Tra cielo e terra: Romanzo - Anton Barrili 5 стр.


Maurizio lesse e sorrise; ripiegò il foglio, dopo avergli data ancora una rapida scorsa, lo rimise nella sua busta, e depose questa sulla tavola; dopo di che ritornò al suo lavoro. Alle dodici il legnaiuolo si congedò, per andarsene a desinare.

 Ripasserò alle due, signor conte;  dissegli.

 No, per oggi basterà;  rispose Maurizio.  Ho da far altro; ritornerete domattina, allora solita.

E anchegli discese, dopo essersi messo in ordine, per andare ad asciolvere. Dopo il pasto mattutino, andò nelle sue stanze a mutar abiti.

 Vai fuori?  gli chiese Albertina, vedendolo così vestito di tutto punto.

 Sì, alla Balma. Vedi che cosa mi scrive il tuo generale.

Così dicendo, porgeva ad Albertina la lettera che aveva ricevuta nella mattinata.

 È cortese;  osservò ella, dopo aver letto.  E gli sei proprio debitore di una visita. Io, anzi, te lo volevo dire fin da ier laltro.

 Andiamo dunque, e perdiamo questa mezza giornata;  conchiuse egli sospirando.

E uscito dal Castèu, si avviò alla Balma; non dalla parte del paese, ma dalla parte della montagna, per la scorciatoia del bosco e della cascata, che ben ricordava, per averla fatta da ragazzo, almeno un centinaio di volte.

Rivedere i luoghi dove si è passata la prima adolescenza, dove non è per noi un ricordo che non sia lieto, è certamente bellissima tra tutte le cose belle della vita. Maurizio simmerse in quella gioia così profonda, e nondimeno un pochettino chiassosa, che invade tutto il nostro essere, e trova ancor modo di espandersi in esclamazioni, in grida, in rotte parole, che vorrebbero diventar inni, ondate di poesia, e non riescono ad essere che sussulti, gorgogli, balbettamenti dellanima. Si fermava un po da per tutto, vedendo e ricordando; ma più si trattenne davanti allAiga, alla bella cascata, con tutte quelle felci e quei muschi onde erano tappezzate le pareti dello scoglio, con quella rupe che sopraggiudicava labisso, con quel lastrone orizzontale, vero labro di granito, donde si precipitava il cristallino volume delle acque nella conca sottoposta, sprizzando in polvere liquida, estuando in candide spume, rompendosi in rivoli che tornavano a ricongiungersi più sotto in un solo zampillo. Maurizio non si sarebbe più spiccato di là, se non avesse pensato in buon punto che aveva da fare una visita dobbligo, che per quella visita aveva congedato il legnaiuolo, interrompendo il suo piacevole lavoro, che per quella visita si era vestito di tutto punto e mosso di casa.

 Ci tornerò;  dissegli ad alta voce, come per fare le scuse della sua fretta alla divinità del luogo.

Gli antichi avevano ben ragione a mettere delle dee per protettrici delle fonti. Non cè cosa più poetica di una bellacqua corrente nella solitudine di un bosco, nè altra che più meriti il sorriso di una divinità tutelare.

Maurizio si avviò finalmente; e non in dieci minuti, per verità, ma in trenta o quaranta giunse sotto al muro di cinta del castello della Balma. Cera un muro, e ci stava benissimo; tutti i castelli che si rispettano ne hanno uno, spesso più duno. Ma luscio per entrare? o la breccia? Maurizio rammentava benissimo che la breccia non mancava; non fatta da nemici, ma da contadini poco disposti a passare per la strada maestra. Quella breccia, ridotta a passo campestre, si ritrovava più su, dietro una svolta del muro.

 Per di qua;  gli disse dallalto una voce.  Se andate alla Balma, cè qui il sentiero.

 Lo so, grazie;  rispose Maurizio.  Conosco i luoghi da un pezzo.

E salutava, così dicendo, il bravuomo che gli dava lavviso. Era un pastore, che se ne stava seduto su dun masso, pascolando due mucche e una dozzina di pecore.

Trovato facilmente il passo, ed entrato nel recinto della Balma, il visitatore fu ben presto ad una piccola spianata, davanti a cui sorgeva la gradinata che metteva al portone dingresso. Non cera nessuno alla vista, ma si sentivano voci di dentro; anzi, per dire più esattamente, si sentiva una voce sola, che faceva per quattro, rumorosa, allegra, voce di comando frammezzata di risa.

