“Ma per lui sarebbe una retrocessione, giusto?” chiese Keira. “Passerebbe dall’esserne il proprietario a cosa, il semplice amministratore?”
Nina reclinò la testa di lato. “Non sarebbe del tutto negativo. Così potrebbe fare più soldi. Avrebbe solo dei superiori a cui rispondere. Probabilmente perderebbe un po’ di libertà creativa.” Si scrollò di nuovo. “In effetti, è sicuro che perderebbe una parte di libertà creativa.”
Keira si morse il labbro, riflettendo sulla premonizione di Nina. Perché le cose dovevano sempre cambiare tanto in fretta? Quella mattina si era svegliata con un fidanzato affettuoso e un lavoro da sogno. E adesso era seduta depressa e in lacrime in un bar, di nuovo single e in ansia per la sua situazione lavorativa.
“Beh, anche questo è un modo per distrarmi da Shane,” commentò sarcastica a Nina.
“Oh, Dio, mi dispiace,” disse l’amica. “Non volevo farti preoccupare. Sono sicura che per te, per me, e per tutti gli altri non cambierà niente. Solo per Elliot. Ho già visto delle acquisizioni, moltissime in effetti. Di solito è quasi impercettibile per la maggior parte dello staff.”
Keira arricciò le labbra. “Vedremo,” rispose.
Si accorse in quel momento che Nina sembrava un po’ nel panico, e guardò l’amica che fissava Bryn negli occhi come per spingerla a subentrare nella conversazione. All’improvviso la sorella si illuminò come colta da un pensiero.
“Mi è venuta un’idea fantastica,” annunciò sgranando gli occhi.
“Perché ho la sensazione che non mi piacerà neanche un po’,” rispose Keira, socchiudendo i propri.
“C’è una bella festa da Gino questa sera, hai presente, quell’autentico ristorante italiano che c’è in città,” spiegò Bryn. “È a tema Halloween. A dir la verità è a tema Ognissanti, che è una festa italiana che non conoscevo, ma sembra super inquietante e da Gino la prendono davvero sul serio. Sarà per metà un ballo in maschera e per metà una cena gotica. Sembra folle ma in modo super interessante.”
Keira la fissò con occhi sempre più stretti. Bryn stava parlando a ruota libera. “Vai avanti…” esortò la sorella.
“Ecco il punto,” disse Bryn. “Malcolm, un tizio che ho conosciuto la notte scorsa mi ha invitata là per un appuntamento. Vuole vedere di che si tratta, sai, provare qualcosa di nuovo. Ovviamente ho accettato, mi conosci, sono pronta a provare qualsiasi cosa almeno una volta. Comunque, oggi mi ha detto che ha un amico che è single e si chiedeva se conoscessi qualcuno con cui fare un’uscita a quattro. Stavo pensando di invitare Tasha, ma perché invece non andiamo io e te? Ora sei di nuovo single.”
A Keira non servì nemmeno un secondo per riflettere sulla proposta di Bryn. Scosse la testa in un enfatico no. “Assolutamente no,” rispose.
Nina si chinò in avanti, apparentemente d’accordo. “Io conosco un negozio di costumi bellissimo,” esclamò. “Potresti prendere un abito da sera, dei guanti, una maschera, tutto quanto.”
Keira le lanciò un’occhiataccia. “Perché non vai tu a quest’uscita a quattro se l’idea ti piace tanto?”
Nina chiuse di scatto la bocca. Bryn assunse di nuovo il ruolo di corteggiatrice principale.
“Almeno vieni per il cibo,” disse. “Una cena gratis. Cibo raffinato. Qualche ballo. Vedila come una serata fuori tra di noi, con un paio di tizi accodati per pagarci il conto. Non devi nemmeno dirgli il tuo nome vero se non vuoi, e nemmeno toglierti la maschera. Può essere una notte d’anonimato. Potresti fingerti una persona tutta diversa.”
Keira scoppiò a ridere. “Fammi indovinare. Lo hai già fatto prima?”
Nina intervenne. “Cara, ti prego, lo abbiamo fatto tutte. Se non sei mai andata a un appuntamento fingendoti un’agente dell’FBI o un’ereditiera miliardaria, non hai mai vissuto davvero.”
