Diavolo E Demòni - Guido Pagliarino 2 стр.


Il ben noto divieto edenico di Dio all'Uomo maschio e femmina di mangiare il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male si può fraintendere, se non si conosca il significato siimbolico dell'espressione "bene e male" e del verbo "conoscere"; si può pensare, cioè, a una condanna della scienza e della filosofia,a un peccato "prometeico" che potrebbe, persino, essere visto da certuni non come peccato ma come un merito dell'essere umano, proprio come l'impresa di Prometeo contro un egoista Zeus che non voleva cedere il fuoco ai miseri uomini; invece no, la ricerca era tenuta in alto onore anche dagli antichi ebrei e, in particolare, proprio nel colto ambiente del secondo Tempio nel cui àmbito veniva scritta la Genesi nel VI secolo avanti Cristo: secondo il linguaggio simbolico antico ebraico "bene e male" indica tutto il Creato di Dio e "conoscenza" significa possesso (non solo carnale, ma in senso generale); dunque il vero divieto divino è quello di voler impossessarsi del Creato come se fosse proprio, cioè di volersi sostituire a Dio ignorandolo; in altri termini ancora, il divieto è quello di farsi Dio al posto del vero e unico Creatore. Il frutto simbolico di quell'albero altretanto simbolico è il peccato di superbia di volersi fare simili a Dio, proprio secondo la tentazione del serpente diabolico che dice: "...sarete simili a Dio". Leggiamo i versetti dall'1 al 7 del capitolo 3 della Genesi:

"Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture".

Il credente pensa che la capacità d’intuire l’inesprimibile grazie a simboli venga da Dio, come più in generale l’arte e quella stessa poesia che ricorre nella Bibbia. Nella Chiesa del I secolo, in cui il Nuovo Testamento si forma per la riflessione teologica sul fatto di Cristo Salvatore realmente risorto, predicato dagli apostoli e dai discepoli, s’uniscono, cioè sono simboli, il Gesú personaggio storico, coi suoi discorsi, i suoi segni, i fatti essenziali della sua vita, e il Cristo glorioso che la Chiesa post-pasquale interpreta e presenta alla luce della sua risurrezione; e ogni autore neotestamentario spiega tutta la storia dell’uomo alla luce di Gesú Cristo, come ad esempio Giovanni, o qualcuno della sua chiesa, nell’Apocalisse17 , totalmente allegorica ma storica sotto l’allegoria; ogni autore evangelico inoltre, parla della storia della predicazione, passione, morte e risurrezione di Gesú, come Giovanni nell’ironico, teologico quarto Vangelo, il più ricco di simboli fra i quattro ma relativamente al quale non si deve assolutamente opporre simbolo a storia, in nessun caso pensare ad astratte allegorie: non si tratta d’una narrazione fantastica ed è imprescindibile l’accettazione non solo dell’esistenza fisica di Gesú di Nazareth, ma pure del suo coincidere sostanzialmente con la figura evangelica che Giovanni descrive, pena la mancata comprensione del messaggio dell’autore, fra l’altro stimato dagli studiosi per il suo realismo. In altre parole, la storia di Gesú è sì trasfigurata simbolicamente, ma essa è presente e reale e non si tratta affatto di solitaria teologia, né men che mai d’un Gesú solo apparente e non vero uomo come nella gnosi cristianeggiante18 : Giovanni non crea simboli ma li presenta alla luce della reale esistenza di Gesú trasfigurata dall’annuncio messianico che si trova nell’Antico Testamento, in cui gli stessi simboli già sono presenti; il simbolismo di Giovanni si capisce bene se lo si riferisce espressamente alla figura di Gesú Logos del Padre, Messia annunciato dall’Antica Scrittura, che assume la carne verso il 6 ‘a.C.’19 della storia umana:

“Veniva nel mondo

la luce vera,

quella che illumina ogni uomo”20 .

Avvalendosi della simbologia, Giovanni presenta la ragione della gloria di Dio fin dal prologo del suo Vangelo:

“E il Logos si fece carne [sarx]

e venne ad abitare [“pose la sua tenda,”] in mezzo a noi;

e noi vedemmo la sua gloria,

gloria come di unigenito del Padre,

pieno di grazia e di verità.

Giovanni (si tratta di Giovanni il Battista, non dell'evangelista) gli rende testimonianza

e grida: «Ecco l'uomo di cui io dissi:

Colui che viene dopo di me

mi è passato avanti,

perché era prima di me».

Dalla sua pienezza

noi tutti abbiamo ricevuto

e grazia su grazia.

Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,

la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

Dio nessuno l’ha mai visto:

proprio il Figlio unigenito,

che è nel seno del Padre,

lui lo ha rivelato”21 .

