Tra cielo e terra: Romanzo - Anton Barrili 6 стр.


 Del resto  soggiungeva,  una moglie non si trova lì alla prima voltata di strada. Non è anche conveniente per la felicità, di trovar prima lamore, donde sia facile poi avviarsi al matrimonio?

 Un altro vi risponderebbe: prima il matrimonio; lamore verrà poi, e non sarà che più forte, perchè fondato sulla conoscenza, sulla stima reciproca;  ripigliò il generale.  Ma queste sono le vie battute dal ragionamento, e voi amate le vie strane. Per una di queste, infatti, siete salito alla Balma. Innamoratevi dunque, signor Maurizio, e sposate. Per voi, ultimo dei Sospelli di Vaussana, è anche un debito donore verso i vostri maggiori, che hanno diritto di veder continuato il lustro di un buon nome.

Il signor Maurizio non sorrise più, sinchinò ringraziando. Poco dopo, essendo la sua prima visita durata oltre i termini della convenienza, si alzò per prender commiato.

 Badate, amico;  gli disse il generale, prendendogli affettuosamente la mano e stringendola forte tra le sue;  qui non siamo in città, da vederci una volta alla settimana: siamo qua tutti i giorni, mattina e sera. Del resto, ora che conoscete anche il mio ospite, non sarà più il caso per noi di lasciarlo solo, quando verremo a scovarvi nel vostro Castèu.

Le accoglienze erano state molto cordiali da parte del generale, e gentili da parte della contessa Gisella; Maurizio poteva esser contento dei suoi vicini della Balma. Bastavano esse per dirgli il carattere dei signori Matignon? Le prime visite per solito non contano, in questordine dindagini e di scoperte; nessuno si fida a questi incontri preliminari, a questi semplici contatti di superficie, dove le regole della buona creanza e i luoghi topici della conversazione son tutto.

Pure, tanto è forte nelluomo labito dellindurre, Maurizio se ne partiva dalla Balma con una opinione formata, se non ancora dal suo raziocinio, certamente dalle sue sensazioni. E lopinione era questa: che i signori della Balma erano ottima gente; il conte un allegro compagnone, con qualche scatto dimperiosità, derivato dalla abitudine del comando, dallabuso della caserma e della piazza darmi, ma del resto un buon diavolo, e piacevole in società, quantunque, fuori dagli argomenti militari, un po tavola rasa; la contessa una bella bambinona, senza grande istruzione anche lei, ma buona, una vera pasta di zucchero, felicissima di obbedire a quel gran marito e ai suoi grandi mustacchi, di cui sembrava infatuata, come se fossero ancor biondi. Pensando a quella coppia, gli tornavano a mente due colombi che aveva visti un giorno a Pisa, espressi dallo scalpello di uno scultore, collocati luno di rimpetto allaltro, intenti a tuffare il becco nel latte di una tazza dalabastro; donde a lui era venuto il pensiero che da un momento allaltro, solo che si chinassero un tantino di più, ci sarebbero cascati a capo fitto.

Affogar nel latte, che morte! E non cera anche il pericolo di annoiarsi un pochino, con tanto latte per tutto pasto? Veramente, per rompere la monotonia cera lospite, il capitano Dutolet. Ma cera proprio? o non era piuttosto lombra di un ospite? Quel ragno grigio si poteva creder benissimo, dalle apparenze, un compito cavaliere: doveva anchessere un valoroso della buona specie, poichè era molto modesto, non parlava mai delle sue imprese di guerra, e, quando il suo generale vi accennava, egli cercava subito di sviare il discorso. Ma era di poco aiuto, Dio buono, anzi di nessun aiuto in una conversazione. E dovevano esserci ogni giorno alla Balma molte ore di noia.

Anchegli, il signor Maurizio, si sarebbe annoiato al Castèu, senza i suoi libri, senza il suo disegno di scrivere unopera. Ah, come voleva mettersi presto al lavoro! Su presto, adunque, in ordine i libri, le carte, gli strumenti; e fatto ciò, sùbito un buon orario da imprigionarcisi dentro, come il filugello nel bozzolo. Egli ricordava benissimo a questo proposito la massima di un suo vecchio professore al collegio di Marina: «i sistemi fanno e non fanno, il metodo è tutto».

