Era divertente guardare la partita così da vicino, anche se lo spettacolo era molto calato per l'assenza di quello che fin lì era stato decisamente il migliore in campo. Ma chi era poi costui, pensò Riccardo: sono davvero io? Si sforzò di guardare verso la curva, da dove gli risultava che un gruppetto di tifosi tra cui egli stesso Riccardo stessero seguendo l'incontro. Sperava di riuscire a vedersi laggiù, ma la distanza era troppa.
Cosa avrebbe dovuto fare? Adeguarsi a questa improvvisa ed assurda svolta che aveva preso il corso della sua vita; oppure contrastarla, cercando di riportare la sua esistenza sui binari della normalità? All'inizio, decidendo di non decidere, si rispose che per il momento preferiva godersi la partita, poi ci avrebbe pensato.
"Riccardo! Raul, Raul. Sono Riccardo." A un tratto, nella confusione e nel frastuono di voci dello stadio gremito, gli parve di distinguere queste parole. "Raul, sono Riccardo Boccadoro. Ti prego, vorrei parlarti."
Stavolta era sicuro di quello che aveva sentito: era stato pronunciato il suo nome, qualcuno si indirizzava a lui. Riccardo si alzò, cercando di individuare alle sue spalle chi lo stesse chiamando; ma dietro a sé il campo visivo era quasi completamente ostruito dalla panchina.
"Ci vediamo fra cinque minuti allo spogliatoio: ti prego, Raul, non mancare."
Lo conosci davvero questo ragazzo?, gli chiese un compagno di squadra seduto lì di fianco.
Sì, lo conosco. Per un attimo fu tentato di chiedergli come arrivare agli spogliatoi; ma poi si disse che li avrebbe trovati da solo, senza destare inutili sospetti.
Zoppicando si infilò giù per delle scale in un corridoio che sembrava vuoto, a parte una guardia della sicurezza.
Raul, due parole al volo per Radio Campione?, gli chiese un giovane trafelato, ben vestito ed armato di cuffie e microfono, sorprendendolo alle spalle.
Vi prego, adesso no, lasciatemi andare a cambiare. E di qua il mio spogliatoio, vero?
Sì. Ma come ti senti? La caviglia ti fa male?
Sì, molto. Ma ora lasciatemi in pace.
Aprì la porta di quello che gli sembrava essere uno degli spogliatoi. Non vedendo nessuno stava per richiuderla, ma si sentì chiamare:
Riccardo. Sono qui.
Rimase a bocca aperta. Di fronte a lui cera un altro se stesso che indossava un cappotto e un paio di pantaloni che ben conosceva: gli mancava solo la sua sciarpetta biancorossa.
Ma è incredibile: sei uguale spiccicato a me!
Rimasero un po a fissarsi, increduli; poi laltro, che da adesso in poi per comodità chiameremo Raul, lo portò con sé davanti ad uno specchio.
Qualche differenza cè. Io ero un po più alto, con una massa muscolare più sviluppata e senza questo brutto neo sotto la mascella. Insomma, ero un pochino più bello, ora sono un po più bruttino.
Già. In compenso io ho una caviglia che prima stava bene e che adesso mi fa male.
Senti: non so che cosa tu abbia combinato, ma sembra che almeno mi siano rimasti laccento portoghese e labilità nel giocare a pallone. Che ne diresti se ci scambiassimo i vestiti, prima di combinare qualche altro pasticcio irreparabile?
Sì, scambiamoci i vestiti: mi sentirò più a mio agio. Comunque ti assicuro che io non ho fatto niente. Mi sono solo trovato lì, al tuo posto.
Spero solo di non perdere la maglia da titolare, dopo quanto hai combinato.
Raul si spogliò e si fece una rapida doccia. Anche Riccardo decise di fare lo stesso. Puoi usare il mio shampoo e la mia roba, se vuoi, gli disse Raul.
Si rivestirono tornando ognuno nei propri abiti civili. Quelli di Raul erano notevolmente più eleganti.
