Ribelle, Pedina, Re - Морган Райс 5 стр.


Ora che si era rivelata essere ben più di questo, Lucio si trovava a sentire che i suoi sentimenti cambiavano, diventando qualcosa di più. Non era semplicemente l’ornamento perfetto per un futuro re: era una persona che capiva come funzionava il mondo, e che era pronta a tramare per ottenere ciò che voleva.

Questo aveva giocato una grossa parte nel motivo per cui Lucio aveva deciso di lasciarla andare: si stava godendo troppo il gioco fra loro due. L’aveva messa alle strette e lei era stata d’accordo nell’affondarlo insieme a sé. Si chiedeva quale sarebbe stata la sua prossima mossa.

Venne distolto dai suoi pensieri quando vide due dei suoi uomini che tenevano a tiro di spada una famiglia: un uomo grasso, una donna anziana e tre bambini.

“Perché stanno ancora respirando?” chiese Lucio.

“Vostra altezza,” implorò l’uomo, “vi prego. La mia famiglia è sempre stata estremamente leale a vostro padre. Non abbiamo niente a che fare con la ribellione.”

“Quindi mi stai dicendo che mi sto sbagliando?” chiese Lucio.

“Siamo leali, vostra altezza. Vi prego.”

Lucio piegò la testa di lato. “Molto bene, vista la tua lealtà, sarò generoso. Permetterò a uno dei tuoi figli di vivere. Ti lascerò anche scegliere quale. In effetti, te lo ordino.”

“M-ma… non possiamo scegliere tra i nostri figli,” disse l’uomo.

Lucio si voltò verso i suoi uomini. “Vedete? Anche quando do loro degli ordini, non obbediscono. Uccideteli tutti, e non sprecate altro tempo con gente del genere. Tutti quelli che abitano questo villaggio devono essere uccisi o fatti schiavi. Non fatemelo ripetere.”

Galoppò via, verso altri edifici che stavano bruciando, mentre le grida si levavano dietro di lui. Si stava veramente rivelando una meravigliosa mattinata.

CAPITOLO SETTE

“Lavorate più velocemente, pigri mocciosi!” gridò la guardia, e Sartes si irrigidì sentendo il bruciore della frustata sulla schiena. Se avesse potuto, si sarebbe girato per rispondere alla guardia, ma senza un’arma era come un suicidio.

Invece di un’arma aveva un secchio. Incatenato a un altro prigioniero, aveva il compito di raccogliere il catrame e versarlo in grosse carriole che servivano per portarlo via dalle fosse, dove sarebbe servito per calafatare barche e sigillare tetti, livellare i ciottoli più lisci e impermeabilizzare le pareti. Era un lavoro duro, e doverlo fare incatenato a un’altra persona lo rendeva ancora più arduo.

Il ragazzo a cui era legato non era più grande di Sartes, sembrava anzi molto più magro. Sartes non sapeva ancora come si chiamasse, perché le guardie punivano chiunque parlasse troppo. Probabilmente pensavano che complottassero una rivolta, pensò Sartes. Guardando alcuni degli uomini che stavano lì attorno, forse avevano pure ragione a temerlo.

Le fosse del catrame erano un posto dove venivano spedite alcuni dei peggiori individui di Delo, e si vedeva. C’erano risse per il cibo, o semplicemente per dimostrare chi fosse più duro, anche se nessuna di loro durava molto. Quando c’erano delle guardie a controllare, gli uomini tenevano la testa bassa. Quelli che non lo facevano venivano rapidamente picchiati o gettati nel catrame.

Il ragazzo incatenato a Sartes non sembrava essere in sintonia con la maggior parte del resto dei presenti. Era magro come uno stecchino e allampanato. Pareva potesse rompersi da un momento all’altro per lo sforzo di sollevare il catrame dalle fosse. La sua pelle era sporca e ricoperta di bruciature dove era venuta a contatto con il catrame.

Una soffio di gas uscì dalla fossa. Sartes riuscì a trattenere il fiato, ma il suo compagno non fu altrettanto fortunato. Iniziò a piegarsi e a tossire, e Sartes sentì la catena tendersi mentre il giovane inciampava e iniziava a cadere.

