Regno Diviso - Джек Марс 4 стр.


Il primo scalatore era ancora vivo, e ancora una volta si faceva strada verso la cima. Altri due erano passati dal motoscafo alla scaletta argentata.

“Ancora!” urlò Eddie. “Voglio altri uomini sulla nave.”

Diavolo, ci sarebbe andato lui. Vedere i suoi uccisi gli aveva attizzato il sangue nelle vene. Urlò al pilota di avvicinare la nave. Il primo motoscafo si stava già scostando. Mentre il suo si avvicinava, la scala di alluminio della barca cominciò ad allungarsi. Eddie ci fu sopra prima ancora che la nave fosse stata agganciata.

La scala sorse a un angolo di quarantacinque gradi verso il mercantile. Lui la scalò, rapido come un gatto, anche se così traballante sferragliava e tremava. Si udirono altre armi. Guardò alla sua destra. La barca da pesca stava inondando i ponti superiori della nave di fuoco automatico.

“Bene!” urlò. “Fateli a pezzi.”

Eddie aveva quasi raggiunto la pensante scala di metallo di emergenza. Era a poco più di un metro di distanza, in avvicinamento, e poi si allontanava. Coprì la distanza con un balzo, poi si rimise a salire, stavolta dritto in linea verticale.

In meno di un minuto aveva salito altri due piani. Fece un respiro profondo e fece capolino col capo oltre la cima. C’erano tre dei suoi – ancora vivi, lì a tenere quell’angolo del ponte. Benissimo. Potevano portare tutti gli uomini su per di là.

Eddie abbassò lo sguardo. C’erano altri quattro uomini che salivano dietro di lui. Otto combattenti pesantemente armati presto sarebbero stati a bordo, con altri in arrivo. I trafficanti di quella nave probabilmente non avevano mai avuto più di una dozzina di uomini, tanto per cominciare.

Scivolò oltre la ringhiera.

I suoi erano accucciati sull’orlo in cui il passaggio curvava, e gli restituivano lo sguardo. Due contrabbandieri giacevano sulla passerella, a malapena cadaveri, i corpi eviscerati dal fuoco della mitragliatrice.

Eddie li guardò appena. Scuri neri, piccoli, congolesi, probabilmente hutu. Africani sì, ma selvaggi. Eddie Killem Dead era kanuri. Un’eredità di cui essere orgogliosi. Quelli lì erano spazzatura.

“Andiamo,” disse ai suoi. “Finiamo la cosa.”

Aveva un Uzi assicurato alla schiena. Lo prese e svoltò l’angolo. Cinquanta metri avanti, una spruzzata di pallottole mandò in pezzi i muri. La nave da pesca stava ancora mitragliando il fianco del mercantile. Altri due uomini giacevano morti sul passaggio. Oltre c’erano il frastornante cielo azzurro e il mare scuro.

Eddie e i suoi risalirono il passaggio, con gli stivali che producevano un rumore metallico sulla maglia d’acciaio sottostante. La passerella stessa sussultava a ogni passo – pareva che potesse separarsi dalla cornice. Quel mercantile era messo male.

Davanti, da un oblò spuntò fuori un’altra bandiera bianca che si mise a sventolare su un bastoncino. Forse questa era la vera resa, forse no.

Eddie aveva il megafono agganciato alla spalla. Lo abbassò e se lo portò alle labbra. “Gettate fuori le armi!” disse. “Tutte.”

Un AK-47 scivolò fuori dall’oblò successivo. Poi una pistola semiautomatica nove millimetri. Un machete. Un’altra pistola. Sferragliavano con un clangore quando colpivano la passerella.

Eddie fece cenno ai suoi di avanzare.

“Fatelo saltare,” disse.

Il primo prese una granata dalla tasca del giubbotto, tirò la spoletta e la lanciò attraverso l’oblò. Da dentro giunsero urla convulse. Gli uomini di Eddie indietreggiarono. Passò un secondo. Due.

BUUUUM.

Dagli oblò giunse un bagliore rosso e arancio. Adesso dentro c’era qualcuno che urlava. Eddie si portò al primo oblò e ci guardò attraverso. La cabina andava a fuoco. Il pavimento era disseminato di corpi e parti del corpo. Sembravano esserci ancora due uomini vivi. Uno se ne stava in silenzio a respirare pesantemente, col petto che si sollevava. Sarebbe morto presto. L’altro strillava, con occhi da pazzo.

