Giostra Di Cavalieri - Морган Райс 3 стр.


Kendrick si preparò mentre si facevano ancora più vicino e il rumore della sabbia vorticante diventava assordante. Già a cinquanta metri di distanza l’aria era piena del suono della sabbia che sbatteva contro le armature. Un momento dopo la sentì.

Si tuffò nel muro di sabbia e fu come immergersi in un oceano turbolento di sabbia. Il rumore era così forte da poter a malapena udire il proprio cuore che gli batteva nelle orecchie mentre la sabbia avvolgeva ogni parte del suo corpo lottando per entrare e per infiltrarsi. Era così intensa e fitta da non riuscire a vedere Brandt e Atme che si trovavano a pochi metri da lui.

“CONTINUATE A GALOPPARE!” gridò Kendrick ai suoi uomini, chiedendosi se qualcuno di loro poteva sentirlo e cercando di rassicurare loro quanto se stesso. I cavalli nitrivano come impazziti, rallentando e comportandosi stranamente. Kendrick abbassò lo sguardo e vide che la sabbia gli entrava negli occhi. Spronò il suo cavallo con maggiore intensità pregando che non si fermasse sul posto.

Continuò a galoppare, pensando che non sarebbe mai finita, quando finalmente, riconoscente, emerse dall’altra parte. Galoppò fuori con i suoi uomini accanto, di nuovo nella Grande Desolazione, con il cielo aperto e il vuoto ad accoglierlo. Il muro di sabbia si calmò gradualmente mentre si allontanavano e la quiete prestò calò di nuovo. Kendrick notò che gli uomini del Crinale guardavano lui e i suoi con sorpresa.

“Non pensavate che saremmo sopravvissuti?” chiese a Naten mentre lo fissava.

Naten scrollò le spalle.

“Non me ne sarebbe fregato nulla comunque,” disse e si allontanò con i suoi uomini.

Kendrick si scambiò un’occhiata con Brandt e Atme mentre tutti si interrogavano nuovamente su quegli uomini del Crinale. Kendrick aveva la sensazione che sarebbe stato lungo e faticoso conquistare la loro fiducia. Dopotutto lui e i suoi uomini erano degli sconosciuti ed erano stati loro a creare quella scia di tracce causando loro un sacco di problemi.

“Avanti tutta!” gridò Koldo.

Kendrick sollevò lo sguardo e vide, nel deserto, i segni lasciati da lui e dagli altri dell’Anello. Vide tutte le loro impronte ora indurite nella sabbia, che conducevano fino all’orizzonte.

Koldo si fermò dove terminavano rimanendo fermo insieme agli altri, con i cavalli che respiravano affannosamente. Abbassarono tutti lo sguardo studiandole.

“Pensavo che il deserto le avrebbe cancellate,” disse Kendrick sorpreso.

Naten ridacchiò guardandolo.

“Questo deserto non cancella nulla. Non piove mai e tutto viene ricordato. Queste vostre impronte li avrebbero condotti dritto fino a noi, portando al crollo del Crinale.”

“Piantala di importunarlo,” disse Koldo a Naten con voce cupa e carica di autorità.

Tutti si voltarono vedendolo avvicinarsi e Kendrick provò un’ondata di gratitudine nei suoi confronti.

“Perché dovrei?” chiese Naten. “Questa gente ha creato il problema. Io potrei essere al sicuro all’interno del Crinale in questo momento.”

“Continua,” disse Koldo, “e ti mando a casa all’istante. Verrai cacciato fuori da questa missione e dovrai spiegare al re perché hai trattato il tuo comandante mancandogli di rispetto.”

Naten, finalmente umiliato, abbassò lo sguardo e si allontanò portandosi dall’altra parte del gruppo.

Koldo guardò Kendrick facendogli cenno con la testa in segno di rispetto, da comandante a comandante.

“Mi scuso per l’insubordinazione dei miei uomini,” disse. “Come di certo anche tu sai, un comandante non sempre è in grado di parlare per tutti i suoi soldati.”

Kendrick annuì rispettoso, ammirando Koldo più che mai.

“Sono queste dunque le tracce lasciate dal tuo popolo?” chiese Koldo abbassando lo sguardo.

Kendrick annuì.

“Pare di sì.”