Sartes non ebbe bisogno di pensare. Lasciò cadere il secchio e si lanciò in avanti, sperando di essere abbastanza rapido. Sentì le dita chiudersi attorno al braccio del ragazzo, così magro da poterne fare il giro completo come un secondo anello di catena.

Il ragazzo barcollò verso il catrame e Sartes lo trattenne dal finirvi dentro. Avvertì il calore che proveniva dalla fossa e quasi si tirò indietro quando sentì la pelle bruciare. Ma tenne salda la presa sul braccio del ragazzo e non lo lasciò andare fino a che non fu riuscito a tirarlo in salvo sul terreno solido.

Il ragazzo tossì e sputacchiò, e sembrava voler parlare.

“Va tutto bene,” lo rassicurò Sartes. “Stai bene. Non cercare di parlare.”

“Grazie,” disse. “Aiuta… mi… a mettermi… in piedi. Le guardie…”

“Che succede qui?” tuonò una guardia, sottolineando la domanda con un colpo di frusta che fece gridare Sartes. “Perché state bighellonando qui?”

“Sono stati i fumi, signore,” disse Sartes. “Lo hanno travolto per un momento.”

Questo gli guadagnò un altro colpo. Sartes avrebbe voluto tanto avere un’arma con sé. Qualcosa da poter usare per controbattere, ma non c’era nient’altro che il suo secchio, e c’erano troppe guardie per farlo bastare. Probabilmente Ceres avrebbe trovato un modo di sconfiggerli tutti con solo quell’oggetto, e quel pensiero lo fece sorridere.

“Quando voglio che parli, te lo dico io,” disse il soldato. Diede un calcio al ragazzo che Sartes aveva salvato. “In piedi tu. Se non puoi lavorare non servi a niente. Se non servi a niente puoi finire nel catrame come tutto il resto.”

“Può stare in piedi,” disse Sartes, e rapidamente aiutò il ragazzo ad alzarsi. “Guardi, sta bene. Sono stati solo i fumi.”

Questa volta non si curò del soldato che lo colpiva, perché almeno significava che non stava colpendo l’altro ragazzo.

“Tornate al lavoro allora, tutti e due. Avete già sprecato troppo tempo.”

Si rimisero a raccogliere il catrame, e Sartes fece del suo meglio per raccoglierne quanto poteva, perché l’altro ragazzo non era ancora chiaramente abbastanza forte per fare molto.

“Mi chiamo Sartes,” gli sussurrò, tenendo d’occhio le guardie.

“Byrant,” rispose in un bisbiglio il ragazzo, anche se sembrava nervoso mentre lo faceva. Sartes lo sentì tossire di nuovo. “Grazie, mi hai salvato la vita. Se potrò mai sdebitarmi, lo faro.”

Fece silenzio mentre le guardie passavano ancora lì vicino.

“I fumi sono nocivi,” disse Sartes, più che per mantenere la conversazione che altro.

“Ci divorano i polmoni,” rispose Bryant. “Anche alcune delle guardie muoiono.”

Lo disse come se fosse normale, ma Sartes non poteva vederci nulla di normale.

Guardò il ragazzo. “Non hai tanto l’aspetto di un criminale.”

Vide un’espressione di dolore velargli il volto. “La mia famiglia… il principe Lucio è venuto alla nostra fattoria e l’ha bruciata. Ha ucciso i miei genitori. Ha portato via mia sorella. Mi ha mandato qui senza un motivo.”

Era una storia fin troppo familiare per Sartes. Lucio era malvagio. Usava qualsiasi scusa per causare miseria. Faceva a brandelli le famiglie solo perché poteva.

“E allora perché non cercare giustizia?” suggerì Sartes. Continuò a scavare catrame dalla fosse, assicurandosi che nessuna guardia venisse vicino.

Il ragazzo lo guardò come se fosse matto. “E come potrei farlo? Sono una persona sola.”

“La ribellione è ben più di una persona,” rimarcò Sartes.

“Come se a loro interessasse quello che succede a me,” ribatté Bryant. “Non sanno neanche che siamo qui.”

“Allora dovremo andare noi da loro,” sussurrò Sartes.

Sartes vide i tratti del ragazzo segnati dal panico.

“Non puoi. Se solo si parla di fuga, le guardie ti appendono sopra al catrame e ti ci calano un po’ alla volta. L’ho visto. Ci uccideranno.”