Nessuno era nel vestibolo. Maurizio entrò, col suo cappello in mano; da un uscio aperto, sulla sua destra, vide una sala da biliardo, e due uomini che stavano giuocando, luno occupato in una serie di caramboli, laltro in atto di guardare il giuoco dellavversario, e in pari tempo di ingessare il cuoio della propria stecca. La serie fu breve, per effetto di troppa sicurezza, o di fretta soverchia nel dare il colpo, e il giuocatore sfortunato era già per attaccare un moccolo, quando un gesto del compagno, che stava dirimpetto alluscio, lo costrinse a voltar gli occhi verso il nuovo personaggio che appariva allora nel vano.

 Ah, bene!  esclamò egli, deponendo la stecca sul panno verde e muovendo incontro al visitatore.  Siate il benvenuto, signor Maurizio. Qua la mano; anzi, no, un abbraccio, tanto per cominciare. Ma come va?  soggiunse, volgendosi al compagno.  Il vostro servizio davamposti procede assai male, mio caro Dutolet.

 Non so veramente come sia andata;  rispose quellaltro, con accento dimesso.

Maurizio era rimasto un pochino interdetto, non sapendo che cosa significasse quellaccenno di avamposti, che interrompeva in mal punto la cortesia delle accoglienze.

 Figuratevi;  ripigliò il generale, rivolgendosi a lui, come se avesse letto in quel punto nellanimo del visitatore.  Avevamo messo un uomo in sentinella a metà della salita, per essere avvertiti del vostro arrivo. Vi avevo annunziato che mi avreste ritrovato in fondo alla scala, e voi siete arrivato fin qua, signor conte, senza trovarmi al posto assegnato. E sono disonorato, Dutolet;  disse il generale, volgendosi ancora al compagno.  Manderemo agli arresti la sentinella infedele; daremo un esempio, non vi pare?

 Intercedo per la sentinella, generale;  disse a sua volta Maurizio, mettendosi volentieri sul tono di celia che aveva assunto il signore della Bourdigue.  Voi lavete fatta mettere al posto buono per invigilare la strada maestra; e certamente sarà ancora laggiù ad aspettare che io mi presenti al cancello. Ma io non son venuto di laggiù; son capitato dalla scorciatoia del bosco.

 Ottimamente, da astuto nemico che conosce il terreno,  replicò il generale, ridendo.  Ma questo mi fa pensare che la Balma non è così forte come sembra. La posizione è stata girata, Dutolet; come laggiù ti rammenti, mio bravo? E quanti valorosi ci sono caduti, incominciando da te!..

Unombra era passata sugli occhi del generale, contrastando maledettamente con laperto sorriso di prima. In un attimo, per altro, e la figura marziale del vecchio riprese il suo aspetto di franca cordialità.

Il generale Matignon della Bourdigue doveva essere stato un gran bel giovane a suoi tempi: era ancora un belluomo, e decorativo in sommo grado. A cavallo, certamente, con quelle spalle quadre, quellampio torace, quei baffi bianchi biondeggianti e quegli occhi azzurreggianti sul vermiglio della carnagione, doveva parere uno di quei paladini di Carlomagno, che potevano essere oppressi dal numero a Roncisvalle, ma dopo aver fatto prodigi di valore e di forza, accoppando mille Saracini, prima di ricevere essi medesimi una graffiatura al braccio, o una ammaccatura al ginocchio.

Laccenno militare condusse naturalmente il generale alla presentazione del suo ospite. Il capitano Dutolet, sottotenente nella campagna del 1870, era stato ferito gravemente a Reichshoffen, e sarebbe morto sul campo, se non si fosse dato pensiero di lui, facendolo raccogliere in tempo e mandare allambulanza, il suo capo di squadrone Matignon de la Bourdigue. Quel magro cavaliere dal volto grigio, dalle gambe di ragno e dallaria sempre malinconica, era una salda tempra di acciaio; ancora a servizio, veniva a spendere le sue licenze ordinarie e straordinarie presso lantico superiore, che da cinque anni aveva lasciato lesercito, per passar tra glinvalidi assai prima del tempo. Anche il generale de la Bourdigue aveva avuto a dolersi di una ingiustizia? La cosa era possibile; tanto gli uomini si rassomigliano, sotto tutte le longitudini della zona temperata e sotto tutti i governi civili.