Koldo sospirò voltandosi e seguendole.

“Dobbiamo seguirle fino alla fine,” disse. “Quando raggiungeremo l’altra estremità procederemo all’indietro cancellandole.”

Kendrick era sorpreso.

“Ma non ne lasceremo delle altre tornando indietro?”

Koldo fece un cenno e Kendrick seguì il suo sguardo rivolto verso il retro dei cavalli dei suoi uomini che tiravano alcuni attrezzi che sembravano dei rastrelli.

“Spazzatrici,” spiegò Ludvig avvicinandosi a Koldo. “Cancelleranno le nostre tracce mentre proseguiamo.”

Koldo sorrise.

“È questo che ha tenuto il Crinale invisibile ai nostri nemici per secoli.”

Kendrick ammirò gli ingegnosi strumenti e si udì un grido mentre gli uomini spronavano i cavalli e si voltavano seguendo le tracce, galoppando nel deserto inoltrandosi nella Desolazione verso un orizzonte vuoto. Nonostante tutto Kendrick si guardò alle spalle mentre procedevano, dando un’ultima occhiata al muro di sabbia. Per qualche motivo fu sopraffatto dal pensiero che non avrebbero mai più fatto ritorno.

CAPITOLO QUATTRO

Erec si trovava a prua sulla sua nave con Alistair e Strom al suo fianco, e guardava con preoccupazione il fiume che si restringeva. Dietro di loro a breve distanza si trovava la sua piccola flotta, tutto ciò che restava di quello che era partito dalle Isole del Sud. Si stavano tutti dirigendo lungo quell’interminabile fiume, sempre più a fondo verso il cuore dell’Impero. In alcuni punti quel corso d’acqua era stato largo quanto un oceano, le rive non visibili e le acque limpide; ma ora Erec vedeva come all’orizzonte si stesse restringendo creando una sorta di imbuto di forse una ventina di metri di larghezza, dove l’acqua si faceva più torbida.

Il soldato professionista dentro Erec era completamente all’erta. Non gli piacevano gli spazi confinati quando conduceva un gruppo di uomini, e sapeva che il fiume che si faceva più stretto avrebbe reso la sua flotta più suscettibile a un’imboscata. Erec si guardò alle spalle e non vide alcun segno della massiccia flotta dell’Impero da cui erano sfuggiti in mare. Questo però non significava che non potessero trovarsi là fuori da qualche parte. Sapeva che non avrebbero mai smesso di seguirli fino a che non li avessero trovati.

Con le mani sui fianchi Erec si voltò e socchiuse gli occhi studiando le misere terre dell’Impero dall’altra parte che si allungavano all’infinito: un terreno fatto di sabbia asciutta e dura roccia, niente alberi e nessun segno di civiltà. Erec scrutò le rive del fiume e si sentì riconoscente che almeno non ci fossero forti o battaglioni dell’Impero posizionati lungo il fiume. Voleva portare la sua flotta lungo il corso d’acqua fino a Volusia il più in fretta possibile, trovare Gwendolyn e gli altri e liberarli per poi andarsene da lì. Li avrebbe riportati attraverso il mare fino alla salvezza delle Isole del Sud, dove avrebbe potuto proteggerli. Non voleva nessun disturbo lungo il suo tragitto.

Ma dall’altra parte il silenzio inquietante e il paesaggio desolato lo facevano pure preoccupare: l’Impero si stava forse nascondendo e aspettava di tendere loro un’imboscata?

Ere sapeva che c’era un pericolo ancora più grosso là fuori, più grande di un possibile attacco da parte del nemico: la possibilità di morire di fame. Era una preoccupazione ancora più incombente. Stavano attraversando quello che era sostanzialmente un deserto e tutte le loro proviste erano ormai quasi finite. Mentre Erec stava lì sentiva il brontolio alla pancia dato che aveva limitato se stesso e gli altri a un pasto al giorno ormai da molto tempo. Sapeva che se non fosse apparsa qualche abbondanza presto all’orizzonte avrebbero avuto grossi problemi per le mani. Sarebbe mai finito quel fiume? E se non avessero mai trovato Volusia?

E ancora peggio: se Gwendolyn e gli altri non fossero più lì? O fossero già morti?

“Un altro!” gridò Strom.