Per dar sesto alle cose sue ci sarebbero volute ancora cinque o sei giornate di lavoro. Disgraziatamente, non erano più giornate intiere, ma mezze: alle dodici, ora del desinare, il legnaiuolo era congedato. Come fare altrimenti? Il generale era venuto con la sua signora a visitare la contessa Albertina; gran miracolo che non si ripeteva più da sei mesi. E in quella visita, il conte Matignon de la Bourdigue aveva rinnovato a Maurizio il suo avvertimento: «Siamo in casa tutti i giorni, mattina e sera, sera e mattina». Poveri colombi, sugli orli duna tazza di latte! La vita della campagna è sana; ma chi non ci ha niente da fare, Dio misericordioso!.. Si cerca di essere in tre; quando in tre non si sente sollievo, bisogna trovar modo di essere in quattro.

Maurizio andava dunque ogni giorno a fare il quarto a quei buoni vicini. Si giuocava molto a biliardo; si faceva anche un po di scherma, e qualche volta si usciva a far quattro colpi di pistola. Il generale, da vecchio ufficiale di cavalleria, era un gran sciabolatore al cospetto di Dio; con la spada reggeva appena al confronto del capitano Dutolet, ed era molto inferiore a Maurizio, gran tiratore, che si era fatto in Genova alla scuola elegante e vigorosa di Licurgo Cavalli, e che a Napoli era stato perfezionato dalla grazia corretta di Masaniello Parise. Alla pistola batteva tutti il capitano Dutolet, con quel suo modo curioso, strano, inconcepibile, di tirar diritto senza puntare. Per colpire il bersaglio a venticinque passi, Maurizio aveva bisogno di star sulla mira almeno cinque secondi. Il capitano niente; si presentava di fianco, innanzi al bersaglio, con la bocca della pistola a terra; alzava il braccio, portandolo naturalmente, automaticamente in linea, allaltezza necessaria, non un millimetro di più, non un millimetro di meno; e paf, era un centro senza fallo.

I due testimoni di quelle prodezze lodavano senza risparmio. Ma il bravo capitano Dutolet non accettava le lodi. Non cera niente da far maraviglia; un po di pratica; questione di esercitare le articolazioni a quel punto di arrivo in linea, i muscoli a quel grado di tensione, ecco tutto.

 Ecco niente;  gridava il generale, con la sua voce di tuono.  Se non si trattasse che di esercizio, in tutti i giuochi tu riusciresti eccellente, mio caro. E allora come va che sei sempre una sbercia a carambolo?

Capitolo IV.

La disputa filosofica

Un giorno che Maurizio faceva la solita strada del bosco per salire alla Balma, gli venne veduta la gran novità di un abito talare che appariva e spariva a intervalli lungo i tigli del gran viale. Labito talare scendeva; e Maurizio, fermandosi alquanto ad una svolta del sentiero, riconobbe il suo uomo. Don Martino che veniva di lassù! Era un caso strano, inaudito. Il signor di Vaussana non aveva saputo mai che larciprete di San Giorgio bazzicasse alla Balma; e vedendo per la prima volta don Martino ritornare da quella eminenza, pensò involontariamente al signor Camillo, il miscredente.

Infatti, quellanima buona di sua sorella Albertina poteva dir tutto quel che voleva, per coprire la verità, ma il primogenito dei Matignon era vissuto tuttaltro che in concetto di buon cristiano. In chiesa non lo aveva mai visto andare nessuno, nello spazio di trentanni. Si diceva dal vicinato che fosse un libero pensatore, che leggesse il Voltaire, il Rousseau e gli altri Enciclopedisti; desolazione della abominazione. Quella, sintende, era la chiacchiera daltri tempi, dei tempi in cui si voleva dar colpa di tutta la miscredenza moderna al Voltaire, al Rousseau; nè poteva indurre in errore Maurizio, che conosceva benissimo le opinioni spiritualistiche del Ginevrino, e quanto allaltro rammentava benissimo la storia del tempietto di Ferney con la famosa epigrafe: «Deo erexit Voltaire»; un po orgogliosa, per dire la verità, ma non atea. Comunque fosse, avessero torto o ragione le coscienze timorate del luogo a veder così neri gli Enciclopedisti, restava sempre il fatto che il primogenito dei Matignon non era vissuto praticando la religione dei padri; e lessere andato don Martino, arciprete di San Giorgio, al suo letto di morte, non provava punto che si fosse riconciliato allultimora. Se ciò fosse avvenuto, larciprete non avrebbe tralasciato di dirlo: in quella vece, quando gli si toccava quel tasto, don Martino cambiava discorso. Dunque la conseguenza era facile a trarsi; don Martino era andato per moto spontaneo dellanima, forsanche giungendo tardi, e ad ogni modo non salvando che le apparenze, per chi voleva contentarsene.

