Луна и костры. Прекрасное лето / La luna e i falo. La bella estate. Книга для чтения на итальянском языке - Чезаре Павезе 6 стр.


Fatto sta che lo sapevo che non sarebbe durata, e la voglia di fare, di lavorare, di espormi, mi moriva tra le mani. Quella vita e quella gente a cui ero avvezzo da dieci anni, tornava a farmi paura e irritarmi. Andavo in giro in camioncino sulle strade statali, arrivai fino al deserto, fino a Yuma, fino ai boschi di piante grasse. Maveva preso la smania di vedere qualcosaltro che non fossero la valle di San Joaquin o le solite facce. Sapevo già che finita la guerra avrei passato il mare per forza, e la vita che facevo era brutta e provvisoria.

Poi smisi anche di fare puntate su quella strada del sud. Era un paese troppo grande, non sarei mai arrivato in nessun posto. Non ero piú quel giovanotto che con la squadra ferrovieri in otto mesi ero arrivato in California. Molti paesi vuol dire nessuno.

Quella sera mi simpannò il camioncino in aperta campagna. Avevo calcolato di arrivare alla stazione 37 col buio e dormirci. Faceva freddo, un freddo secco e polveroso, e la campagna era vuota. Campagna è dir troppo. A perdita docchio una distesa grigia di sabbia spinosa e monticelli che non erano colline, e i pali della ferrata. Pasticciai intorno al motore niente da fare, non avevo bobine di ricambio.

Allora cominciai a spaventarmi. In tutto il giorno non avevo incrociato che due macchine: andavano alla costa. Nel mio senso, nessuna. Non ero sulla strada statale, avevo voluto attraversare la contea. Mi dissi: «Aspetto. Passerà qualcuno». Nessuno passò fino allindomani. Fortuna che avevo qualche coperta per avvolgermi. «E domani?» dicevo.

Ebbi il tempo di studiare tutti i sassi della massicciata, le traversine, i fiocchi di un cardo secco, i tronchi grassi di due cacti nella conca sotto la strada. I sassi della massicciata avevano quel colore bruciato dal treno, che hanno in tutto il mondo. Un venticello scricchiolava sulla strada, mi portava un odore di sale. Faceva freddo come dinverno. Il sole era già sotto, la pianura spariva.

Nelle tane di quella pianura sapevo che correvano lucertole velenose e millepiedi; ci regnava il serpente. Cominciarono gli urli dei cani selvatici. Non eran loro il pericolo, ma mi fecero pensare che mi trovavo in fondo allAmerica, in mezzo a un deserto, lontano tre ore di macchina dalla stazione piú vicina. E veniva notte. Lunico segno di civiltà lo davano la ferrata e i fili dei pali. Almeno fosse passato il treno. Già varie volte mi ero addossato a un palo telegrafico e avevo ascoltato il ronzío della corrente come si fa da ragazzi. Quella corrente veniva dal nord e andava alla costa. Mi rimisi a studiare la carta.

I cani continuavano a urlare, in quel mare grigio chera la pianura una voce che rompeva laria come il canto del gallo metteva freddo e disgusto. Fortuna che mero portata la bottiglia del whisky. E fumavo, fumavo, per calmarmi. Quando fu buio, proprio buio, accesi il cruscotto. I fari non osavo accenderli. Almeno passasse un treno.

Mi venivano in mente tante cose che si raccontano, storie di gente che sera messa su queste strade quando ancora le strade non cerano, e li avevano ritrovati in una conca distesi, ossa e vestiti, nientaltro. I banditi, la sete, linsolazione, i serpenti. Qui era facile capacitarsi che ci fosse stata unepoca in cui la gente si ammazzava, in cui nessuno toccava terra se non per restarci. Quel filo sottile della ferrata e della strada era tutto il lavoro che ci avevano messo. Lasciare la strada, inoltrarsi nelle conche e nei cacti, sotto le stelle, era possibile?

Lo starnuto di un cane, piú vicino, e un rotolío di pietre mi fece saltare. Spensi il cruscotto; lo riaccesi quasi subito. Per passare la paura, mi ricordai che verso sera avevo superato un carretto di messicani, tirato da un mulo, carico che sporgeva, di fagotti, di balle di roba, di casseruole e di facce. Doveva essere una famiglia che andava a fare la stagione a San Bernardino o su di là. Avevo visto i piedi magri dei bambini e gli zoccoli del mulo strisciare sulla strada. Quei calzonacci bianco sporco sventolavano, il mulo sporgeva il collo, tirava. Passandoli avevo pensato che quei tapini avrebbero fatto tappa in una conca alla stazione 37 quella sera non ci arrivavano certo.

