Regno Diviso - Джек Марс 5 стр.


“Ottimo,” disse Luke. “Abbocco. Perché oggi ce l’abbiamo sul radar?”

Trudy sollevò un indice.

“Stamattina, alle quattro e dodici, pochi minuti dopo lo schianto dell’aereo nel Sinai, Boudiaf ha risposto a una telefonata. Swann ha detto di non essere stato in grado di tracciarla, ma veniva da fuori degli Stati Uniti. L’uomo che ha chiamato ha parlato in arabo. È stato breve. Ha detto una frase che tradotta significa Fatto. Poi ha riappeso.”

“Interessante,” disse Luke. “Ma probabilmente da solo non basta.”

“Questa è una cosa,” disse Trudy. “La seconda è che Mustafa Boudiaf si sta preparando a lasciare il paese. Tre giorni fa un furgone dei traslochi ha accostato a casa sua, a Baltimora. Gli operai hanno portato fuori di casa un sacco di mobili, scatoloni e attrezzature elettroniche e sono partiti con la roba. Invece di portarla in un’altra casa, l’hanno portata in un magazzino – un magazzino fuori Harrisburg, Pennsylvania.”

“Curioso,” disse Luke.

“Swann dice che due sere fa Boudiaf ha acquistato biglietti d’aereo di sola andata per sé e la sua famiglia per Algeri. Il volo parte domani sera dal JFK, presumendo che la tempesta di neve si attenui. La casa in cui vive è in affitto. Tra pochissimo Mustafa Boudiaf sarà scomparso, e sarà come se non fosse mai stato qui.”

“Che ti dice la pancia?”

Trudy annuì. “È coinvolto nell’abbattimento dell’aereo. Forse di pochissimo, forse di molto. Come minimo sapeva in anticipo dell’attentato. E ora sta per partire.”

“Sono appena stato alla Casa Bianca.”

Gli occhi di Trudy lampeggiarono… per qualcosa. Luke non sapeva che cosa.

“Una riunione in sala operativa. C’era un generale del Joint Special Operations Command. Lui ha detto che pensano che lo schianto aereo sia il preludio di qualcosa di più grosso, e forse persino un diversivo. Può essere che Boudiaf parta perché il prossimo attentato avverrà qui?”

“Non ti piacerebbe saperlo?”

Luke annuì. “Recuperiamolo. Possiamo farci aiutare dalle forze dell’ordine locali?”

Trudy scosse la testa. I capelli le si agitarono leggermente. “Impossibile. Troppo rischioso. Il dipartimento di polizia di Baltimora al momento sta cercando di sopravvivere a molta cattiva pubblicità. Assurdo che ci diano un mandato di arresto sulla base di quello che abbiamo, soprattutto con un preavviso di un attimo. Quindi la polizia di lì qui non ci metterà le mani – è esattamente il tipo di cosa che, se giocata male, pare una violazione dei diritti umani.”

“Be’, allora giochiamocela bene. Quante persone ci sono in casa di Boudiaf?”

“Sette.”

A Luke crollarono le spalle. “Sette persone?”

Trudy annuì e sollevò le sopracciglia. “Boudiaf ha una moglie giovane e una figlia di cinque anni. Ha un figlio adulto avuto da un matrimonio precedente, che vive in casa con sua moglie e suo figlio piccolo. E lì vive anche il nipote adulto di Boudiaf.”

“Quindi nella casa vivono due bambini?”

“Sì, e probabilmente oggi saranno a casa per via della neve.”

Luke alzò gli occhi al cielo. “Fantastico. In più altri due maschi adulti.”

“Sì,” disse Trudy.

“Cosa presumiamo che stia facendo adesso Boudiaf?”

“Dati gli orari che tende ad avere, presumiamo che stia dormendo.”

“Allora andiamo. Se non ti spiace, da’ a Swann un calcio nel culo da parte mia e fallo venire qui.”

* * *

“Un bello sforzo adesso. Un bello sforzo. Adesso è ora, e tocca a te.”

Ed Newsam giaceva sulla schiena sotto alla panca piana. Aveva le gambe come tronchi avvolte in pantaloni della tuta neri e sull’ampio petto una t-shirt nera tutta tirata. Le parole erano stampate sulla maglietta in lettere bianche: BOTTE E ANCORA BOTTE. Una volta il detto era ‘Botte e ancora botte finché non ti migliora l’umore’, ma l’umore di Ed era a posto così.

