Folgorazione - Блейк Пирс 6 стр.


Heidi Wright! Riley realizzò con orrore.

Riley aveva ucciso Heidi Wright all’inizio dell’anno nello stato di New York.

E ora la stava uccidendo di nuovo …


Riley si svegliò con un sussulto, per poi ritrovarsi nella cabina dell’aereo.

“Qualcosa non va?” l’Agente Johnson le chiese, ancora seduto direttamente di fronte a lei.

“No” Riley rispose.

Ma c’era qualcosa che proprio non andava. Aveva appena fatto un sogno, rivivendo in parte la prima e unica esperienza in cui era stata costretta a uccidere. A gennaio, durante il corso di una sparatoria, una ragazza di nome Heidi Wright aveva sollevato la sua pistola per sparare a Riley, a pochi metri di distanza.

Riley non aveva avuto altra scelta che sparare per prima.

Lo sparo era stato legittimo, e nessuno lo aveva messo in dubbio. Nondimeno, Riley era stata perseguitata dal senso di colpa per settimane in seguito all’accaduto. A suo modo di vedere le cose, la povera Heidi Wright era stata una vittima delle circostanze, che non aveva meritato di morire per via di alcune scelte giovanili sbagliate.

Riley pensava di aver risolto il trauma tramite un terapeuta del BAU. Ma, apparentemente, la stava ancora tormentando nel profondo. Riley immaginava che la sua agitazione relativa al verdetto del processo di Larry Mullins avesse accresciuto questo recente trauma.

Ma non poteva permettere che avesse la meglio su di lei. Non ora che era su un nuovo caso con un nuovo partner, che sicuramente non avrebbe compreso il suo stato d’animo nei confronti della morte di Heidi Wright o del verdetto Mullins.

Affrontalo e basta, Riley si disse.

Ora Riley era del tutto sveglia, e l’aereo stava sorvolando gli Appalachi nello Utah. Sebbene in quel periodo dell’anno ci fosse solo un accenno di neve, se non sui picchi dei monti, il terreno le riportò alla mente i ricordi dell’ultima volta in cui era stata in quello stato, soltanto il dicembre precedente. Ci era stata insieme a Crivaro, a lavorare al suo primo caso in quanto agente del BAU a pieno titolo.

Questo caso si sarebbe rivelato altrettanto orribile quanto quello che avevano risolto allora,  un serial killer che pedinava le persone nei campeggi? Non sembrava impossibile, dato il metodo in cui erano stati eseguiti gli omicidi. Ma forse, stavolta, avrebbero fermato il killer prima che causasse ulteriori vittime.

E forse almeno il tempo sarà più bello, pensò.

Quando l’aereo si fermò sulla pista, Riley notò che c’era un’ulteriore questione che la stava tormentando. Era abituata a lavorare con un uomo che la chiamava “Riley”, mentre lei lo aveva sempre chiamato “Agente Crivaro”, almeno fino a quella mattina. Era stato perfettamente naturale per entrambi.

Che tipo di formalità doveva aspettarsi dal suo nuovo partner?

Appena lei e Johnson si alzarono dai loro sedili, diretti all’uscita, lei gli disse: “Voglio solo chiarire una cosa tra noi, prima che iniziamo a lavorare insieme.”

“Di cosa si tratta?” Johnson chiese, indossando il suo soprabito.

“Come dovremmo chiamarci?”

Johnson fece spallucce e rispose: “Beh, mi piace mantenere le cose professionali. Ecco, preferirei che si rivolgesse a me come Agente Johnson. Come vuole che la chiami?”

Riley apprezzò che le stesse dando una scelta. A differenza di Crivaro, dubitava che avrebbe considerato quest’uomo una sorta di mentore. Sicuramente non voleva che la chiamasse semplicemente “Riley”.

Lei rispose: “Vorrei che mi chiamasse Agente Sweeney.”

“OK, allora. D’accordo.”

Appena scesero sulla pista, videro un uomo dalla postura cadente, che fumava una sigaretta, in attesa. Riley pensò che assomigliasse ad un detective dal carattere duro di un vecchio film. Aprì il suo impermeabile sgualcito, e mostrò il suo distintivo.