Anche questi, pensai, dove ce lhanno casa loro? Possibile nascere e vivere in un paese come questo? Eppure si adattavano, andavano a cercare le stagioni dove la terra ne dava, e facevano una vita che non gli lasciava pace, metà dellanno nelle cave, metà sulle campagne. Questi non avevano avuto bisogno di passare per lospedale di Alessandria il mondo era venuto a stanarli da casa con la fame, con la ferrata, con le loro rivoluzioni e i petroli, e adesso andavano e venivano rotolando, dietro al mulo. Fortunati che avevano un mulo. Ce nera di quelli che partivano scalzi, senza nemmeno la donna.

Scesi dalla cabina del camioncino e battei i piedi sulla strada per scaldarmeli. La pianura era smorta, macchiata di ombre vaghe, e nella notte la strada si vedeva appena. Il vento scricchiolava sempre, agghiacciato, sulla sabbia, e adesso i cani tacevano; si sentivano sospiri, ombre di voci. Avevo bevuto abbastanza da non prendermela piú. Fiutavo quellodore di erba secca e di vento salato e pensavo alle colline di Fresno.

Poi venne il treno. Cominciò che pareva un cavallo, un cavallo col carretto su dei ciottoli, e già sintravedeva il fanale. Lí per lí avevo sperato che fosse una macchina o quel carretto dei messicani. Poi riempí tutta la pianura di baccano e faceva faville. Chi sa cosa ne dicono i serpenti e gli scorpioni, pensavo. Mi piombò addosso sulla strada, illuminandomi dai finestrini lautomobile, i cacti, una bestiola spaventata che scappò a saltelli; e filava sbatacchiando, risucchiando laria, schiaffeggiandomi. Lavevo tanto aspettato, ma quando il buio ricadde e la sabbia tornò a scricchiolare, mi dicevo che nemmeno in un deserto questa gente ti lasciano in pace. Se domani avessi dovuto scapparmene, nascondermi, per non farmi internare, mi sentivo già addosso la mano del poliziotto come lurto del treno. Era questa lAmerica.

Ritornai nella cabina, mi feci su in una coperta e cercavo di sonnecchiare come fossi sullangolo della strada Bellavista. Adesso rimuginavo che con tanto che i californiani erano in gamba, quei quattro messicani cenciosi facevano una cosa che nessuno di loro avrebbe saputo. Accamparsi e dormire in quel deserto donne e bambini in quel deserto chera casa loro, dove magari coi serpenti sintendevano. Bisogna che ci vada nel Messico, dicevo, scommetto che è il paese che fa per me.

Piú avanti nella notte una grossa cagnara mi svegliò di soprassalto. Sembrava che tutta la pianura fosse un campo di battaglia, o un cortile. Cera una luce rossastra, scesi fuori intirizzito e scassato; tra le nuvole basse era spuntata una fetta di luna che pareva una ferita di coltello e insanguinava la pianura. Rimasi a guardarla un pezzo. Mi fece davvero spavento.

XII

Nuto non si era sbagliato. Quei due morti di Gaminella furono un guaio. Cominciarono il dottore, il cassiere, i tre o quattro giovanotti sportivi che pigliavano il vermut al bar, a parlare scandalizzati, a chiedersi quanti poveri italiani che avevano fatto il loro dovere fossero stati assassinati barbaramente dai rossi. Perché, dicevano a bassa voce in piazza, sono i rossi che sparano nella nuca senza processo. Poi passò la maestra una donnetta con gli occhiali, chera sorella del segretario e padrona di vigne e si mise a gridare chera disposta a andarci lei nelle rive a cercare altri morti, tutti i morti, a dissotterrare con la zappa tanti poveri ragazzi, se questo fosse bastato per far chiudere in galera, magari per far impiccare, qualche carogna comunista, quel Valerio, quel Pajetta, quel segretario di Canelli. Ci fu uno che disse: È difficile accusare i comunisti. Qui le bande erano autonome. Cosa importa, disse un altro, non ti ricordi quello zoppo dalla sciarpa, che requisiva le coperte? E quando è bruciato il deposito Che autonomi, cera di tutto Ti ricordi il tedesco

 Che fossero autonomi, strillò il figlio della madama della Villa, non vuol dire. Tutti i partigiani erano degli assassini.