Erec si voltò e vide uno dei suoi uomini che tirava una lenza con un pesce giallo appeso all’estremità che veniva trascinato sul ponte. Il marinaio lo pestò ed Erec vi si avvicinò insieme agli altri osservandolo. Scosse la testa contrariato: due teste. Era un altro di quei pesci velenosi che sembravano popolare in abbondanza quel fiume.

“Questo fiume è maledetto,” disse un uomo scagliando a terra la canna da pesca.

Erec si avvicinò al corrimano e scrutò le acque con delusione. Percepì una presenza e voltandosi vide Strom che gli si avvicinava.

“E se questo fiume non conducesse a Volusia?” chiese.

Erec scorse la preoccupazione sul volto del fratello, e la condivideva.

“Da qualche parte ci porterà,” rispose. “Va verso nord. Se non a Volusia, allora attraverseremo la terra a piedi e tracceremo la nostra strada.”

“Dovremmo abbandonare le nostre navi allora? Come potremo mai fuggire poi da questo posto? Tornare alle Isole del Sud?”

Erec scosse lentamente la testa e sospirò.

“Potremmo non farcela,” rispose onestamente. “Nessuna impresa d’onore è semplice. Eppure ci siamo mai fermati io o te?”

Strom si voltò verso di lui e gli sorrise.

“È per questo che viviamo,” rispose.

Erec sorrise a sua volta e si girò a guardare Alistair che si avvicinava dall’altra parte, aggrappandosi al corrimano e fissando il fiume che si stava restringendo sempre più man mano che avanzavano. Aveva gli occhi velati e lo sguardo distante. Erec percepì che era perduta in un altro mondo. Aveva notato che anche qualcos’altro era cambiato in lei, ma non era sicuro di cosa fosse. Era come se gli stesse tenendo nascosto qualche segreto. Moriva dalla voglia di chiederle qualcosa, ma non voleva essere invadente.

Suonò un coro di corni ed Erec, sorpreso, si voltò guardandosi alle spalle. Gli balzò il cuore in gola quando vide cosa incombeva su di loro.

“IN RAPIDO AVVICINAMENTO!” gridò un marinaio dall’alto dell’albero maestro indicando freneticamente. “FLOTTA DELL’IMPERO!”

Erec attraversò il ponte di corsa tornando verso poppa insieme a Strom, passando oltre tutti i suoi uomini, tutti in assetto da guerra, con le spade in mano e gli archi pronti mentre si preparavano mentalmente allo scontro.

Erec arrivò a poppa e si aggrappò al corrimano guardando fuori e vedendo che era vero: lì, dietro un’ansa del fiume a poche centinaia di metri da loro, si trovava una fila di navi dell’Impero con le loro vele nere e oro.

“Devono aver seguito le nostre tracce,” disse Strom accanto a lui.

Erec scosse la testa.

“Ci hanno seguiti per tutto il tempo,” disse rendendosene conto. “Stavano solo aspettando di farsi vedere.”

“E cosa aspettavano?” chiese Strom.

Erec si voltò guardandosi alle spalle, verso il fiume davanti a loro.

“Quello,” disse.

Strom si voltò e guardò con attenzione il fiume che si restringeva.

“Hanno aspettato che arrivassimo al punto più stretto,” disse Erec. “Hanno aspettato che fossimo costretti a navigare in fila indiana e che ci trovassimo troppo avanti per girarci e tornare indietro. Ora ci hanno esattamente dove ci volevano.”

Erec guardò di nuovo la flotta e mentre stava lì fermo provò un incredibile sensazione di concentrazione, come spesso gli accadeva quando conduceva i suoi uomini e si trovava in un momento di crisi. Sentì un altro senso che si faceva spazio in lui, e come spesso accadeva in momenti come quello gli venne un’idea.

Si voltò verso suo fratello.

“Guida quella nave accanto a noi,” ordinò. “Prendi il retro della flotta. Fai uscire ogni uomo, falli imbarcare nella nave accanto. Mi hai sentito? Svuota quella nave. Quando sarà vuota, sarai l’ultimo ad uscirne.”

Strom lo guardava confuso.

“Quando la nave sarà vuota?” ripeté. “Non capisco.”

“Ho in mente di sfasciarla.”