Scuotendo la testa, Keira lanciò di nuovo un’occhiata fuori dalla vetrina. Studiò le persone in giro per le strade. Alcuni dei negozi avevano già le decorazioni di Halloween alle finestre. Vide una coppia di dark lungo la via, una donna con un abito di pizzo nero che sfoggiava un ombrellino e un uomo legato a un guinzaglio di cuoio. Solo a New York City, pensò tra sé e sé divertita.
Il senso della vita era accogliere a braccia aperte ogni sfida e assurdità, ricordò a se stessa. Non si era detta la stessa cosa proprio quella mattina?
“Va bene,” accettò, voltandosi verso Bryn con un sospiro rassegnato. “Verrò al tuo ballo.”
*
Bryn aveva avuto ragione su una cosa, scoprì Keira più tardi, quella sera. Gino era un posto magnifico. Tutto il ristorante era stato decorato come un castello gotico, i tavoli spinti ai lati in modo da far diventare l’area centrale una pista da ballo. C’era ovunque un’atmosfera incredibilmente inquietante, tra la vecchia musica popolare italiana, i camerieri in abiti di velluto e ovviamente, gli ospiti in maschera.
Se fossero state solo loro due, Keira avrebbe passato una notte fantastica. Sfortunatamente avrebbero condiviso la serata con Malcolm, l’uomo che aveva invitato Bryn, e Glen, quello che aveva invitato Keira. I due dovevano essere tra le persone più noiose al mondo.
Keira sollevò la pasta sulla forchetta, tenendo gli occhi aperti a fatica, mentre Glen continuava a blaterare i dettagli della sua carriera di contabile. Anche nel migliore dei casi parlare di lavoro l’avrebbe annoiata, ma quando si trattava di matematica la noia raggiungeva un nuovo livello. Senza contare che non le aveva fatto una sola domanda sul suo lavoro.
Ci fu un’improvvisa pausa nella conversazione e Keira si raddrizzò come se si fosse svegliata di scatto.
“Dunque, che cosa fai nel tempo libero?” chiese a Glen, cercando disperatamente di spostare la conversazione su un nuovo argomento.
Glen impiegò molto a rispondere, un’altra cosa che Keira interpretò come un brutto segno. Chi non conosceva i propri hobby? O che cosa gli piaceva fare oltre al proprio lavoro?
“Guardo lo sport,” disse alla fine.
“Guardi,” ripeté Keira. “Non lo pratichi?”
Glen scoppiò a ridere. “Accidenti, no. Non voglio farmi male. Preferisco essere uno spettatore.”
“È…” Keira faticò a trovare la parola giusta. Quella per cui si decise probabilmente era il contrario di ciò che intendeva davvero. “… interessante.”
“E tu che mi dici?” Le domandò Glen.
Era la prima volta che le chiedeva di lei e Keira fu quasi sorpresa. “Oh, beh, lavoro nel giornalismo quindi passo molto del mio tempo libero a leggere,” iniziò.
Glen la interruppe immediatamente. “Anche io leggo. Per lo più il Wall Street Journal.”
Rendendosi conto che le aveva appena strappato il suo turno di parlare, Keira si ritirò in se stessa. Punzecchiò di nuovo la sua pasta. “Bello.”
Bryn allora si allungò attraverso il tavolo. “Stavamo parlando dei nostri progetti,” annunciò. “Quello che vogliamo raggiungere nei prossimi cinque anni. Keira, tu cosa dici?”
Se Bryn glielo avesse chiesto il giorno prima, Keira le avrebbe detto con assoluta certezza che quello che voleva nei seguenti cinque anni era passare più tempo possibile con Shane, comprare insieme la casa dei loro sogni, e magari persino sposarsi e avere dei figli. Ma ormai quel desiderio era svanito.
Si limitò a scrollare le spalle. “Mi piacerebbe viaggiare. Vedere il mondo. Tra cinque anni vorrei aver messo piede su ogni continente almeno una volta.”
Bryn applaudì. “Che bello, sorellina.”
Glen sbuffò. “Viaggiare è sopravvalutato di questi tempi, ora che abbiamo la tecnologia per mappare tutto. Voglio dire, perché passare ore e ore in un tubo di alluminio sospeso nel cielo, inquinando l’atmosfera, quando si può vedere il mondo dalla comodità della propria casa? La realtà virtuale è ancora agli inizi, ma tra cinque anni sarà decollata. Un visore da cinquanta dollari prenderà il posto di voli inutili da centinaia di dollari.”