Quel generale, che avrebbe fatto ancora una così bella figura a cavallo, possedeva un magnifico stato di servizio. Nizzardo di nascita, aveva raggiunto il grado di capitano nellesercito, piemontese, combattendo in Crimea e quindi in Lombardia nella campagna del 59. Dopo la cessione di Nizza alla Francia, era stato tra quelli che avevano optato per la nazionalità francese, e nel 70 era giunto al grado di capo squadrone, dopo aver fatto parte del corpo di spedizione al Messico e aver combattuto valorosamente sotto le mura di Puebla. Colonnello dopo Sedan, generale di brigata nellesercito della Loira, non aveva più fatto altri passi in avanti. A chi era dispiaciuto? Che demeriti avevano ritrovato in lui? Il generale Bourdigue non istette a domandarlo: una dolorosa occasione gli si offerse di lasciare il servizio, ed egli colse quella occasione pel ciuffo.

Camillo, il suo fratello maggiore, rimasto italiano alla cura deglinteressi domestici, che erano tutti di qua dalla linea della Roia, era venuto improvvisamente a morire, lasciando orfana lunica figliuola Gisella. Il generale, venuto a surrogare il fratello, aveva prese le redini della amministrazione domestica; e il tutore, un anno dopo, diventava marito. Come era avvenuto ciò? Si diceva a Nizza, a Villafranca, a Mentone, dovunque i Matignon erano conosciuti, e si ripeteva da Ventimiglia a San Giorgio, dove avevano le loro possessioni, che la fanciulla medesima avesse voluto quelle nozze.

I valorosi, hanno sempre questa sorte di fascino sulla donna. Pare alla bellezza di appoggiarsi meglio, quando il braccio che la sostiene è quello di un eroe. Inoltre, la donna conosce il suo proprio valore, la sua qualità di gioiello; sente di essere buon premio alla forza, morale o fisica chella sia, o luna cosa e laltra ad un tempo.

La contessa Gisella, a cui Maurizio di Vaussana fu presentato quel giorno, era una bellissima creatura di ventuno in ventidue anni, bionda e rosea come abbiamo già avuto occasione di dire. Ma quando si dice bionda e rosea, non si è detto ancor nulla: bionda e rosea può essere anche una pupattola; bionda e rosea su per giù era anche la cugina splendidissima e formosissima di Maurizio. La castellana della Balma non offriva tuttavia nessuna somiglianza con una pupattola; non aveva nessunaria di parentela con la cugina di Maurizio.

In primo luogo era più alta, e più flessuosa nella persona; donde una formosità daltro genere. Poi la carnagione era più fine, dimpasto più gentile, più tenero, con un certo riflesso dorato sul roseo, che non aveva quellaltra. Il biondo dei suoi capelli era più luminoso, più morbido, più ondato; e quei capelli formavano un volume così abbondante, da potersi paragonare a quelli di Genovieffa di Brabante, capaci a far da accappatoio a tutta la persona, quando la bella principessa della leggenda ebbe logorati i suoi abiti nella foresta di Trèveri. Non si poteva poi pensare alla cugina, vedendo gli occhi della contessa Gisella; grandi occhi profondi, neri dun nero dindaco, ma che mettevano bagliori doro ad ogni batter di ciglia.

 Mia moglie è fosforescente;  diceva qualche volta il generale.

La contessa Gisella sorrideva, e senza ombra di civetteria, volentieri secondando un complimento maritale, con un nuovo sprigionamento di faville. Era una bambina, niente vana della propria bellezza, ignorandola forse, certamente non dandosene pensiero e non sapendo che farsene. Qualche volta, con versi infantili, storcimenti di bocca, guardate di sbieco, pareva che lavorasse a farsi brutta; ma senza venirne a capo. Tutto ciò chella faceva era improntato di sincerità, dingenuità, di franchezza e di grazia. Vi passava davanti come una bella farfalla che aleggia capricciosa nella pompa de suoi vivi colori, e non sa di essere la vita del giardino, la festa degli occhi, la maraviglia del quadro.