Il suo MP3 sparava vecchi pezzi dei Public Enemy in vecchie cuffie. Aveva il corpo zuppo del sudore del primo mattino – si trovava lì dalle sei e mezza. E aveva sistemato la panca piana sui centosettanta. Una sola ripetizione buona era tutto quello che chiedeva. Meglio che buona – pura, perfetta, nessuna esitazione nel sollevamento e una bella, lunga, resistenza negativa per scendere. Roba da fargli esplodere il sudore fuori dai pori.

“Mostrami quello che hai,” disse a nessuno tranne che a se stesso, e spinse la sbarra. Il peso scivolò verso l’alto, centimetro dopo centimetro. Lo tenne per un secondo in cima, poi cominciò la lenta discesa. Le braccia gli tremavano in modo assurdo. I polsi scrocchiavano come se si stessero per spezzare a metà. Le vene delle braccia sporgevano. Sentiva il sangue salirgli alla testa – pareva che gli potesse esplodere il cervello.

Finalmente, lasciò andare – il peso atterrò con uno schianto metallico.

Bellissimo.

Ed stava cambiando stile di vita. Il recente viaggio in Iran fatto con Luke Stone lo aveva spaventato un po’. Lui e Stone erano quasi morti una mezza dozzina di volte. Ed non voleva morire – voleva vivere per veder crescere le sue due figlie. Ma aveva trentasei anni, e non stava certo ringiovanendo. Non lo aveva detto a nessuno, ma la verità era lì: in quella missione si era sentito vecchio e lento.

Eppure, non voleva smettere di lavorare sul campo. Durante il periodo alla squadra Recupero ostaggi dell’FBI, avevano cominciato a usarlo come allenatore e supervisore invece che come agente e operativo. Brutta piega.

Questa… questa era la piega giusta.

Subito dopo le vacanze aveva ridotto, e poi eliminato, pane e pasta e torte di mele e biscotti. Aveva rotto col suo primo vero amore, McDonald – non parlavano più la stessa lingua. E si era impegnato a recarsi in palestra prima del lavoro almeno tre giorni a settimana. I suoi allenamenti erano sempre stati brutali. Adesso si stavano avvicinando alla mostruosità.

Adorava stare lì.

Adorava essere di nuovo allo Special Response Team, e adorava quello che avevano fatto col vecchio posto sotto la leadership di Stone. La palestra era nuova di pacca e c’era tutto ciò di cui aveva bisogno, dalle corde da combattimento alle sbarre per trazioni a una macchina per gli squat da centottanta chili a un sacco da boxe. Se arrivava abbastanza presto, spesso il posto era tutto suo.

L’energia del nuovo SRT faceva provare a Ed un entusiasmo che non sentiva da un po’. E Stone sembrava stracontento come lui. Erano spariti la barba e i capelli da macho dandy. Erano spariti gli occhi spiritati e le espressioni sofferenti.

Luke non si era mai lasciato andare fisicamente – era sempre al massimo in quel frangente, meglio di quanto un uomo avesse diritto di aspettarsi una volta passati i quaranta. La sua resistenza all’invecchiamento fisico sembrava quasi sovrumana. Ma la fine del matrimonio, il divorzio e poi la morte dell’ex moglie lo avevano ficcato in un deserto psicologico, e per un po’ era sembrato che potesse non fare più ritorno.

Però adesso era tornato. E andava a fuoco. Era un bene. L’impegno di Stone dava a Ed la fiducia di cui aveva bisogno per impegnarsi nell’organizzazione. L’SRT non sarebbe sopravvissuto senza uno Stone concentrato al cento per cento, e questo era Stone adesso. Quando Ed aveva accettato il lavoro, Stone gli aveva promesso che non sarebbe sparito di nuovo dai radar, e finora aveva tenuto fede alla parola.

“Pensi al diavolo…,” disse Ed.

Stone era appena entrato in palestra. Attraversò a grandi falcate la nuova pavimentazione di gomma puntando dritto a Ed. Stone si era appena fatto la barba ed esibiva un taglio a spazzola. Aveva gli occhi svegli e in allerta. Indossava pantaloni marrone chiaro e una camicia chiusa da una cravatta vera. La cravatta aveva su una caricatura di John Lennon – Stone stava persino sviluppando uno stile personale. Indossava abiti formali al lavoro, ma le cravatte spesso erano estrose, e a volte chiaramente ridicole.

Stone sorrise e gli disse qualcosa.

Ed si tolse le cuffie. “Prego? Non ti ho sentito.”