Si noti che la parola greca originale sarx, carne, ben esprime la debolezza della condizione umana assunta dal Logos-Figlio pienamente, in cui si manifesta la Gloria di Dio Padre – e nell’unicità di Dio, del Figlio e dello Spirito –, una gloria che riesce a comprendere solo chi abbia fede, talmente essa appare scandalosa. Scrive san Paolo: “Mentre i Giudei chiedono miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani. Ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei sia Greci, predichiamo Cristo, potenza e sapienza di Dio”22 . La gloria di Dio si fonda dunque proprio sul suo abbassarsi qui sulla terra e servire gli altri esseri umani fino addirittura alla croce, dove sale (secondo l’evangelista Giovanni così come un re sul suo trono di gloria) e muore per testimoniare la verità e la giustizia ch’egli prédica come uomo Gesú: al preciso scopo di divinizzare in sé gli altri uomini.23

Il linguaggio simbolico consente assai bene ai quattro evangelisti, e non solo a Giovanni, di passare dal Nazareno storico al Cristo presente e vivo nella Chiesa e, viceversa, di collegare la fede pasquale dei cristiani d’ogni tempo a Gesú realmente vissuto, ucciso e risorto. Se gli autori dei Vangeli, peraltro tutti gran teologi contrariamente all'opinione superficiale di critici del Cristianesimo illuministi e positivisti, non stendono mere note storiche, tuttavia dalla storia non prescindono affatto. Secondo i credenti, si tratta di libri scritti alla luce dello Spirito divino nella fede della comunità cristiana, con l’intento, sul ricordo dei testimoni oculari, di provocare o rinforzare in chi ascolta la medesima fede, inducendolo sia alla morale cristiana, cioè alla viva sequela della concreto amore di Gesú di Nazareth per il prossimo durante la sua vita realmente avvenuta, sia, prima di tutto, all’accoglienza di Cristo risorto e glorificato, coincidente con l’eterno Logos di Dio-Padre, la seconda Persona trinitaria. Troviamo dunque nei Vangeli, come in tutta la Bibbia, un doppio livello di significazione e sorge la necessità d’un doppio piano d’intelligenza da parte del lettore, intelligenza che non può non aver presente la storia, il che vale ovviamente non solo per la ricerca su Dio, ma anche quando lo sguardo s'indirizzi alle figure diaboliche della Bibbia.

Vediamo ora come sia nata l'idea veterotestamentaria di Satana l'accusatore o, per dirla altrimenti, di Satana pubblico ministero nel tribunale divino; e cominciamo col parlare dell'influenza persiana sulla religione giudaica.

Presso i Persiani, con Zoroastro, nasce o si definisce, verso il VI secolo a.C., un’idea religiosa non politeista e non semplicemente monoteista, ma nemmeno dualista anche se gl’iddii nel Mazdeismo sono due, gemelli e di forma opposta, come allo specchio; i quali tuttavia originano dallo sdoppiamento d'un unico dio originario benigno, Ahura Mazda, scissosi in due, fin dai primordi, originando uno spirito divino del male, chiamato Angra Mainyu o Arimane, a fronte dello stesso dio del bene Ahura Mazda. Ciascuno dei due ha propria individuale volontà, ed essi sono in lotta sistematica. Essendo i due iddii riferibili a una comune matrice, si tratta d'una sorta di principio bifronte della Divinità, per cui si può parlare d'un credo monista anche se con la forte apparenza di un culto dualista.

Non si deve confondere col vero e proprio dualismo religioso che contempla un solo dio, non due dèi nemmeno qualora originati dalla scissione di un unico iddio originario come nel Mazdeismo. Da quel solo, unico dio promanano sia il bene e la gioia, sia il male e il dolore, come leggiamo ad esempio in biblici versetti minacciosi influenzati da idee dualiste scritti dai profeti Amos e Isaia e pure nel Libro Lamentazioni d’autore ignoto – anche se tradizionalmente ma erroneamente identificato nel profeta Geremia. Lo stesso sentire fa capolino e poi si rafforza in ambienti cristiani influenzati da apocrifi cristianeggianti, nonostante il messaggio gesuanico che Dio è solo Amore benigno. Da tali àmbiti l'idea si diffonde. Si giunge a un certo punto nell'intera Chiesa a immaginare l’eterno inferno come qualcosa di diverso da quella “seconda morte” di cui dice il Nuovo Testamento, per la quale Dio non sostiene più in vita la persona dannata, secondo cui, cioè, non esiste più del tutto la medesima, né in corpo né in psiche-anima: in tali ambienti si ritiene che l’inferno sia uno stato di dolore vissuto dal dannato per sempre, prima solo spiritualmente e poi anche col corpo risorto: eternamente perché in eterno promanante da Dio. In tali contesti si arriva ad affermare con forza che l’anima è immortale, come se essa fosse puro spirito e avesse dunque, intrinsecamente, l’immortalità per sempre una volta creata da Dio.

Nella Bibbia risulta diversamente: L'anima è sì creata da Dio - precisamente non la sola anima ma la persona intera, l’essere umano nel suo complesso in corpo e anima - ed è sì immateriale, ma in senso psichico e non spirituale.