“E cosa succederà se restiamo qui?” chiese Sartes. “Se oggi fossi stato incatenato a uno degli altri, cosa sarebbe successo?”

Bryant scosse la testa. “Ma ci sono le fosse del catrame, e le guardie, e sono sicuro che ci siano anche delle trappole. E poi gli altri prigionieri non ci aiuterebbero mai.”

“Ma adesso ci stai pensando, giusto?” chiese Sartes. “Sì, ci saranno dei rischi, ma un rischio è molto meglio che morire di sicuro.”

“E come mai potremmo farlo?” chiese Bryant. “Ci tengono nelle gabbie di notte, e siamo incatenati tutto il giorno.”

Per quello almeno Sartes una risposta ce l’aveva. “Allora scapperemo insieme. Troveremo il momento giusto. Fidati di me, so come cavarmi dalla brute situazioni.”

Non disse che quello sarebbe stato peggio di tutto ciò che aveva già passato in passato, né fece sapere al suo nuovo amico quanto scarse fossero le probabilità. Non c’era bisogno di spaventare Bryant più di quanto già fosse, ma dovevano andarsene.

Se fossero rimasti di più, lo sapeva, nessuno di loro due sarebbe sopravvissuto.

CAPITOLO OTTO

Tano si sentiva teso come un animale che sta per spiccare un salto mentre camminava in mezzo ai tre prigionieri, tutti diretti verso la fortezza che dominava l’isola. A ogni passo si trovava a cercare una via di fuga, ma con il terreno aperto e gli archi che avevano i suoi aguzzini, non ce n’erano.

“Potrebbe anche sembrare ragionevole,” disse Elsio dietro di lui, “Non posso dire che il tuo destino sarebbe migliore venendo con noi, ma di certo durerai di più. Non c’è nessun posto dove fuggire sull’isola, eccetto che per gli Abbandonati, e io ti darei la caccia.”

“Forse allora dovrei farlo e accelerare le cose,” disse Tano, cercando di mascherare la sua sorpresa riguardo alla facilità con cui quell’uomo aveva letto le sue intenzioni. “Una freccia nella schiena non dev’essere poi così male.”

“Non peggio di una spada che ti infilza,” disse Elsio. “Oh sì, ne abbiamo sentito parlare anche qui. Le guardie ci portano notizie quando ci lanciano qui nuova gente da punire. Ma credimi, se ti do la caccia io, non ci sarà niente di rapido. E ora continua a camminare, prigioniero.”

Tano ubbidì, ma sapeva di non poter percorrere tutto il tragitto fino alla parte dell’isola in cui si trovava la fortezza. Se l’avesse fatto, non avrebbe mai più rivisto la luce del giorno. Il momento migliore per la fuga era sempre presto, quando ancora si avevano le forze. Quindi Tano continuò a guardarsi in giro, cercando di valutare il terreno e il suo momento.

“Non funzionerà,” disse Elsio. “Conosco gli uomini. So quello che intendono fare. È sorprendente quello che impari di loro mentre li fai fuori. Penso che in quel momento si veda la loro vera anima.”

“Sai cosa penso?” chiese Tano.

“Dimmelo. Sono sicuro che l’insulto porterà gioia alla mia giornata. E dolore alla tua.”

“Penso che tu sia un codardo,” disse Tano. “Ho sentito parlare dei tuoi crimini. Una manciata di omicidi di persone che non avevano la forza di controbattere. Un po’ di tempo trascorso a capo di una banda di criminali che combattevano in vece tua. Sei patetico.”

Tano sentì le risate alle sue spalle.

“Oh, è questo il meglio che sai fare?” disse Elsio. “Sono offeso. Cosa stai cercando di fare, attirarmi vicino a te in modo da potermi colpire? Pensi davvero che sia così stupido? Voi due, tenetelo fermo. Principe Tano, se ti muovi, metterò una freccia in un punto molto doloroso.”

Tano sentì le braccia delle due guardie avvolgersi attorno alle sue, tenendolo fermo al suo posto. Erano uomini forti, ovviamente abituati ad avere a che fare con prigionieri disobbedienti. Tano si sentì girare trovandosi faccia a faccia con Elsio, che stava tendendo l’arco perfettamente in posizione, pronto a tirare.

Proprio come Tano aveva sperato.