“Sono lo Sceriffo Collin Dawes” disse loro.

“È stato lei a chiedere l’aiuto del BAU?” Johnson chiese.

Dawes annuì, e Johnson presentò se stesso e Riley.

I due uomini si voltarono e camminarono insieme verso il veicolo dello sceriffo, in attesa.

Johnson disse a Dawes: “Sembra che abbiate una situazione insolita qui.”

“Nulla che abbia mai visto prima” Dawes rispose. “Se non avessimo delle foto, sarebbe difficile persino da descrivere.”

Stando dietro ai due uomini, Riley si sentì stranamente lasciata fuori.

Questa potrebbe diventare la normalità, si disse.

Forse farei meglio ad abituarmici.

CAPITOLO SETTE

Dopo che Riley e Johnson entrarono nel veicolo in attesa dello Sceriffo Dawes, ancora una volta lei dovette soffocare l’impulso di lamentarsi. Trovava alquanto sgradevole restarsene seduta sul retro ad ascoltare i due uomini parlare, come se lei non fosse nemmeno presente, o peggio, come se fosse una bambina esclusa da una conversazione tra adulti. Sebbene si stesse ancora sforzando di adeguarsi al nuovo partner, si obbligò a restare in silenzio ad ascoltare.

Con voce bassa e ringhiante, Dawes commentò: “Pensavo di aver visto gli ultimi casi del genere prima di venire qui nello Utah. Sono qui da cinque anni, e le cose sono rimaste piuttosto ordinarie finora. Mi piacevano così.”

“Dov’era stato prima?” Johnson chiese.

“Los Angeles” Dawes rispose. “Ero un detective della omicidi. Ho visto la mia bella dose di omicidi laggiù, mi creda. Ad ogni modo, la verità è che l’omicidio per folgorazione è una cosa nuova persino per me. Dica che sono all’antica, ma sono abituato a killer che uccidono con coltellate o a colpi di pistola. Immagino che le cose si faranno brutte in questi giorni.”

Riley poteva bene immaginare perché un detective della omicidi volesse allontanarsi da Los Angeles. Dawes si era sicuramente aspettato che lo Utah fosse più tranquillo. Si rese anche conto del fatto che le maniere dure di Dawes non erano un’ostentazione. L’uomo aveva assistito a molti brutti episodi e il suo aspetto lo dimostrava.

Dawes disse a Johnson: “Sembra che lei venga dall’est.”

“Boston” Johnson chiarì.

Dawes lo guardò con sorpresa.

“Boston? E il suo cognome è Johnson? Ehi, penso di aver sentito parlare di lei. Non ha risolto il caso di quel killer stupratore di bambini circa un anno fa?”

“Così pare” Johnson rispose, con un largo sorriso che non appariva esattamente modesto.

“Vorrei sapere come ci è riuscito” Dawes domandò.

Non appena l’agente iniziò a rispondergli, Riley sospettò che probabilmente lo sceriffo si sarebbe pentito di tale richiesta. Sulla base del suo stesso racconto, Johnson sembrava aver messo la sua preda all’angolo sulla base di statistiche, dividendo la città in zone e analizzandole a seconda della presenza di casi ufficiali di molestatori sessuali, fino a quando non aveva astutamente scoperto il vero colpevole.

Lei dovette ammettere che l’utilizzo della matematica per trovare un assassino era una notevole impresa. Ma Riley non poteva fare a meno di chiedersi se Johnson avesse mai dovuto lasciare la propria scrivania per elaborare quell’enorme numero di dati, almeno finché non avesse guidato una squadra di poliziotti a quello che sembrava come un comune arresto di routine.

Non poté fare a meno di paragonare quello che lui aveva fatto con quello che aveva ottenuto lei sul campo. Al confronto, la sua stessa carriera sembrava una sorta di ininterrotti caos, pericolo e profonda confusione. Non riusciva ad immaginare di ottenere ciò che avevano fatto lei e Jake senza andare sul campo, a dare la caccia a quei killer.

Questo tizio sa che cosa significhi sporcarsi le mani? lei si chiese.