Eddie guardò uno dei suoi e fece il gesto di tagliarsi la gola. Quello annuì e scivolò dentro all’oblò frastagliato. Un attimo dopo, le urla cessarono.

Eddie si mosse rapidamente, scattando su per una serie di scale in ferro. Adesso con sé aveva otto uomini. L’arrembaggio nemico era completo. Nessuno avrebbe tenuto la nave contro di loro. Sorrise al pensiero.

La sua truppa era efficiente, cavoli. Assassini.

Arrivarono alla timoniera, che era tutta finestre. Dentro c’erano tre uomini. Eddie riuscì a guardare dentro e a vederli chiaramente. Non provarono neanche a tenere fuori Eddie e i suoi. A che sarebbe servito?

Eddie si limitò ad aprire la porta e a entrare.

Gli uomini erano piccoli e di mezza età, ciascuno con addosso un’uniforme marrone chiaro. Sembravano agenti governativi di un qualche tipo. Che barzelletta. Erano trafficanti che veleggiavano con un vecchio mercantile decrepito indossando uniformi rubate o finte. La maggior parte dell’attrezzatura della timoniera sembrava scassata, inutile. Eddie sorrise agli uomini.

“Chi è il capitano?”

I tre lo fissarono, incerti.

“Ditemelo o uccido tutti e tre.”

Quello in mezzo, il più piccolo e il più vecchio dei tre, annuì. Era assolutamente calvo. Aveva mani larghe e la pelle nero scuro. Aveva la faccia profondamente rugosa. “Sono io il capitano.”

Eddie annuì. Guardò i suoi.

Risuonarono due colpi, e gli uomini accanto al capitano si afflosciarono istantaneamente a terra, entrambi morti prima di toccare il pavimento.

L’odore di polvere da sparo sorse nella stanza.

“Dove sono i diamanti?” disse adesso Eddie.

Il capitano era calmo. Sembrava appena sorpreso della morte che lo circondava. A vedersi, era in vita e in mare da molto tempo. Probabilmente era abituato a questo genere di cose. Abbassò le mani e scosse la testa.

“Non ci sono diamanti.”

“Niente diamanti?” disse Eddie con il sorriso più ampio che mai. “Ne sei sicuro?”

“Sì. Non c’è niente che potete volere voi.”

“E perché avete combattuto? Che cosa cercavate di proteggere?”

Il capitano fece spallucce. “Noi stessi. Perché voi siete sporchi pirati nigeriani. Sapevamo che ci avreste massacrati se aveste catturato la nave.”

“Che c’è a bordo?” disse Eddie. “Di sicuro qualcosa c’è.”

“Lo ripeterò,” disse il capitano. “Non c’è niente che volete voi. E sareste più felici se la lasciaste dove l’avete trovata. Ve lo assicuro.”

Eddie rise. “Allora qualcosa di importante. Fammi vedere.”

Scesero sotto ai ponti. Il capitano accompagnò Eddie e i suoi da una stiva vuota all’altra, scendendo sempre più nelle viscere della nave. Non c’erano segni di vita, nemmeno topi. Non c’erano neanche segni di merci – solo buie e arrugginite stive vuote e ripulite.

Alla fine entrarono in uno stanzone. Nell’oscurità si profilava un’alta mole. Gli uomini di Eddie non ebbero bisogno di farsi dire che cosa fare. Ci piazzarono su le torce.

Mentre si avvicinavano, la cosa divenne più chiara. Era un ampio box d’acciaio, color canna di fucile. I margini erano saldati insieme. Non era chiaro come si aprisse, oltre forse a tagliarlo con una fiamma ossidrica. C’erano dei segni in cirillico all’esterno – CCCP. Interessante. Le iniziali della vecchia Unione Sovietica. Voleva dire che quel coso vagabondava da più di vent’anni. Torreggiava sopra le loro teste.

“Cos’è?” disse piano Eddie, con la voce che echeggiava per la stiva cavernosa. “Un’arma?”

“Non lo so,” disse il capitano.

Eddie lo guardò severamente. “Non sai che cos’è?”

Scosse la testa. “Sapere non è il mio lavoro. Non sono affari miei.”

