto i rottami, vomitando torrenti di sangue a ogni scossa, si sforzarono di ubbidire ancora alla voce del capo; essi caddero ai piedi dei rimasti urlando come tigri.
Allabbordaggio! Vendetta! Vendetta!
Ah! cane di un nemico! esclamò un Daiasso, mentre una palla gli troncava una mano.
Il piroscafo avventando fiancate sopra fiancate sul prahos sdruscito che non avea più lapparenza di un legno, era allora a soli venti metri da poppa e proseguiva la corsa per affondarlo col suo sperone. Sandokan si aggrappò al remo con ambe le mani.
Lancia un grappino! esclamò egli virando di poppa per evitare lurto. Il piroscafo era a pochi passi distanti e cercava alla sua volta di virare spazzando il mare a tribordo; le sue onde giungevano fino al prahos che rollava penosamente, e sul ponte del quale i pirati moschettavano i marinai delle artiglierie per nascondere laudace manovra.
Di repente avvenne un cozzo sul babordo seguito da uno scricchiolio sinistro; il prahos si piegò a tribordo imbarcando le prime onde che si precipitarono fischiando nei boccaporti.
Lancia! Lancia! urlò Sandokan abbandonando il remo ed afferrando la scimitarra.
Il grappino giunse fino ai pennoni del trinchetto e vi si infisse fra le gomene. Il prahos che affondava virò di bordo seguendo il piroscafo che accelerava la via. Sandokan si aggrappò come una scimia alla gomena.
A bordo! A bordo! urlò egli cercando dominare colla voce il crepitar della moschetteria.
Quel comando bastò. I pirati aiutandosi a vicenda, aggrappandosi su per gli sportelli delle batterie, giungono alle murate e si scagliano sul ponte come una banda di affamati lupi, ancor prima che il nemico abbia a respingere laudace invasione.
Ammazza! Ammazza! urlò Sandokan precipitandosi fra i combattenti.
I primi che si parano dinanzi cadono sotto i suoi colpi ed i suoi uomini lo seguono seminando la via di cadaveri. Si scagliano sui cannoni massacrando gli artiglieri, urlano, si dimenano, tempestano colpi a diritta e a manca valendosi delloscurità per accrescere la confusione, poi simili a tigri, sbaragliati gli uomini di prua, si gettano sul ponte a testa bassa.
Ammazza! Ammazza! urlava Sandokan agitando la scimitarra insanguinata fino allelsa.
Il tamburo batteva la carica. Lequipaggio dellincrociatore, sbandato e smarrito per un istante, si era raccozzato a poppa attorno ai comandanti e si precipitava innanzi caricando alla baionetta mentre la moschetteria degli uomini installati sulle coffe cominciava a mordere sibilando fra gli attrezzi. Non vi era né da arrestarsi né da dare indietro. I pirati ridotti a nove, ma diventati nove leoni, si gettano coraggiosamente sulla punta delle baionette e intavolano a mezzo ponte una lotta micidiale, cercando sfondare quella muraglia umana per giungere alla Santa Barbara e far saltare con essi la nave.
Sono uno contro dieci, ma in quel momento non si contano. Avventano colpi disperati, troncano braccia e aprono teste, urlano per ispargere maggior terrore nelle file nemiche, cadono, indietreggiano, si avanzano come le onde del mare, si aggrappano ai combattenti dilaniandoli coi denti e colle unghie, facendosi scudo coi corpi dei cadaveri; perdono le armi infrante ma strappano quelle dei nemici incalzanti e ricominciano lomerica lotta fra i gemiti dei feriti.
Il valore doveva cedere al numero. Moschettati sopra, sciabolati a tergo, ributtati dinanzi, avviluppati da un nemico dieci volte meglio armato e che diventava ognor più numeroso, muoiono vendendo cara la vita, ma muoiono. Sei uomini cadono trafitti in meno di venti secondi.
Sandokan e gli altri, coperti di ferite colle scimitarre in pugno sono costretti a retrocedere dinanzi quella barriera irta di armi; facendosi strada fra i moribondi, si precipitano a prua tentando con uno sforzo disperato darrestare quella valanga di gente col cannone.
A mezza via Sandokan rotola sul ponte insanguinato con una palla nel petto. Gettò un ruggito di dolore. I suoi uomini gli si stringono dattorno.
Ammazza! Ammazza! urlò ancora il ferito e sollevandosi con uno sforzo disperato si preparò a far testa al nemico che correva allassalto colla baionetta.
Lurto fu terribile. I tre pirati, che si erano gettati dinanzi al loro capo facendo scudo coi loro corpi, caddero fulminati. Ma non così avvenne della Tigre della Malesia miracolosamente salvata dai suoi prodi.