Vedendo lei da vicino, discorrendo con lei, Maurizio non potè trattenersi dal pensare a sua cugina e al dolorino acuto che gli aveva lasciato nellanima quella splendidissima e formosissima bionda.

 Ecco  diceva egli tra sè,  una donna bella vi colpisce, vinfiamma, vi fa soffrire come un dannato. Poi se ne presenta unaltra più bella, magari nel suo stesso genere, il che è veramente il colmo dellaudacia; e lì per lì, senza cancellarvi limmagine della prima, senza distruggervi in cuore la memoria degli antichi tormenti, ve ne rende innocua la sensazione, sterile e vano il pensiero. Come ho potuto soffrir tanto per quella là? Quella là, certamente; è il modo dindicar la figura che è passata, non lasciando più desiderio di sè. Anche le donne, alla lor volta, sentono e ragionano così; anchesse hanno «quello là» da giudicare in forma sommaria, mandandolo a farsi benedire. E il meglio, dopo tanta esperienza, il meglio sarebbe di esser tutti filosofi, uomini e donne, di cansare gli innamoramenti fatali, di prendere un po più alla leggera le cose del cuore, fragili e fugaci alla fin fine come tutte le altre.

Ma queste cose si possono pensare, non fare. Sono le occasioni, quelle che vengono addosso, quando meno ci si pensa; sono le circostanze, quelle che imprigionano, quando meno si crede di restarci impigliati. La donna che si ama di più, che più dovrà farci soffrire, non è sempre la più bella, contro cui cera modo di mettersi in guardia a tempo opportuno. Un amico di Maurizio aveva fuggito i lacci di due meravigliose creature: poi si era ucciso per una piccola strega dei mari del settentrione, secca stecchita a quel modo, che quando laveva veduta la prima volta gli era parsa unaringa affumicata.

Maurizio di Vaussana stette un paio dore alla Balma, ragionando di cento cose. Cadde anche il discorso sulle cause del suo ritiro precoce dal servizio: ma sintende che nè il generale lo incalzò troppo con le domande, nè egli credette necessario di dire la verità tutta quanta. Si toccano mal volentieri certi tasti più intimi, quando non si è tra connazionali: e il signore della Balma e il signore del Castèu, quantunque appartenenti pel sangue alla medesima valle, non erano di una medesima patria. Maurizio trovò il modo di dire che da un pezzo sentiva il bisogno di attendere agli interessi di casa sua. Vivendo il babbo, era una cosa; morto il babbo era unaltra. Da principio, correndo ad ogni tanto voci di guerre possibili, aveva stimato necessario di restare al suo posto di combattimento: ma oramai, sfumata ogni probabilità di vicine «complicazioni europee», le voci della sua terra erano state più forti, ed egli, di marinaio che era diventato, ritornava a fare il gentiluomo di campagna.

 Per nostro vantaggio;  disse il generale.  E speriamo che ci restiate per sempre. Ma il miglior modo dincatenarvi qui, sarà quello di darvi moglie. Non fate conto di prenderla?

Maurizio sorrise. Che idea! cera egli proprio bisogno di prender moglie, per vivere e non annoiarsi della vita? Ma questo, che pensò, non lo disse. Infatti, sarebbe stata una grande scortesia verso una buona intenzione, e più ancora verso quelluomo che laveva presa bellissima. Rispose invece con un «perchè no?» a fior di labbra, che lo impegnava fino ad un certo punto, lasciandogli la porta aperta per una brava ritirata.

 Del resto  soggiungeva,  una moglie non si trova lì alla prima voltata di strada. Non è anche conveniente per la felicità, di trovar prima lamore, donde sia facile poi avviarsi al matrimonio?

 Un altro vi risponderebbe: prima il matrimonio; lamore verrà poi, e non sarà che più forte, perchè fondato sulla conoscenza, sulla stima reciproca;  ripigliò il generale.  Ma queste sono le vie battute dal ragionamento, e voi amate le vie strane. Per una di queste, infatti, siete salito alla Balma. Innamoratevi dunque, signor Maurizio, e sposate. Per voi, ultimo dei Sospelli di Vaussana, è anche un debito donore verso i vostri maggiori, che hanno diritto di veder continuato il lustro di un buon nome.

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