Quanto al generale, egli doveva essere la seconda edizione del suo fratello maggiore; salvo, sintende, lo studio sugli enciclopedisti. Simpacciano poco con la filosofia, i militari. Così pensava Maurizio; e così pensando, la presenza inaspettata dellarciprete di San Giorgio al castello della Balma doveva parergli una cosa strana, inaudita. Ma non era affar suo: da uomo educato, non poteva domandare; da uomo senza curiosità, non ne sentiva il bisogno; si era già dimenticato dellabito talare, giungendo alla presenza del castellano della Balma.

Il generale era col suo inseparabile Dutolet, ambedue seduti al fresco, su certi sedili di ferro, disposti a semicerchio fuori dellingresso, accanto alla gradinata di marmo.

 Venite qua voi a consolarci;  disse il generale, comebbe veduto Maurizio.  Venite a riconfortarci lo stomaco. Non lo sentite, lodore di scarafaggio?

Maurizio ebbe laria di non intendere a che cosa volesse alludere il suo interlocutore.

 Già,  ripigliò il generale,  voi venite sempre dalle scorciatoie; se foste venuto dal gran viale, avreste incontrato luomo nero che ci ha regalato unora del suo tempo; e ne avremmo fatto volentieri di meno. Con che scopo, domando io, con che scopo il signor arciprete di San Giorgio viene una volta al mese quassù? Per vedere quando si fa conto di lasciargli queste quattrossa?.. Ma non ne abbiamo nessuna voglia; non è vero, Dutolet?

 Per quello che mi riguarda,  disse il capitano, senza neanche sorridere,  ci sarebbe troppo poco da rosicare.

 Non dimentichiamo i diritti dellospite;  notò il generale, osservando che Maurizio era rimasto silenzioso.  Nè di politica nè di religione si deve ragionare tra uomini. A questo ci ha ridotti la civiltà; e le sue leggi van rispettate.

Maurizio vide allora la necessità di parlare.

 Se è per me, generale, non vi date pensiero;  rispose.  Non mi fanno paura i discorsi di politica, nè quelli di religione. Credo ancor io che la civiltà abbia delle leggi false, come ne ha delle puerili. A mio avviso si può discutere di tutto; basta che nella discussione si porti della misura, della buona volontà, del rispetto.

 Ah, mi levate un peso dal cuore!  gridò il generale.  In fede mia, non ne potevo più. Immaginate che non posso soffrire i preti.

 Scusate, generale, ma allora

 Volete domandarmi perchè li ricevo? In verità, non sono io che li invito a venir quassù. Già, non so se debbo ridere o andare in collera, quando me li vedo davanti. Non sanno che esser umili coi potenti e coi ricchi. È dunque una umiliazione che vogliono.

 Ed io, perdonate, non la infliggerei loro; mi darei piuttosto ammalato demicrania.

 È quello che dice mia moglie. Vintendereste benissimo con lei, almeno nel fatto di dispensarli da una visita inutile. Neanchessa li può soffrire. Mio fratello lha educata bene, ed io non ho avuto da consigliare mutamenti nella sua educazione. Niente preti, miei giovani amici, specie con le donne. Infatti, è ancora per mezzo delle donne che essi comandano nel mondo; sono essi che le hanno educate alla superstizione, e con la confessione, col perdono periodico, le hanno educate alla colpa.

 Ma il perdono è di Cristo.

 Cristo fu un uomo. Come uomo, lo venero, ho un gran rispetto per lui; non senza riconoscere, per altro, che avrebbe fatto meglio ad essere più severo, insegnando per esempio a non fallire con tanta facilità. Ma che si fa la burletta? Col dirci che il giusto cade sette volte al giorno, non si dà la licenza a tutti di cascar quattordici, o ventotto? Per me, dicano quel che vogliono con la teorica del perdono; non conosco che il dovere, io, e so che il dovere è buono.