Ti lascio il mio numero di cellulare per qualunque evenienza, gli disse Raul estraendo dal suo portafoglio un biglietto da visita. Non lo dare a nessuno, è il mio numero super privato. E soprattutto mi raccomando: non fare parola di quanto è successo, soprattutto con la stampa. Altrimenti potresti rovinarmi la carriera. Tirò fuori anche due banconote di grosso taglio: Queste sono per il disturbo, e per la visita medica. Buona fortuna. Raul gli strinse la mano per salutarlo, e se ne stava andando.
Aspetta: chi ci assicura che non succederà di nuovo? obiettò Riccardo.
Raul si fermò a riflettere. Hai ragione. Potrebbe succedere ancora. Forse è meglio che restiamo insieme per un po. Però cerchiamo di non farci notare.
Col bavero alzato per nascondersi il più possibile, Raul fece strada a Riccardo, imbacuccato nella sua sciarpa biancorossa ritrovata arrotolata nella tasca del cappotto, e sgattaiolarono fuori dallo stadio evitando qualunque possibile incontro. Una volta al sicuro da tifosi e giornalisti, Raul chiamò un taxi col cellulare.
Andiamo in centro: è meglio rimanere lontano da qui per almeno un paio dore. Anzi, ho unidea migliore.
Chiamò qualcuno della squadra, forse lallenatore. Con un accento portoghese più marcato - che evidentemente faceva parte della sua immagine pubblica, ma che volendo poteva attenuare riferì qualcosa di un suo cugino che era venuto a Roma, e avvertì che sarebbe tornato in sede con mezzi propri.
Davvero ti è venuto a trovare un tuo parente?, chiese Riccardo al termine della telefonata.
Sì: sei tu il mio cugino di cui parlavo. Sei molto credibile in questo ruolo, non è vero? Scherzi a parte, tutti i miei parenti sono in Brasile. E più di un anno che vivo da solo in Italia; ma questo paese mi piace molto.
E ti mancano il tuo papà e la tua mamma?
Sì, abbastanza; e anche i miei fratelli e le mie sorelle, cinque in tutto. Ma non mi dimentico di loro. Ogni mese gli mando un po di soldi. Qui io guadagno bene, ed in Brasile si sopravvive con poco. Ecco un taxi, deve essere il nostro.
Si sbracciarono per farsi vedere.
Cè un bellalbergo in cui mi fermo sempre quando vengo qui. Potremmo andarci, se vuoi, propose Raul.
Ti va invece il cinema? Ho da poco dato un esame, e questo fine settimana volevo distrarmi un po. E per questo che sono venuto allo stadio, anche se a dire il vero non mi sono tanto rilassato.
Risero tutti e due.
Va bene. Scegli pure tu il film ed il cinema, meglio se un po lontano da qui. E unottima idea, così staremo al buio e non daremo nellocchio.
Salirono sul taxi, che nel frattempo era arrivato, e Riccardo diede indicazione al conducente.
Uscirono dal cinema che era buio. Il film era stato bello.
Hai detto che hai appena passato un esame?, chiese Raul.
Riccardo assentì.
E curioso. Proprio laltra notte ho sognato che davo un esame. E stato quasi un incubo per me che ho fatto solo qualche anno di elementari. Quando mi sono svegliato avevo la testa che mi scoppiava.
Riccardo ripensò al suo strano sogno di qualche giorno prima, quando si era svegliato con le gambe doloranti.
Ma è stato un incubo peggiore, proseguì Raul, ritrovarmi in curva tra tifosi che lanciavano accidenti e maledizioni di ogni genere contro di te; anzi, contro di me. E stato proprio avvilente. Spero che quelli non fossero tuoi amici, e che tu non sia come loro.
Alcuni li conosco un po. Ma stai tranquillo: io non sono come loro. Anzi, sono un tuo grande ammiratore. Chissà, forse è per questo che è successo quello che è successo. A proposito: ho unidea. Vieni un attimo a casa mia: ti faccio vedere alcune cose interessanti.
Labitazione di Riccardo era lì vicino. Suo padre era in casa e quando li vide chiese sbigottito: "Chi di voi due è mio figlio?"
Labitazione di Riccardo era lì vicino. Suo padre era in casa e quando li vide chiese sbigottito: "Chi di voi due è mio figlio?"