Il formidabile uomo gettando il suo urlo di guerra spaccò la testa al primo uomo che gli si parò dinanzi, poi gettando da un lato larma seminfranta, abbrancando un marinaio e sollevandolo con forza erculea malgrado la ferita che mandava fiotti di sangue, si avventò contro una delle murate. Frantumare la testa del poveretto con una terribile stretta, scavalcare le murate e precipitarsi in mare prima che le baionette lavessero toccato, fu per lui laffare di un lampo.
Ma un tale uomo, dotato di una energia sovrumana e del coraggio della tigre, quantunque ferito e spossato, non doveva sì facilmente morire.
Mentre il piroscafo proseguiva la sua via trasportato dalle ultime battute delle ruote egli con un colpo di tallone risalì silenziosamente a galla, e rattenendo con ferrea volontà i gemiti che gli strappava la ferita al contatto dellelemento corrosivo, si mise a nuotare come un pesce verso lest senza lasciare traccie, senza destar attenzioni e con tutta la velocità di cui era capace un marinaio come lui. Il legno da guerra virava allora trecento passi lontano. Esso si avanzò descrivendo un gran cerchio attorno al luogo ove si era inabissato il pirata, collintenzione di tagliarlo in due collo sperone. Non bisognava lasciar vivere uno di quegli uomini di una razza maledetta, che durante dodici ore di una lotta sanguinosa aveva tenuto in scacco uno dei più valorosi legni della marina inglese.
Ma Sandokan, se il legno lo cercava attivamente, egli era ben deciso di sfuggire, di tutto tentare per guadagnar la costa che non doveva essere gran fatto lontana e meditar di là una strepitosa vendetta. Egli si era arrestato immerso per quattro quinti, protetto dalloscurità, rannicchiato quasi su sé stesso nel liquido elemento a lui tanto famigliare senza gettare un sospiro, senza fare un gesto, senza movere occhio. Galleggiava come un rottame abbandonato pel quale si poteva prenderlo se fosse stato scorto.
Il piroscafo compì il suo giro mordendo le acque, poi si arrestò come cercasse indagare quei flutti da lui agitati e ripigliò le ricerche tagliando quello spazio in mille guise, virando da babordo a tribordo colla speranza di incontrare il nuotatore, e di lacerarlo o di stritolarlo sotto le ruote.
Lequipaggio intero fornito di fanali era sparso sulle murate, sulle griselle o calumato fino alle patte delle âncore per cercare di scoprirlo. Ma la manovra non riuscì benché lo sperone e le ruote passassero a pochi piedi da Sandokan sempre immobile e qualche palla tirata a casaccio facesse rimbalzar lacqua a pochi pollici dal suo capo.
Dieci minuti dopo il piroscafo, sicuro che il pirata erasi annegato o era caduto sotto il dente di qualche pesce-cane, si allontanava a tutta forza della sua macchina dirigendosi verso il nord, lasciandosi dietro una scia fosforescente, gorgogliante, in mezzo alla quale ondulava qualche cadavere.
Sandokan, appena fu sicuro che la distanza e il fragor delle ruote soffocavano più che sufficientemente il rumor dellonda tagliata dalle sue braccia, dopo di aver passato la cintola sulla ferita per arrestare lemorragia e daverla bene stretta, ricominciò a nuotare con tutte le forze che ancor rimanevano nel suo corpo impoverito di sangue. Egli non gemeva ad onta degli atroci dolori che soffriva ma si mordeva le labbra con una specie di furore, alternando fra una battuta e laltra una bestemmia, un giuramento, comprimendo colle dita la cintola stretta sulle labbra della ferita dalle quali usciva un filo di sangue che si mesceva coi flutti dinchiostro. Tutta la sua ira, tutta la sua vendetta era là, su quel piroscafo che dopo averlo battuto fuggiva, su quel piroscafo che lo aveva sconfitto per la prima volta in vita sua, su quellincrociatore che scorrazzava quei mari non suoi, su quel fantasma potente quanto terribile che avea fatto mordere la polvere alla Tigre della Malesia.
Lottando disperatamente fra le acque sfinito per la perdita del sangue, quelluomo aveva dei momenti in cui sfuggendo la costa si metteva insensatamente a inseguire il piroscafo che a poco a poco impiccioliva scomparendo fra le tenebre, lo chiamava, bestemmiava, lo sfidava, alzando le mani raggrinzate, frementi, strette come attorno limpugnatura di unarma immaginaria, scagliandogli contro mille insulti, mille minacce. Oh! allora sì pareva dar ragione a quel nome di Tigre della Malesia, e come nella pugna digrignava i denti, gli occhi mandavano lampi, e lanciava quel sordo mugolio che lo rassomigliava alla tigre.