Quel coso aveva fatto uccidere tutti sulla nave, e ben presto avrebbe fatto uccidere anche lui. Però non erano affari suoi.

“Chi è il tuo cliente?”

L’uomo lo fissò torvo, forse immaginando la tortura che avrebbe patito finché non avesse risposto in modo soddisfacente.

“Se te lo dico mi uccidono.”

Eddie fece spallucce. “Sì, ma se non me lo dici…”

“Anche tu mi uccidi.”

“Ho ucciso tutti i tuoi uomini,” disse Eddie. “Tu sei vivo solo perché lo dico io. La tua sola speranza è dirmelo. Magari riesci a evitare il cliente. Magari per un pochino, magari per sempre. Ma evitare me? Per questo è troppo tardi.”

“Ti attirerai la morte se te lo dico.”

Eddie sorrise. Quante volte se l’era attirata?

“Dimmelo lo stesso.”

CAPITOLO CINQUE

6:51 ora della costa orientale

Quartier generale dello Special Response Team

McLean, Virginia

Neanche le sette e c’era una mezza dozzina di auto private nel parcheggio, insieme ai quattro SUV neri dell’agenzia. Era già stata spalata la neve una volta, e fuori c’era un guardiano a sgombrare i passaggi.

Questo piaceva vedere a Luke – gente in anticipo sul gioco. Tecnicamente, non aprivano che alle nove.

Portò il documento identificativo allo scanner e i grandi portoni di vetro si aprirono. Uscì dalla neve che soffiava ed entrò nell’atrio principale. Era aperto e arioso, con alti bambù ad allungarsi in alto di tre piani. Era tutto nuovo e bellissimo e altamente tecnologico. Una cascata di pietra accoglieva la gente all’ingresso, con un messaggio intagliato di Abramo Lincoln: Coloro i quali sono pronti a sacrificare la libertà per la sicurezza alla fine perderanno entrambe.

A Stone pareva che Lincoln parlasse a lui personalmente. Un’agenzia come lo Special Response Team era stata ideata per l’azione rapida, talvolta sciolta dalla burocrazia, dalle direttive e dalle leggi che rallentavano gli altri. L’obiettivo era la sicurezza, ovvio, la protezione degli innocenti, ma ci doveva essere un equilibrio – non facevano legge a sé. Era importante ricordarlo.

Si guardò attorno nella lobby prima di recarsi nel suo ufficio. Difficile a credersi. Mi sono dato un pizzicotto per essere sicuro di non sognare. Non era così che diceva a volte la gente? A Stone cose così non piacevano, i modi di dire, ma in questo caso era vero.

Il nuovo quartier generale dell’SRT era il vecchio quartier generale di anni prima ma sventrato, spogliato fino all’ultimo bullone e totalmente trasformato. Dall’esterno il tozzo edificio a tre piani di vetro e cemento sembrava assolutamente scialbo e funzionale, come l’edificio di un’università statale degli anni Settanta o un vecchio condominio russo dell’era di Chruščëv.

Ma il nuovissimo elicottero Bell 430 nero curvo sull’elisuperficie con il logo dell’SRT bianco brillante sul fianco poteva dare un barlume di quello che si sarebbe trovato all’interno dell’edificio. C’erano uffici al pianterreno e al secondo piano, e una sala conferenze e un centro di comando all’avanguardia quasi a livello della sala operativa della Casa Bianca.

Aveva ogni innovazione tecnologica scaturita dai più fervidi sogni di Mark Swann – incluso un vivaio di server personali, una rete criptata da cui Swann poteva avere accesso facilmente a satelliti spia e programmi di sorveglianza dati come ECHELON e una stanzina apposita per il pilotaggio di droni. La palestra (completa di attrezzatura cardio, macchine per la pesistica e una sala di allentamento abbondantemente insonorizzata) e la mensa si trovavano al secondo piano. Il poligono di tiro insonorizzato era nel seminterrato.

L’agenzia aveva venti impiegati, le dimensioni perfette per rispondere rapidamente agli eventi in corso, leggera e con totale flessibilità. Il nuovo SRT stava vivendo la sua infanzia, e stavano ancora costruendo squadre ed erano ancora al lavoro per indurre le star a lasciare organizzazioni private, altre agenzie governative e l’esercito.