Solo Malcolm annuì, d’accordo con lui, lasciando capire con la sua espressione che aveva trovato l’analisi di Glen molto stimolante. Bryn, d’altra parte, apparve inorridita dalla sua dichiarazione e lanciò a Keira uno sguardo di scuse. La sorella si limitò a fissarla impassibile, come per rinfacciarle: Te lo avevo detto che sarebbe stato terribile.
“E quindi tu cosa ci dici, Glen?” domandò Bryn, cercando in ogni modo di salvare la conversazione. “Se non sei un fan dei viaggi, come pensi che saranno i tuoi prossimi cinque anni?”
Gli altri rivolsero la loro attenzione al contabile. Lui si schiocchiò le nocche.
“Ho pianificato tutto,” rivelò con assoluta sicurezza. Sollevò il dito indice. “Una moglie tra un anno.” Poi passò al secondo dito. “La nostra casa dei sogni nei sobborghi l’anno dopo.” Poi passò alle due dita successive. “Due figli, con diciotto mesi di distanza tra l’uno e l’altro. Un maschio e una femmina.” Poi alla fine agitò il pollice. “E un cane.”
Keira emise un profondo sospiro. Aveva saputo anche prima di uscire dall’appartamento di Bryn che non avrebbe trovato niente di simile al romanticismo in quell’appuntamento. Ma c’era stata lo stesso una scintilla di speranza. Solo un minuscolo barlume che qualcuno che ardesse luminoso quanto Shane potesse apparire nella sua vita all’improvviso, sconvolgendo il suo mondo rapidamente come aveva fatto lui.
Ma in quell’istante di amara delusione capì di essere stata una sciocca a prendere in considerazione quell’idea. Shane era stato un caso rarissimo. No, più unico che raro. L’appuntamento con Glen non aveva fatto altro che confermare le sue peggiori paure.
Non avrebbe trovato mai più un amore come quello.
CAPITOLO TRE
Keira non poté far altro che tornare in ufficio il mattino seguente. Un cuore spezzato non era un motivo valido per saltare il lavoro, e due giorni di fila sarebbero stati davvero esagerati. Oltretutto non voleva passare un’altra giornata a deprimersi dentro un bar, e di certo non voleva ritrovarsi invischiata in un ennesimo piano sciocco e insensato di Bryn! L’ultimo, l’appuntamento da Gino, le aveva lasciato l’amaro in bocca.
Nonostante si sentisse come se una cupa nube temporalesca le aleggiasse attorno alla testa, Keira riuscì a vestirsi e a prepararsi per la giornata. Di solito vestirsi per il lavoro la faceva sentire più forte, ma quel giorno aveva la sensazione di essere un’impostora, anche se aveva scelto uno dei completi più casual tra tutto il suo guardaroba da ufficio.
Mentre usciva da casa di Bryn, si accorse che Nina le aveva mandato un messaggio di incoraggiamento.
Tutti stanno aspettando con ansia il tuo ritorno.
Keira sorrise. Era felice di avere una buona amica come Nina. Nonostante la differenza di età tra di loro, erano molto in sintonia l’una con l’altra. E Nina aveva anche avuto una tale carriera nel mondo della scrittura da essere un’eccellente mentore per lei.
Entrando nell’ufficio principale del Viatorum, fu sorpresa dall’atmosfera differente che trovò all’interno. In passato, c’era sempre stato il panico nell’aria, una specie di stress invisibile che permeava l’intero luogo. Per quanto fosse stata di buon umore al suo ingresso, era certo che ne sarebbe uscita stanca, ansiosa e tesa.
Ma ovviamente il punto era che Joshua non lavorava più alla rivista. Grazie a Keira, era stato licenziato da Elliot. Era incredibile quanto ciò avesse migliorato il posto. Sembrava persino più confortevole, anche se le piastrelle erano dello stesso bianco sterile e immacolato di prima, e la struttura open plan ugualmente riecheggiante. C’era un’unica differenza visibile, o così notò Keira: tutte le porte delle sale riunioni e degli uffici che circondavano lo spazio aperto erano spalancate. Riusciva a vedere Heather, l’assistente di Elliot, che scriveva al computer nel suo ufficio. Dentro la sala conferenze, diversi membri dello staff erano impegnati in una riunione che sembrava allegra piuttosto che rigida e formale. Ai tempi di Joshua quelle porte erano sempre state chiuse, come una barriera fisica tra lo staff di livello superiore e quello appena assunto.