 Per me, disse il dottore guardandoci adagio, la colpa non è stata di questo o di quellindividuo. Era tutta una situazione di guerriglia, dillegalità, di sangue. Probabilmente questi due hanno fatto davvero la spia Ma, riprese, scandendo la voce sulla discussione che ricominciava, chi ha formato le prime bande? chi ha voluta la guerra civile? chi provocava i tedeschi e quegli altri? I comunisti. Sempre loro. Sono loro i responsabili. Sono loro gli assassini. È un onore che noi Italiani gli lasciamo volentieri

La conclusione piacque a tutti. Allora dissi che non ero daccordo. Mi chiesero come. In quellanno, dissi, ero ancora in America. (Silenzio). E in America facevo linternato. (Silenzio). In America che è in America, dissi, i giornali hanno stampato un proclama del re e di Badoglio che ordinava agli Italiani di darsi alla macchia, di fare la guerriglia, di aggredire i tedeschi e i fascisti alle spalle. (Sorrisetti). Piú nessuno se lo ricordava. Ricominciarono a discutere.

Me ne andai che la maestra gridava: Sono tutti bastardi e diceva: È i nostri soldi che vogliono. La terra e i soldi come in Russia. E chi protesta farlo fuori.

Nuto venne anche lui in paese a sentire, e adombrava come un cavallo. Possibile, gli chiesi, che non uno di questi ragazzi ci sia stato e possa dirlo? A Genova i partigiani hanno perfino un giornale

 Di questi nessuno, disse Nuto. È tutta gente che si è messa il fazzoletto tricolore lindomani. Qualcuno stava a Nizza, impiegato Chi ha rischiato la pelle davvero, non ha voglia di parlarne.

I due morti non si poteva riconoscerli. Li avevano portati su una carretta nel vecchio ospedale, e diversi andarono a vederli e uscivano storcendo la bocca. Mah, dicevano le donne, sugli usci del vicolo, tocca a tutti una volta. Però cosí è brutto . Dalla bassa statura dei corpi e da una medaglietta di S. Gennaro che uno dei due aveva al collo, il pretore concluse cherano meridionali. Dichiarò «sconosciuti» e chiuse linchiesta.

Chi non chiuse ma si mise dattorno fu il parroco. Convocò subito il sindaco, il maresciallo, un comitato di capifamiglia e le priore. Mi tenne al corrente il Cavaliere, perché lui ce laveva col parroco che gli aveva tolta senza neanche dirglielo la placca dottone dal banco. Il banco dove singinocchiava mia madre, mi disse. Mia madre che ha fatto piú bene lei alla chiesa di dieci tangheri come costui

Dei partigiani il Cavaliere non giudicò. Ragazzi, disse. Ragazzi che si sono trovati a far la guerra Quando penso che tanti

Insomma il parroco tirava lacqua al suo mulino e non aveva ancora digerita linaugurazione della lapide ai partigiani impiccati davanti alle Ca Nere, chera stata fatta senza di lui due anni fa da un deputato socialista venuto apposta da Asti. Nella riunione in canonica il parroco aveva sfogato il veleno. Seran sfogati tutti quanti e serano messi daccordo. Siccome non si poteva denunciare nessun ex partigiano, tanto tempo era passato, e non cerano piú sovversivi in paese, decisero di dare almeno battaglia politica che la sentissero da Alba, di fare una bella funzione sepoltura solenne alle due vittime, comizio e pubblico anatema contro i rossi. Riparare e pregare. Tutti mobilitati.

 Non sarò io a rallegrarmi di quei tempi, disse il Cavaliere. La guerra, dicono i francesi, è un sale métier. Ma questo prete sfrutta i morti, sfrutterebbe sua madre se lavesse

Passai da Nuto per raccontargli anche questa. Lui si grattò dietro lorecchio, guardò a terra e masticava amaro. Lo sapevo, disse poi, ha già tentato un colpo cosí con gli zingari

 Che zingari?