Stone scosse la testa. “Ho detto, cosa strilli?”

Ed fece una smorfia. “No che non l’hai detto.”

Stone rise. “Dai, bello. Ti offro un caffè? Abbiamo molto di cui parlare.”

* * *

“Come stanno le ragazze?” disse Luke.

Si erano accomodati alla mensa a pieno servizio, due pasti al giorno, dell’SRT. Era stata un’idea di Luke – gli pareva che avere i pasti disponibili sul posto avrebbe fatto venire le persone al lavoro prima al mattino, e che le avrebbe tenute lì a pranzo. Se la gente si trovava all’interno del quartier generale dell’SRT quando mangiava, e persino quando faceva ginnastica, potevano accadere cose – potevano scintillare idee, crearsi collegamenti. Era questo che Luke voleva dai suoi.

Finora l’idea funzionava esattamente come da programma. Oggi era una giornata di nevicate, ed erano solo le sette e mezza. E comunque la sala era già un andirivieni di sgobboni che facevano colazione.

Ed fece spallucce. “Bene. Crescono troppo in fretta.” Era stravaccato sulla sedia, ancora con la tuta, a mescolare olio di cocco biologico nel caffè al posto della panna.

“Cassandra mi fa fare i salti mortali per vederle, ma non è una novità. Nulla che non possa gestire. Ha presentato una mozione al tribunale per costringermi a rivelare dove mi trovo in qualsiasi momento. Io ho detto che spesso si tratta di informazioni secretate, e per fortuna il giudice su questo è stato dalla mia parte.

“Poi Cassandra durante le vacanze di Natale ha preso e si è trasferita nella periferia a sud di Richmond. Afferma che laggiù le scuole sono migliori, più sicure, e probabilmente è vero. Però alle ragazze non fa bene spostarsi continuamente così. In più, non è che a me sia indifferente che il giudice le abbia detto non lasciare la Virginia; si è trasferita il più lontano possibile pur rimanendo nello stato. Mi facevo un viaggetto di venti miglia per vedere le ragazze, e adesso sono più di duecento.”

“Cassandra è una donna bellissima,” disse Luke. Mai dette parole più vere. L’ex moglie di Ed era alta e statuaria. Era come se Naomi Campbell non fosse mai stata scoperta, non fosse mai diventata una top model, e Ed se la fosse sposata. E ci avesse avuto dei figli insieme.

Per poi divorziare.

Adesso Ed sorrise. “È così che ti fanno finire in trappola.”

“È la cosa più naturale del mondo,” disse Luke.

“È così dall’inizio dei tempi,” disse Ed. “Ma immagino che non mi hai interrotto l’allenamento per discutere dei calvari nelle relazioni tra uomini e donne.”

Luke scosse la testa. “No. Hai sentito dello schianto aereo che c’è stato in Egitto?”

“Come avrei potuto non sentire niente?” disse Ed. “Però non hanno detto molto. Si può perdonare allo spettatore medio di pensare che si sia trattato di un normale schianto aereo. Solo una di quelle disgrazie che a volte succedono.”

“Non lo è stato,” disse Luke bevendo il caffè nero.

Ed sorrise. “Dimmi qualcosa che non so.”

“Stamattina sono stato alla Casa Bianca.”

Adesso il sorriso gli andava quasi da un orecchio all’altro. “Ho detto, dimmi qualcosa che non so.”

“C’è stata una riunione di emergenza,” disse Luke. “Kurt Kimball pensa che l’aereo sia stato abbattuto da un attacco tramite razzi che nello specifico aveva come obiettivo Marshall Dennis. Stava per aprire un hotel sul Mar Rosso.”

Ed fissò il suo caffè, pensandoci su. Gli si oscurò il volto. Continuava a mescolare l’olio di cocco.

“Ok.”

“Alla riunione c’era il generale Loomis.”

“Frank Loomis?” disse Ed. “JSOC?”

“Lo conosci?”

Ed scrollò le spalle. “Una volta gli sono stato prestato dalla Delta. L’operazione è andata peggio che poteva. Ha quasi fatto ammazzare un po’ di noi. Un giorno te lo racconterò.”

Luke annuì. “Stamattina faceva lo schivo. Ha detto che i suoi dell’intelligence gli hanno detto che l’attentato è stato un diversivo, una copertura per qualcosa di più grosso. Quando la presidente lo ha incalzato per sapere come facesse a dirlo, o quale potrebbe essere il prossimo attacco, lui ha detto che…”

Ed finì la frase per lui. “Non aveva la libertà di discuterne.”