“È Keira!” esclamò una voce, e all’improvviso tutti si voltarono a guardarla.
Con sua grande sorpresa, qualcuno iniziò ad applaudire.
Keira si sentì arrossire mentre sempre più persone si alzavano dai tavoli e si univano all’applauso. Era così che si era sentita Dorothy dopo aver ucciso la Malvagia Strega dell’Ovest? Dopo tutto un uomo aveva perso la sua fonte di reddito, anche se se lo era meritato!
Nina si avvicinò alla sua scrivania e l’abbracciò.
“Sei tornata,” disse gentilmente. “Te l’avevo detto che erano tutti felici di rivederti!”
Denise, una degli scrittori junior con cui Keira non aveva mai scambiato più di due parole in passato, accorse da lei e la strinse in un abbraccio. Keira ne fu sorpresa.
“Oh. Uhm, ehi,” la salutò goffamente.
“Volevo solo dirti grazie,” esclamò Denise. “Ero sul punto di licenziarmi per colpa di Joshua. Mi aveva fatto credere di essere inutile, che non ero capace di scrivere e non avevo alcun talento. Stavo per smettere del tutto di fare del giornalismo. Ma grazie a te sono ancora qui e tutto sta andando mille volte meglio di prima.”
“Non c’è di che,” rispose Keira, con un certo orgoglio. Tenere testa a Joshua non era stato facile, ma ne era valsa la pena, e aveva aiutato più gente di quanto avesse pensato. Qualsiasi residuo del senso di colpa che aveva provato per via di ciò che aveva fatto svanì quando vide che impatto aveva avuto su tutto lo staff. Josh era un uomo adulto, responsabile delle proprie azioni. Nessuno lo aveva costretto a comportarsi da bastardo con tutti quelli che lo circondavano. Si era praticamente licenziato da solo, e Keira era solo stata il catalizzatore.
Provando un’ondata di sicurezza in sé per la prima volta da quando Shane le aveva spezzato il cuore, Keira si diresse verso la propria scrivania, pronta a rigettarsi nel lavoro. Era lì che dava il suo meglio, dopo tutto. Anche se la sua vita amorosa era andata in pezzi, la sua carriera stava decollando e lei l’avrebbe sfruttata nel modo migliore.
Ma quando ebbe raggiunto la sua postazione, vide che nessuna delle sue cose era lì. La foto incorniciata di sua madre e di Bryn era svanita, insieme al suo mini cactus, il tappetino del mouse a pois che la sua amica Shelby le aveva dato come regalo per la laurea, e la tazza a forma di gatto che l’altra sua migliore amica, Maxine, le aveva regalato l’anno prima. Sperò disperatamente che non fossero state gettate via per sbaglio. Erano piccole cianfrusaglie, essenzialmente prive di valore, ma per lei significavano molto.
Si guardò intorno, preoccupata. Fu a quel punto che notò Elliot che le si avvicinava a grandi passi.
L’uomo si fermò, torreggiando su di lei con il suo metro e ottanta di altezza, e le strinse la mano. “Bentornata. Ti ho trasferita nell’ufficio d’angolo, spero che vada bene.”
“Ho un ufficio?” ripeté lei, con tono incredulo.
“Certamente,” rispose Elliot. “Ora sei una scrittrice senior. Tutti i senior hanno un ufficio.”
Le fece cenno di seguirlo. Mentre Keira attraversava l’ufficio, colse un’occhiata di Nina. L’amica le strizzò l’occhio. Doveva averlo sempre saputo.
Si fermarono davanti alla porta aperta di un piccolo ufficio in angolo. Il nome di Keira era stato inciso su una targa dorata avvitata sopra. I suoi oggetti preferiti erano stati sistemati sulla scrivania nella stessa posizione in cui erano stati in precedenza, ma quando prima avevano dato alla sua area di lavoro un aspetto gremito, ora sembravano spersi in mezzo all’ampia stanza vuota.