Scorporato dall’FBI e ora organizzato come subagenzia dei servizi segreti, l’organizzazione limitava le interazioni di Luke con la burocrazia federale. Faceva rapporto direttamente alla presidente degli Stati Uniti, cosa che al momento pareva funzionare benissimo.

Trudy Wellington fece capolino col capo fuori dal suo ufficio al passaggio di Luke. Sedeva sulla sedia da ufficio e l’aveva fatta ruotare fino alla soglia.

“Luke, ho una cosa per te.”

Lui abbassò lo sguardo su di lei e finse una reazione a scoppio ritardato. “Ma non ce l’hai una casa?”

Sorrise e scosse la testa. “Lo sai dov’è casa mia.”

Trudy era la sua analista dati dell’intelligence, e aveva l’ufficio a tre metri dal suo. Trudy era snella e bella come non mai con un caldissimo cappotto di lana verde e blue jeans. Aveva eliminato i grossi occhiali rotondi dalla montatura rossa che la facevano sembrare un gufo e dietro cui si nascondeva. Adesso i suoi begli occhi azzurri erano in primo piano. Quegli occhi davano sempre l’idea di osservare Luke con attenzione.

Trudy era un mistero avvolto in un enigma. Per anni Luke aveva fatto affidamento su di lei per dati e creazione di scenari. Ma le cose si erano complicate. Dopo il disastro di Mount Weather, dopo che il capo dell’SRT originale, Don Morris, era rimasto implicato in un complotto per rovesciare gli Stati Uniti, era venuto fuori che Trudy aveva avuto una lunga relazione con lui. Era stata arrestata e incarcerata senza rilascio su cauzione perché sospettata di cospirazione in tradimento. Ciò sarebbe dovuto bastare per squalificare chiunque dal lavorare ancora nell’intelligence. Ancora peggio, dopo essere uscita di prigione, era scomparsa. Dei luoghi in cui aveva vissuto nell’anno della sua latitanza si rifiutava di parlare. Le cose erano complicate.

Comunque Luke l’aveva assunta per lavorare nel nuovo SRT lo stesso. Trudy e Luke avevano avuto un breve flirt durante la crisi dell’ebola, cosa di cui non parlavano mai e che sembravano essersi gettati alle spalle. E Trudy era preziosa per la sua capacità di raccogliere informazioni e ricavarne un senso. Era, per Luke, la migliore nel lavoro.

“Ok,” disse Luke. “Cos’hai per me?”

“È qualcosa da parte di Swann.”

“Swann è qui?” disse Luke.

Scosse la testa. “Certo che no. Sono le sette del mattino. Ma è sveglio e me l’ha mandato pochi minuti fa. Come sai, abbiamo una breve lista di persone che teniamo sotto controllo. Una di queste è un uomo che si chiama Mustafa Boudiaf.”

Trudy si voltò verso il suo ufficio e raccolse il tablet dalla scrivania. Luke la seguì sull’uscio. Lei scorse alcune informazioni.

“Mustafa Boudiaf,” disse. “Vive a Baltimora. Sessantatré anni, cittadino americano, nato in Algeria durante la guerra d’indipendenza algerina. È venuto nel nostro paese quando aveva nove anni. Ha trascorro buona parte dell’infanzia ad Algeri e ha assistito alle atrocità commesse sia dai francesi che dall’FLN.”

“Come facciamo a saperlo?” disse Luke.

Trudy scrollò le spalle. “Ascoltiamo le sue conversazioni telefoniche.”

Luke annuì. “Ok.”

“Boudiaf pare essere un finanziatore dei movimenti islamici estremisti del Nordafrica. Swann ha tracciato il movimento di grosse somme di criptovalute nel dark web, e con minore estensione per popolari piattaforme di commercio di valute digitali come Coinbase. Sono piattaforme prive di regolamentazione, ma abbastanza facili da tenere sotto controllo.”

“Qual è la sua copertura?”

“Fa l’autista Uber, lavora soprattutto di notte, spesso tardi. Crediamo che incontri donatori e altra gente della sua rete fingendo di far salire passeggeri. Una volta in auto, sono liberi di parlare per tutta la durata del viaggio. Swann lo ha tracciato e l’ha visto raccogliere passeggeri fino a Philadelphia, nel New Jersey settentrionale e New York. Arriva regolarmente a Washington DC così come a Norfolk.”

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