 Debbo io dirvi tutto quello che penso, generale?

 Ma sì, per bacco. Non lo dico io liberamente, approfittando della vostra licenza?

 Ebbene,  rispose Maurizio,  vi dirò che il dovere è buono, perchè scende diritto diritto dalla legge morale; e la legge morale è Dio.

 Ah, il gran cavallo di battaglia! Ma siete voi persuaso, caro amico, che Dio non sia una creazione delluomo?

 Anche la morale, allora.

 La morale,  sentenziò il castellano della Balma,  è lutilità bene intesa, per cui solamente si conserva questa povera specie umana. Non fare ad altri quel che non vorresti che fosse fatto a te; fare ad altri quello che vorresti che fosse fatto a te.

 Già, per dare il buon esempio,  replicò Maurizio, sorridendo;  ma gli altri lo seguiranno? ecco il busilli.

 Seguano o non seguano, cè tutta la morale umana in queste due massime. Conosco degli atei che vi conformano i loro atti assai meglio di tanti credenti.

 Pur troppo, generale, pur troppo. Ma permettete, non scendiamo alle applicazioni; stiamo nel campo dei principii. Fare o non fare, secondo quelle due massime, è facile, ed anche può essere piacevole alluomo incivilito. Ma come potete voi credere che luomo primitivo, luomo della selva, facesse ad altri quello che avrebbe voluto che si facesse a sè?

La domanda piaceva poco al generale; e dalla breve pausa che egli fece prima di rispondere, Maurizio potè credere che lavversario si trovasse impacciato. Ma non era così; proprio allora il generale metteva in posizione le artiglierie.

 Io non vi parlo delluomo primitivo;  disse egli, non potendo trattenere unalzata di spalle.  Che centra qui luomo della selva? Buon padrone di aver fatto come gli sarà piaciuto, o tornato più comodo. Luomo primitivo, per vostra norma e regola, era un antropopitèco. Vi maravigliate di sentirmi parlare con tanta asseveranza di quel grazioso animale? Nel fatto, io non ne so nulla; vi parlo con la scienza alla mano. Ho letto Darwin, mio caro; ho letto Huxley, Buchner, Mortillet, Spencer, tutta la scuola dei liberatori. Lantropopitèco non si è ancora trovato negli strati del terreno terziario; ma si troverà, non dubitate. E una necessità in terra, come certi corpi in cielo, per lequilibrio del sistema planetario. Nella scala progressiva degli esseri, lantropopitèco ha il suo posto: animale distinti maravigliosi, già dotato di qualche intelligenza, come sono del resto tanti animali meno progrediti di lui, egli ha fatta la sua strada, e nessun calendario gli ha misurato il tempo necessario alla sua legittima evoluzione. Il bisogno lo ha fatto industrioso; lindustria lo ha fatto civile; la civiltà lo ha fatto morale. Vi capacita?

 Eh!  disse Maurizio, stringendosi nelle spalle, mentre in cuor suo si maravigliava forte di trovare sotto la spoglia di quelluomo darmi un lettore dei moderni evoluzionisti;  vuol esser dunque morale indipendente, la nostra?

 Non mi spaventano i nomi;  replicò il generale.

 Ebbene,  ripetè Maurizio,  non vi spaventino dunque le mie povere argomentazioni.

 No davvero, sentiamole.

Qui fu una piccola interruzione nel dialogo. Dallalto della gradinata, appariva la contessa Gisella, col suo cappellino di paglia in capo, lombrello da sole in mano e una borsa ad armacollo, che le dava unaria graziosissima di pellegrina. La bella signora dagli occhi fosforescenti vide Maurizio, e scese lesta i gradini per venirlo a salutare.

 Vado per affari,  dissella, porgendogli la mano.  Spero di ritrovarvi ancora al ritorno.

 Oh, lo troverai;  gridò il generale.  Siamo affondati in una disputa che non finirà tanto presto.

 Di che si tratta?  chiese ella, nellatto di aprire il suo ombrellino.

 Dellantropopitèco;  rispose Maurizio, che in verità lo masticava male.  Mimmagino che vi sarà noto, questo grazioso tipo di progenitore.

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