“Sfasciarla?” chiese Strom perplesso.

Erec annuì.

“Nel punto più stretto, dove le rive del fiume si incontrano, farai girare la nave di lato e la abbandonerai. Questo creerà un cuneo, la sorta di diga di cui abbiamo bisogno. Nessuno sarà capace di seguirci. Ora vai!” gridò Erec.

Strom scattò in azione, seguendo gli ordini di suo fratello, che fosse d’accordo con lui o meno. Erec continuò a far navigare la sua nave insieme alle altre e Strom balzò da un corrimano all’altro. Quando atterrò sull’altra nave iniziò a gridare ordini e gli uomini scattarono in azione, tutti saltando, uno alla volta, fuori dalla nave verso quella di Erec.

Erec era preoccupato mentre osservava le loro navi che iniziavano ad allontanarsi.

“Alle funi!” gridò ai suoi uomini. “Usate gli arpioni e tenete insieme le navi!”

I suoi uomini seguirono il suo comando e corsero verso il bordo della nave sollevando gli arpioni e lanciandoli in aria facendoli incastrare nella nave accanto tirandola poi con tutte le loro forze in modo che smettesse di allontanarsi. Questo accelerò il processo e decine di uomini balzarono da un corrimano all’altro afferrando tutti le proprie armi in fretta e furia mentre abbandonavano la nave.

Strom osservava gridando ordini e assicurandosi che ogni uomo lasciasse l’imbarcazione radunandoli tutti fino a che a bordo non fu rimasto nessuno.

Strom vide l’espressione di Erec che osservava con approvazione.

“E che ne facciamo delle provviste sulla nave?” gridò Strom portando la voce al di sopra del frastuono. “E le armi di riserva?”

Erec scosse la testa.

“Lascia perdere,” gridò di risposta. “Mettiti dietro e distruggi la nave.”

Erec si voltò e corse a prua, conducendo la sua flotta che lo seguiva e si immetteva nella strozzatura del fiume.

“FILA INDIANA!”

Tutte le navi si misero dietro di lui mentre il fiume giungeva al punto più stretto. Erec vi passò attraverso con la sua flotta e si guardò alle spalle vedendo le navi dell’Impero che si avvicinavano rapidamente, ora ad appena cento metri da loro. Guardò centinaia di soldati dell’Impero preparare gli archi e frecce dando loro fuoco. Sapevano di essere quasi a portata di tiro: c’era poco tempo da perdere.

“ORA!” gridò a Strom proprio mentre lui, l’ultimo della flotta, entrava nella strettoia.

Strom, guardando e aspettando, sollevò la spada e tagliò a metà le funi che tenevano la sua nave ancorata a quella di Erec. Nello stesso istante saltò sull’altra imbarcazione, al fianco del fratello. Tagliò le corde proprio mentre la nave abbandonata entrava nella strozzatura del fiume e si arenava senza più alcuna guida.

“FATELA GIRARE DI FIANCO!” ordinò Erec ai suoi uomini.

Tutti afferrarono le funi che restavano da una parte della nave e tirarono con tutte le loro forze fino a che la nave, scricchiolando, si girò lentamente di lato contro corrente. Alla fine, trasportata dall’acqua, si incastrò con decisione tra le rocce, fissata tra le due sponde del fiume mentre il legno scricchiolava e iniziava a spezzarsi.

“TIRATE PIÙ FORTE!” gridò Erec.

Gli uomini continuarono a tirare ed Erec accorse ad aiutarli. Tutti sbuffavano mentre tiravano con tutta la loro forza. Lentamente riuscirono a far girare la barca tenendola stretta mentre si incastonava sempre più a fondo tra gli scogli.

Quando la nave smise di muoversi, ben incastrata, Erec fu finalmente soddisfatto.

“TAGLIATE LE FUNI!” gridò sapendo che doveva essere ora o mai più e sentendo che la sua stessa nave iniziava ad arrancare.

Gli uomini di Erec tagliarono le funi restanti sbrogliando la nave al momento giusto.

L’imbarcazione abbandonata iniziò a collassare rompendosi e il relitto bloccò completamente il fiume. Un attimo dopo il cielo si fece nero mentre una raffica di frecce infuocate dell’Impero scendeva verso la flotta di Erec.

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