"Sono io, papà", rispose Riccardo. "Oggi allo stadio c'era un concorso per il miglior sosia di Raul Francisco. E' per questo che i miei amici mi ci hanno portato. Io e lui siamo risultati vincitori a pari merito, con un premio di duecento euro ciascuno", aggiunse Riccardo quasi meravigliandosi di come gli riusciva bene inventare frottole, pur non avendolo mai fatto.
"Bene, bene. Fanno sempre comodo. Con quello che costano i tuoi libri!"; quindi, rivolgendosi a Raul: "Sei dei nostri per la cena?"
"Volentieri", gli rispose col suo miglior accento portoghese.
Riccardo fece entrare Raul in camera sua. Tirò fuori da un cassetto alcuni fogli piegati, e cominciò ad aprirli adagiandoli sul suo letto.
Questo sei tu, gli disse mano a mano che dispiegava i suoi poster, e anche questo, e pure questaltro. Ti riconosci?
E come hai fatto a procurarteli? Neanche mia mamma a casa sua possiede così tante foto di me.
Me li hanno dati per lo più i miei amici - alcuni li hai visti oggi allo stadio - per farmi vedere quanto ci somigliamo. E poi ho tutti questi articoli di giornali e riviste che parlano di te. Ma per lo più dicono sciocchezze, secondo me; cose poco importanti e forse neanche vere.
Raul incuriosito ne lesse qualcuno in silenzio, ogni tanto emettendo qualche breve ed espressivo commento. Ma a un tratto smise di leggere e poggiò tutto.
"Alla tua collezione penso che dovresti aggiungere un altro pezzo importante." Aprì il suo borsone e ne tirò fuori la maglietta da gioco biancoverde, ancora puzzolente di sudore. "L'hai portata un po' anche tu, quindi te la meriti in pieno. E potrai dire che è originale, non una copia come tante."
Riccardo fu d'accordo. Cominciò a frugare tra i suoi cassetti. "Devo avere un pennarello indelebile da qualche parte. Così mi ci puoi fare l'autografo e magari anche una dedica, se non ti dispiace."
"Va bene", rispose Raul. Prese una penna dal caos della scrivania e iniziò a firmare i poster. "Però, se vuoi il mio parere, questa maglietta devi lavarla e cominciare a usarla un po' più spesso. Per giocarci a pallone, naturalmente: ho visto che hai davvero molto da imparare. E se il mio autografo si scolorisce me lo fai sapere: la prossima volta che passo di qua te lo rifaccio."
"Mi piacerebbe che fossi tu a insegnarmi a giocare", rispose Riccardo.
"Temo che non sia possibile. I miei impegni sono molto lontani da qui. Già domani pomeriggio devo essere con la squadra per la visita medica e gli allenamenti."
Terminato con gli autografi, Raul cominciò affascinato a curiosare nella stanza tra i tanti e disordinati libri di Riccardo.
"Sono tutti tuoi questi libri?"
"Si, naturalmente."
"E li hai letti tutti?"
"Tutti. Qualcuno più che letto l'ho studiato. Qualcuno a dire il vero lo devo ancora studiare."
"Deve essere bello come passatempo. A casa mia di libri non ce n'erano. Solo quelli per imparare a leggere e scrivere, che ci siamo passati l'uno all'altro." Mentre parlava, evidentemente a suo agio, riaffiorava leggermente il suo simpatico accento portoghese. "Ora i più piccoli possono studiare di più, anche grazie alla mia fortuna. Ma la mia fortuna è dovuta anche a questo: a casa non c'era quasi posto neanche per noi, ed erano tutti contenti che noi andassimo a giocare fuori. E io giocavo a pallone tutto il giorno, ovunque: tornavo a casa solo per dormire e mangiare. Mi divertivo, ed ero anche bravo, come puoi immaginare."
"Hai detto che hai fatto solo le elementari?"
"Neanche tutte. Forse due o tre anni. Mi piacerebbe mandare un po' di soldi anche alla mia vecchia scuola. Adesso sto studiando l'italiano, e mi riesce abbastanza bene. Ma le altre materie no, non sono portato. Mi ero iscritto a una di quelle scuole per gli adulti, e ho mollato subito."
"Io ho sempre avuto bisogno di leggere. Di storie nuove, di fantasia, più che altro. Forse perché da piccolo mi leggevano sempre le favole prima di dormire."