Tano si ribellò contro le guardie che lo tenevano fermo e sentì Elsio ridere.

“Non mi dire che non ti avevo avvisato.”

Sentì lo schiocco della corda dell’arco, ma lui non si stava sforzando di liberarsi nel modo in cui credevano. Invece si girò, trascinando una delle guardie nella traiettoria della freccia e sentendo l’impatto della punta contro il corpo dell’uomo. La freccia lo trafisse e finì per sporgergli dal petto.

Tano sentì la presa allentarsi mentre la guardia afferrava la freccia, quindi non esitò. Attaccò l’altra guardia, gli strappò il coltello dalla cintura e spinse l’uomo contro Elsio. Con i due ingarbugliati tra loro, riuscì ad afferrare l’arco della guardia morente scoccando quante più frecce poteva mentre scappava.

Tano zigzagò facendosi strada oltre delle rocce spezzate, correndo a tutta velocità verso il nascondiglio più vicino. Probabilmente gli salvò la vita il fatto che non cercò di correre ancora verso la sua barca, dirigendosi invece in mezzo agli alberi.

“Non c’è niente da quella parte se non gli Abbandonati!” gli gridò dietro Elsio.

Tano si abbassò mentre una freccia gli passava fischiando vicino alla testa. La sentì abbastanza vicina da arruffargli i capelli. L’assassino che lo stava seguendo era decisamente troppo bravo nella mira.

Tano tirò in risposta, quasi senza guardare. Se si fosse fermato tanto da poter prendere la mira, non aveva alcun dubbio che si sarebbe presto trovato ucciso da una delle frecce che gli stavano volando accanto mentre correva. O peggio poteva finire semplicemente ferito in modo che Elsio potesse acciuffarlo e trascinarlo nella parte fortificata dell’isola.

Tano si tuffò dietro a una roccia e sentì una freccia che vi andava a sbattere contro. Tirò di nuovo, si rimise a correre, si fermò per un qualche istinto che gli fece aspettare che un’altra freccia lo sfiorasse.

Poi ripartì di corsa, sfrecciando verso gli alberi. Cercava di rendere la sua corsa imprevedibile, ma soprattutto si concentrava sulla velocità. Più rapidamente fosse riuscito a raggiungere la copertura degli alberi, meglio era. Scoccò un’altra freccia senza guardare, si fece di lato per istinto mentre un altro colpo lo mancava, poi si gettò dietro agli alberi più vicini mentre un’altra punta si conficcava in un tronco.

Tano si fermò un momento, in ascolto. Al di sopra del battito del suo cuore poteva sentire Elsio che dava ordini.

“Andate a chiamare altri guardiani,” ordinò. “Continuerò da solo la mia caccia al principe.”

Tano iniziò a strisciare tra gli alberi. Sapeva di dover coprire terreno ora, prima che arrivassero altre guardie armate. Se erano troppe, lo avrebbero circondato senza difficoltà. Poi non sarebbe più stato in grado di scappare, per quanto combattesse bene.

Ma doveva pur sempre stare attento. Poteva sentire Elsio da qualche parte dietro di lui, nel fruscio di rami e nell’occasionale spezzarsi di ramoscelli. Quell’uomo aveva ancora il suo arco e aveva già dato prova di quanto bravo fosse ad usarlo.

“So che puoi sentirmi,” disse Elsio dietro di lui. Aveva un tono colloquiale, come se fosse la cosa più normale al mondo parlare a quel modo all’uomo che stava tentando di uccidere. “Sarai andato a caccia, ovviamente, essendo un principe.”

Tano non rispose.

“Oh, lo so,” disse Elsio. “Non vuoi svelare la tua posizione. Vuoi restare perfettamente nascosto, e speri di restare davanti a me. La gente che ero solito inseguire nel mondo faceva sempre così. Ma non ha funzionato neanche per loro.”

Una freccia sbucò tra gli alberi, mancando Tano per un pelo quando si abbassò. Tirò in risposta, poi si mise a correre in mezzo agli alberi.

“Va meglio così,” rispose Elsio. “Assicurati che gli Abbandonati non ti prendano. Di me hanno paura. Ma tu… tu sei solo una preda.”

Tano lo ignorò e continuò a correre, svoltando e girando a caso fino a che fu certo di aver messo sufficiente distanza tra sé e il proprio inseguitore.

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