“Esatto,” disse Luke.

“Allora noi qui che ruolo abbiamo?”

“C’è un tizio a Baltimora. Trudy e Swann pensano che sia sporco, e che stia per scappare dalla città. Vorrei beccarlo oggi prima che scompaia. Vedere che cos’ha da dire. Non otterremo mai un mandato di arresto, almeno non con breve preavviso, quindi…”

Ed sorrise. “Vuoi che ci vada io, a prenderlo?”

Luke scrollò le spalle. “Direi che dovrebbe farlo una squadra di sei persone. Parti con un paio dei tuoi migliori per assicurarti che vada tutto a buon fine. Però portati anche un paio dei tuoi novellini. Mi piacerebbe vederli in azione, vedere che cosa abbiamo davanti.”

“La situazione com’è?” disse Ed.

“È una casa. I dettagli ce li ha Swann. Ci sono due donne e due bambini. Tre maschi adulti. Tutto ciò che vogliamo è il soggetto, che ha passato i sessanta. Io direi entrata turbolenta, azione rapida, lo beccate e lo portate fuori. Cercate di non rompere niente.”

“In altre parole,” disse Ed, “non uccidete nessuno.”

Luke annuì. “Esatto.”

“Sei proprio delicato,” disse Ed.

Luke sorrise. “Ci provo.”

“Ok. Consideralo fatto.”

CAPITOLO SEI

8:40 ora della costa orientale

Westgate

Baltimora, Maryland

“Vedi il posto?” disse Ed nel microfono.

La profonda voce gutturale di Mark Swann si fece sentire nella cuffia. “Vuoi dire in tempo reale?”

Ed scosse la testa. “No, voglio dire nel 1978. Sì, in tempo reale, Swann.”

“Certo che no. Non vedo niente. Oggi non ho un drone in volo, e anche se potessi metterne su uno, le nuvole sono troppo basse. Tutto ciò che vedo viene dalle telecamere che avete addosso.”

“Quindi non vedi che cosa succede sul retro.”

“No, non al momento. Ma tu hai la mappa aerea, no? E la pianta?”

Ed sospirò. “Sì.” Sarebbero entrati alla cieca.

“Allora dovresti essere a posto.”

Ed sedeva sul retro di un furgone bianco parcheggiato in strada a trenta metri dalla casa in cui viveva Mustafa Boudiaf. Il mezzo aveva su un logo arancione, giallo e verde della SMECO, con nel mezzo un lampo. SMECO era l’acronimo di Southern Maryland Electrical Cooperative, un’azienda elettrica che quella zona non la serviva nemmeno.

Nel furgone con lui c’erano tre persone, i membri della sua squadra. Erano vestiti come lui – maglie di lana nere a maniche lunghe, pesanti giubbotti tattici e pantaloni cargo foderati di un Dragon Skin leggero. Sopra ai giubbotti tattici c’erano giubbotti gialli riflettenti con il logo della SMECO – proprio come quelli che indosserebbero operai usciti per sistemare un’interruzione elettrica in una giornata nevosa. Sulla testa avevano caschi bianchi da combattimento con maschere a cerniera, attualmente tirate su. Una persona non certa di quello che stava guardando avrebbe potuto immaginare che i caschi fossero elmetti protettivi.

Ed lanciò un’occhiata fuori dal lunotto. Era un quartiere relativamente benestante. La casa era di stucco marrone chiaro, anonima, a due piani, situata lontana dalla strada, oltre un ampio prato. Un bovindo dava sulla strada, accanto a un portone rosso. Sul lato destro c’era un vialetto con sul davanti una Town Car nera della Lincoln e forse una specie di Toyota dietro. Sul lato sinistro c’era uno stretto viale tra le proprietà. Una lunga siepe costeggiava il marciapiede davanti.

Tutto – la siepe, i due alberi sul prato anteriore – era marrone e spoglio. La neve scendeva piuttosto fitta.

Ed era calmo. Guardò i suoi.

Due erano giovani, al massimo venticinquenni. Rodriguez e Stamos. Ed aveva insegnato alla Rodriguez a Quantico – era tra i suoi migliori studenti. Era la persona più in forma lì, poteva fare più pull-up dello stesso Ed. Poteva correre un miglio in cinque minuti per poi fare cento push up e un altro miglio in cinque minuti. Inoltre era seria – seria da morire. Forse un po’ troppo. Voleva disperatamente mettersi alla prova.

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