"Anche a me mi raccontavano le favole. Mia mamma, o anche le mie sorelle. Ma le sapevano tutte a memoria, o forse le inventavano. D'altronde mia mamma tuttora non sa leggere. Ma qui in Italia vado spesso al cinema. E' bello, mi piace."
"Come hai detto che ti chiami?"
"Tutti gli amici mi chiamano Raul. Potete chiamarmi così anche voi, se volete", rispose l'ospite ai genitori di Riccardo.
La cena era andata via tranquilla, con Raul di poche parole, ma cortese ed educato. Quando gli fu chiesto da dove venisse, si ricordò di una serata di beneficenza in un quartiere periferico e popolare di Palermo e disse di venire da lì. Sembrava quasi che parlasse della povertà del suo Brasile.
"E stasera dove dormi? Vuoi dormire da noi? C'è posto, se vuoi."
"No grazie. Ho dei conoscenti qui a Roma." Poi, terminato l'ultimo boccone del dessert: "Complimenti, signora: è tutto davvero molto buono."
"Oh, non esagerare. Proprio niente di particolare. Se avessi saputo prima che ti fermavi a mangiare ti avrei fatto trovare qualcosa di meglio."
"Riccardo, vuoi venire anche tu con me in discoteca questa sera? Conosco un locale davvero carino." Riccardo esitò alla proposta del suo amico. Le discoteche in genere non erano davvero la sua passione; però gli dispiaceva che quella giornata così straordinaria finisse in maniera banale, ed era tentato di seguire il suo idolo per quanto possibile.
"Visto l'esito dell'esame te lo meriti davvero di concederti una serata di svago", commentò suo padre.
"Va bene, mi avete convinto: stasera vado a ballare. Datemi solo il tempo di vestirmi in maniera un po' più adatta."
"A casa tua sono stato tuo ospite, qui tu sei ospite mio", insistette Raul che per tutta la serata non gli lasciò mettere mano al portafoglio. Lo portò in un posticino davvero molto bello. Musica, tanta gente danzante e consumazioni a volontà. Ma dopo neanche mezz'ora Riccardo si era già stufato di ballare. Si mise seduto, su una specie di poltrona in un angolino, ad osservare quello che succedeva nell'ampio locale illuminato a intermittenza da luci colorate e roteanti. Raul ballava senza sosta; quando si fermava, si metteva a chiacchierare con chi gli capitava. Nessuno sembrava riconoscerlo.
"Dai, vieni a ballare anche tu!", gli disse cercando di toglierlo da quella poltrona. "No, non posso, con questa caviglia", rispose Riccardo. Ma non era per quello. Non ne aveva voglia, e forse era troppo impegnato a rimuginare su quanto accaduto quel giorno. Era stata la sua invidia a provocare quel curioso scambio di corpi o di anime? Magari c'era una predisposizione dovuta alla loro somiglianza; o era stata una stregoneria di qualche tifoso? Raul sembrava proprio un bravo ragazzo, più semplice di quanto lo dipingessero i giornali, ma davvero ricco. Però quasi analfabeta, e lontano dalla sua famiglia. Gli dispiaceva davvero, anche se involontariamente ed inspiegabilmente, avergli causato dei problemi.
"E' molto bello qui, non trovi?", gli chiese Raul in un altro suo momento di pausa. Riccardo fece con la testa un cenno che poteva essere anche interpretato come un si, ma sicuramente non lasciava trasparire nessun entusiasmo.
"Sto pensando di comprare una parte del locale, e diventarne socio; e magari quando mi ritiro dal calcio vengo qui a fare il gestore. O anche solo il barman, mi piacerebbe. Tu che ne dici?"
Riccardo non aveva certo questo tipo di aspirazioni. "Ma non hai intenzione di tornare in Brasile quando avrai finito come calciatore?"
"Non lo so. Bisogna vedere. Se sposo una ragazza italiana è probabile che mi fermo. E poi dicono che non è facile riadattarsi a tornare indietro quando ci si è abituati ad un certo tenore di vita. Ma vedrai che finirò per fare come tanti calciatori: l'allenatore o il commentatore o giornalista sportivo."