Nella Chiesa dei primi secoli si crede che lo Spirito di Dio non solo crea ma continua a mantenere in vita la persona, eternamente, nel solo beato, mentre la vita viene meno nel dannato; e per l'appunto l’inferno è definito dalla Chiesa, fin dall'inizio - questo peraltro ancor oggi - come “privazione di Dio”, col suo conseguente “male assoluto senz’alcun bene”, vale a dire, al di là di inferni vissuti, senza più nemmeno il vivere e dunque il poter pensare – pensare anche a Dio stesso – né ricordare la propria passata esistenza: un glaciale, atroce fallimento totale della vita!

L'idea di un'anima immortale e spirituale umana che si danna e continua a vivere per sempre nel dolore alla fine prevale anche nella Chiesa e l'inferno diviene quello vissuto, di cui leggiamo ad esempio nella prima Cantica della Commedia dantesca, influenzata dalla composizione in versi di Jacomin (ovvero Giacomino) da Verona “De Babilonia civitate infernali. De Jerusalem celesti” e forse suggestionata dall’apocrifa “Visione di san Paolo”, a sua volta mediata dai testi più antichi “Purgatorio di san Patrizio” e “Navigazione di san Brandano”; nella detta "Visione di san Paolo", ai versetti dal 75 all'80 un angelo conduce l’apostolo Paolo a visitare, appunto, l’inferno.

I succitati dati sono stati tratti dall’introduzione all’"Apocalisse di Paolo" nel libro "Gli evangeli apocrifi", opera a cura di F. Amiot tradotta dal francese all’italiano da Marco Inserillo e pubblicata dall'Editrice Massimo nel 2003.

Tornando alla religione persiana, si diceva che i suoi due iddii, il dio del bene Mazda il Creatore e quello del male Hariman il Distruttore, figura la seconda che influenzerà non la figura ebraica di Satana ma quella del Diavolo nella religione cristiana, sono tra loro in lotta ed essi sono cause prime, rispettivamente, delle gioie e delle infelicità umane.

Il culto detto mazdeismo è da considerare monista anche perché solo il bene viene adorato, perché tutto il buono viene agli uomini da Mazda, detto pure Spenta Mainyu, cioè "Sacro Spirito", che è l’energia creativa ed è assistito da sue creature spirituali benigne. Il male è interamente causato da suo fratello Ahriman che è detto anche Angra Mainyu (“Spirito Malvagio”), e dai collaboratori maligni del medesimo. Entrambi gl’iddii hanno scelto d’essere come sono: Angra Mainyu cattivo e alleato della Menzogna, Spenta Mainyu buono e personificazione della Verità stessa; dunque pure gli umani sono creati liberi di scegliere e dopo la morte ciascuno giunge al Ponte del Giudizio, dov’è valutato: il discepolo della Verità lo attraversa e giunge in paradiso, mentre il seguace della Menzogna precipita nell'inferno. Infine il male sarà tolto dal mondo in seguito a un grande, ultimo scontro.

Il Mazdeismo ha un certo ascendente sul Giudaismo in conseguenza della dominazione persiana sugli ebrei, ma nella Bibbia tale influsso non è profondamente teologico ed è sì importante, ma meno di quanto spontaneamente si possa pensare. Il dualismo di Dio in alcuni versetti biblici non è mazdeo ma, già s'era accennato, è tipico di autori biblici che vedono uno24 Jahvè bifronte (e comunque non due dèi) solo per preoccupare i lettori e indurli a non peccare.

Derivano invece dalla religione di Zoroastro aspetti di figure angeliche e demoniache; queste peraltro originano pure dalle mitologie egizia e siro-ittita e, in primo luogo, da quella assiro-babilonese, ad esempio, da questa scaturiscono i cherubini (karubim o kerubim), in origine dèi alati con testa d’uomo e corpo di toro oppure di pony25 o di asino, un po’ come il Minotauro o i centauri, ali a parte, e così pure è per i serafini (sèràphim o sàràphim cioè serpenti): il baal26 sèràph – o sàràph – era un dio serpente alato del deserto; in ambiente ebraico l’aspetto fisico di cherubini e serafini muterà insieme alla loro natura, non più considerata divina ma creata da Jahvè.

Tornado alla teologia, la mazdea non è presente sostanzialmente nella Bibbia perché gli scribi e i sacerdoti giudei del dopo esilio sono preoccupati, nello stendere molti libri biblici27 , di salvaguardare, e [ri]fondare, la genuinità d’Israele e, nel sostenere il monoteismo, tengono a bada l’intrigante Mazdeismo dualista che potrebbe essere un robusto concorrente. Semmai, aspetti della teologia di Zoroastro si riflettono e permangono, nonostante gli sforzi del capo popolo Esdra28 e dei suoi, su certo sentire superstizioso dei semplici fedeli che esaltano nella loro mente la potenza di figure demoniache; e aspetti teologici mazdei si proiettano pure nell’apocrifa letteratura apocalittica giudaica degli ultimi due secoli prima di Cristo; poi, tramite questa produzione letteraria, influenzano apocrifi cristianeggianti stesi dal II secolo d.C. e provocano credenze nell’ambiente della Chiesa, dove il Diavolo è sentito a un certo punto talmente potente da apparire quasi come un dio del male, immortale anche se vinto, un po’ come per Arimane dopo l’ultima prova che lo sconfigge per sempre.

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