Mi raccontò che nei giorni del 45 una banda di ragazzi avevano catturato due zingari che da mesi andavano e venivano, facevano doppio gioco, segnalavano i distaccamenti partigiani. Sai comè, nelle bande cera di tutto. Gente di tuttItalia, e di fuori. Anche ignoranti. Non sera mai vista tanta confusione. Basta, invece di portarli al comando, li prendono, li calano in un pozzo e gli fanno dire quante volte erano andati alla caserma dei militi. Poi uno dei due, che aveva una bella voce, gli dicono di cantare per salvarsi. Quello canta, seduto sul pozzo, legato, canta come un matto, ce la mette tutta. Mentre canta, un colpo di zappa per uno, li stendono Li abbiamo dissotterrati due anni fa, e subito il prete ha fatto la predica in chiesa Di prediche su quelli delle Ca Nere non ne ha mai fatte, chio sappia.

 Al vostro posto, gli dissi, andrei a chiedergli una messa per i morti impiccati. Se rifiuta, lo smerdate davanti al paese.

Nuto ghignò, senzallegria. È capace di accettare, mi disse, e di farci lo stesso il suo comizio.

E cosí la domenica si fece il funerale. Le autorità, i carabinieri, le donne velate, le Figlie di Maria. Quel diavolo fece venire anche i Battuti, in casacca gialla, uno strazio. Fiori da tutte le parti. La maestra, padrona di vigne, aveva mandato in giro le bambine a saccheggiare i giardini. Il parroco, parato a festa, con gli occhiali lucidi, fece il discorso sui gradini della chiesa. Cose grosse. Disse che i tempi erano stati diabolici, che le anime correvano pericolo. Che troppo sangue era stato sparso e troppi giovani ascoltavano ancora la parola dellodio. Che la patria, la famiglia, la religione erano tuttora minacciate. Il rosso, il bel colore dei martiri, era diventato linsegna dellAnticristo, e in suo nome serano commessi e si commettevano tanti delitti. Bisognava pentirci anche noi, purificarci, riparare dar sepoltura cristiana a quei due giovani ignoti, barbaramente trucidati fatti fuori, Dio sa, senza il conforto dei sacramenti e riparare, pregare per loro, drizzare una barriera di cuori. Disse anche una parola in latino. Farla vedere ai senza patria, ai violenti, ai senza dio. Non credessero che lavversario fosse sconfitto. In troppi comuni dItalia ostentava ancora la sua rossa bandiera

A me quel discorso non dispiacque. Cosí sotto quel sole, sugli scalini della chiesa, da quanto tempo non sentivo piú la voce di un prete dir la sua. E pensare che da ragazzo quando la Virgilia ci portava a messa, credevo che la voce del prete fosse qualcosa come il tuono, come il cielo, come le stagioni che servisse alle campagne, ai raccolti, alla salute dei vivi e dei morti. Adesso mi accorsi che i morti servivano a lui. Non bisogna invecchiare né conoscere il mondo.

Chi non apprezzò il discorso fu Nuto. Sulla piazza qualcuno dei suoi gli strizzava locchio, gli borbottava al volo una paroletta. E Nuto scalpitava, soffriva. Trattandosi di morti, sia pure neri, sia pure ben morti, non poteva far altro. Coi morti i preti hanno sempre ragione. Io lo sapevo, e lo sapeva anche lui.

XIII

Si riparlò di questa storia, in paese. Quel parroco era in gamba. Batté il ferro lindomani dicendo una messa per i poveri morti, per i vivi cherano ancora in pericolo, per quelli che dovevano nascere. Raccomandò di non iscriversi ai partiti sovversivi, di non leggere la stampa anticristiana e oscena, di non andare a Canelli se non per affari, di non fermarsi allosteria, e alle ragazze di allungarsi i vestiti. A sentire i discorsi che facevano adesso donnette e negozianti in paese, il sangue era corso per quelle colline come il mosto sotto i torchi. Tutti eran stati derubati e incendiati, tutte le donne ingravidate. Fin che lex podestà disse chiaro, sui tavolini dellAngelo, che ai tempi di prima queste cose non succedevano. Allora saltò su il camionista uno di Calosso, grinta dura che gli chiese dovera finito, ai tempi di prima, quello zolfo del Consorzio.

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