Come avrebbe fatto lui se il caso si fosse dimostrato brutto quanto la maggior parte di quelli a cui lei aveva lavorato? Questo nuovo caso sembrava già orrendo quanto il resto.

E, si chiese, come sarebbe riuscita a prendere ordini da un uomo che le sembrava al tempo stesso un sapientone e una recluta inesperta?

Nonostante gli sforzi per prestare attenzione, Riley si ritrovò a deconcentrarsi per il racconto incredibilmente tedioso, dettagliato di Johnson, in merito al suo maggior caso. Si chiese se lo Sceriffo Dawes avrebbe voluto avere questa scelta.

Restare bloccata nel sedile posteriore in realtà ha i suoi vantaggi, pensò sarcasticamente.

Passò il resto del breve viaggio a sud dall’Aeroporto di Provo, fino alla scena del secondo crimine, guardando fuori dal finestrino. L’ampia vallata che oltrepassarono era fiancheggiata da due vaste catene montuose, le cui cime erano innevate. Lei trovò ancora il paesaggio desolato e modesto, rispetto a quello della Virginia, ma non era così cupo quanto era apparso quando era stata lì a dicembre. Non c’era la neve a quell’altitudine, e la temperatura era fresca e piacevole. I boccioli di fiori apparivano ovunque.

Presto, entrarono a Beardsley, una cittadina di grandezza modesta ma elegante, che era posizionata in maniera pittoresca tra i monti e situata vicino ad un lago. Infine, lo sceriffo parcheggiò in un ampio vialetto di fronte ad una casa, grande e di aspetto piuttosto nuovo in stile spagnolo, sul cui lato anteriore c’era un garage per tre auto.

Quando entrarono all’interno, Riley notò un paio di valige sulla porta. Si chiese che cosa ci facessero lì.

Indicando il sistema d’allarme, Johnson chiese: “Come ha fatto l’intruso a superare l’allarme elettronico?”

“Non abbiamo avuto il tempo di verificarlo.”

Johnson osservò attentamente lo strumento.

“Conosco questo sistema” disse. “È piuttosto all’avanguardia. Se qualcuno l’ha hackerato, deve aver avuto una buona conoscenza tecnologica. Non deve essere stato facile. Per quanto riguarda l’altra casa in cui è stata uccisa l’altra vittima?”

“Non aveva un allarme” Dawes rispose. “E nemmeno alcun segno di intrusione. È possibile che entrambe le vittime abbiamo semplicemente fatto entrare il killer.”

Johnson guardò Riley e disse: “Questo suggerisce due possibilità. Il killer è dotato di eccellenti capacità di intrusione, oppure le vittime lo conoscevano e si fidavano di lui.”

Riley trasalì di fronte al tono convinto della sua affermazione, come se fosse giunto ad una conclusione davvero astuta. In quello stadio iniziale di un caso, lei immaginava che ogni cosa avesse numerose spiegazioni possibili, che richiedevano di essere analizzate.

Seguirono Dawes in un corridoio aperto con un alto soffitto. C’era una scala che conduceva di sopra, e una porta sembrava essere un armadio. Da un lato del corridoio, una porta aperta rivelava uno studio. C’era del nastro giallo sulla porta, e una squadra della scientifica era all’interno, intenta a raccogliere le prove.

“L’ufficio della vittima?” Johnson chiese.

“No, quello di sua moglie” lo Sceriffo Dawes rispose. “Ma ci sono segni che sia avvenuta una colluttazione qui dentro, inclusa una lampada da scrivania rotta.”

Indicando dall’ufficio al pavimento, Dawes aggiunse: “Vedete, ci sono dei graffi sul pavimento. Sembra che la vittima sia stata aggredita qui e trascinata fino al seminterrato. Se leggete nel rapporto, la prima vittima è stata apparentemente soggiogata con il cloroformio.”

Johnson annuì e disse: “Esiste una buona possibilità che anche questo sia avvenuto qui.”

Riley non poteva discordare, ma il suo tono continuava ad infastidirla. Avrebbe voluto poter oltrepassare il nastro giallo e provare a percepire cos’avesse provato il killer durante l’aggressione. Ma dubitava che Dawes o Johnson avrebbero apprezzato, e forse per un buon motivo. Interrompere il delicato lavoro della scientifica non era probabilmente una buona idea.

Mentre procedevano all’interno della casa, Riley la trovò molto più raffinata della maggior parte delle case eleganti in cui si era trovata, ma la sembrò anche spaventosamente e scomodamente grande. Dal breve rapporto sul caso che lei e Johnson avevano letto, Riley aveva l’impressione che i Banfield fossero stati una coppia senza figli. Si chiese come mai i due vivessero in tanto spazio.

Dawes li accompagnò in una grande zona aperta, con un soggiorno alla loro destra e una grande stanza da pranzo alla loro sinistra. La brillante luce del sole filtrava dalle grandi finestre.

Non c’era alcun disordine. Ogni cosa sembrava essere al proprio posto. Riley poté dire che le persone che vivevano lì conducessero una vita ordinaria e ben ordinata.

Nel soggiorno, due donne erano sedute su uno dei due divani di pelle color marrone cioccolato. Una delle due si alzò per accoglierli.

Lei disse: “Sono Elaine Bonet, e vivo alla porta accanto. Sono qui per occuparmi un po’ di Sheila. I suoi vicini intendono occuparsi di lei a turno. Non vogliamo che resti da sola.”

Elaine Bonet indossava un completo da jogging, come se avesse appena corso o fatto esercizio fisico. La moglie della vittima era ben vestita al confronto, come se fosse andata o fosse tornata da un evento formale.

Quando Riley ed i colleghi iniziarono a sedersi, qualcosa sul volto della moglie della vittima sembrò a Riley misteriosamente familiare. Era possibile che l’avesse incontrata quando lei e Crivaro erano stati lì a dicembre?

No, non può essere.

Guardandosi intorno, alla ricerca di qualche indizio che confermasse tale familiarità, Riley notò un libro poggiato sul tavolino da caffè con il volto della donna sulla copertina. Poi, comprese subito.

Ma certo! Quella Sheila Banfield!

Era una terapeuta della famiglia, autrice di quel libro, Il Tocco Analogico. Era un bestseller saggistico basato su come allevare figli nell’era digitale. Riley aveva letto alcune brillanti recensioni, ma aveva immaginato di avere molto tempo prima di doversi interessare a testi sulle figure genitoriali. Ora si sentì stranamente imbarazzata, come se dovesse ammettere alla donna che non lo aveva letto.

Realisticamente, sapeva che non c’era alcunché di cui preoccuparsi. Era altamente improbabile che sarebbe stato un argomento di conversazione in tali circostanze. Sheila Banfield aveva altre cose per la testa al momento.

Mentre il volto sulla copertina sembrava raggiante e sorridente, la stessa Sheila appariva scioccata e intorpidita. Quando Dawes portò a termine le presentazioni, la donna disse quasi in un sussurro.

“Il BAU. Bene. Grazie di essere venuti.”

Avvicinandosi, l’Agente Johnson disse: “Siamo terribilmente dispiaciuti per quello che è successo, Dottoressa Banfield. Faremo tutto il possibile per trovare il responsabile.”

Sheila Banfield annuì silenziosamente.

Riley notò che aveva gli occhi che continuavano a guizzare, come se ciò che la circondava le fosse sconosciuto e non avesse idea di come avesse fatto ad arrivare lì. Riley aveva visto questo tipo di reazione tra i familiari in lutto in altre occasioni.

Accanto a Sheila, c’era una scatola di fazzolettini, ma sembrava quasi piena. Sheila non sembrava aver ancora pianto molto, ma Riley sapeva che quella parte doveva ancora arrivare, non appena lo shock avesse iniziato a svanire. Era un bene che avesse delle amiche che l’aiutassero ad affrontare la sua situazione.

Per richiesta di Johnson, Sheila iniziò a fornire la sua versione dei fatti.

“Sono stata nel nord-ovest per alcuni giorni, in giro per autografare il mio libro” disse. Annuì verso il testo ed aggiunse curiosamente: “L’ho, ecco, l’ho scritto io. Forse ne avete sentito parlare. Ho viaggiato molto per promuoverlo. Ero andata via per diversi giorni stavolta.”

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