Gloria Primaria - Джек Марс 4 стр.


“Tracey, per l'amor di Dio, chiamami Clem. O Clemente. O Mr. Magoo. Ma smettila di chiamarmi Signor Presidente. Stai con me diciotto ore al giorno e ho un nome. Usalo, per favore".

Lei era una bellissima bionda. Aveva un taglio a caschetto, molto conservatore. A Clement Dixon sarebbe piaciuto vederla con i capelli lunghi, che le ricadevano sulle spalle, ma quei giorni erano finiti, e comunque, quello che voleva lui non aveva alcuna importanza.

L'aveva incontrata alcune settimane prima a una riunione della Casa Bianca. Era un'aiutante per qualcuno e aveva detto qualcosa di simpatico, forse una battuta di spirito, ma non ricordava cosa. Qualcosa sul prendere le dichiarazioni pubbliche del governo russo alla lettera. L'aveva rimproverata davanti a un gruppo di persone.

Non aveva importanza. Aveva attirato la sua attenzione. E lui aveva teso le antenne.

Era giovane, sui venticinque anni e proveniva da un'importante famiglia del Rhode Island. Possedevano un hotel a Newport o qualcosa del genere. Forse erano i proprietari del Newport Jazz Festival: esisteva un proprietario del Newport Jazz Festival? Ad ogni modo, erano grandi donatori del partito, quindi era lecito pensare che avessero fatto pressioni per sistemarla.

Non gli importava come fosse arrivata a lavorare alla Casa Bianca. Quasi nessuno arrivava alla Casa Bianca per merito, meno che mai Clement Dixon. Quell'ideale dei "migliori e più brillanti" era ormai scomparso da tempo.

Al giorno d'oggi, se provieni da una famiglia importante (preferibilmente una a cui piaceva fare donazioni), sei hai voglia di darti da fare e non ti spaventano le scartoffie, puoi benissimo essere assunto alla Casa Bianca.

Eppure, Tracey era molto intelligente, era piena di energia ed era brava a ricordare le cose. Era attentissima ai dettagli. E portava un po' di freschezza nella vita di Clement Dixon. Una bella ragazza era quello che ci voleva.

La gente era irritata dal fatto che questa bella giovane donna avesse scavalcato tutti gli altri per diventare l'assistente personale del presidente? Certamente sì. Ma a Clement Dixon non importava nemmeno quello. Era troppo vecchio per preoccuparsi degli sguardi rabbiosi di asce da battaglia ormai sotterrate.

Tracey gli piaceva, ed essere simpatica era il cinquantuno per cento del suo lavoro.

La guardò, perplesso, mentre arrossiva.

"Va bene", disse. "Mr.... Magoo? "

Dixon rise. "Buonanotte, Tracey".

Si diresse verso la sua stanza.

All'improvviso, Tracey gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia.

"Buonanotte, Mr. Magoo".

Ora fu Clement Dixon ad arrossire.

Si fissarono per un momento. Ci fu una scintilla. O forse no? La fissò negli occhi azzurri e quasi fece una cosa molto stupida. Quasi la invitò nella sua stanza. Ma non lo fece.

"Buonanotte", disse di nuovo.

Entrò nella sua camera da letto e chiuse la porta.

Fece un respiro profondo. Stava percorrendo un sentiero pericoloso. Un sentiero che conduceva alla follia e al disastro. Stava iniziando a innamorarsi di una donna molto più giovane, una donna abbastanza giovane da poter essere sua nipote.

Non poteva succedere. Non sarebbe successo.

Meglio toglierselo dalla testa.

Si guardò intorno nella stanza, badando ad ogni dettaglio per distrarsi. Quella stanza aveva lo stesso stile del resto della casa: luccicanti pavimenti in marmo, soffitto alto due piani con ventilatori che giravano delicatamente, alte finestre con pesanti tende che nascondevano il cielo notturno. Il letto era molto grande e di fianco c'era un comodino con delle bottiglie di acqua fresca in un secchiello per il ghiaccio. C'erano cioccolatini sul copriletto. C'era un silenzio mortale lì dentro.

John e Jackie Kennedy avevano dormito in quella camera da letto. Anche Papa Paolo VI aveva dormito lì. Winston Churchill aveva dormito lì, dopo che i suoi doveri di Primo Ministro d'Inghilterra erano terminati. Del resto, il grande scrittore colombiano Gabriel Garcia Marquez e il cantante rock Bono erano stati in quella stanza in più di una occasione.

Ora c'era Clement Dixon. Il Presidente Clement Dixon.

Non più giovane, certo. Ma in qualche modo presidente. Era come un giocatore di baseball invecchiato alla fine di una lunga carriera, che finisce improvvisamente in una squadra di campionato in lizza per le World Series nonostante non possa più essere molto utile alla squadra.

Se solo…

Se solo avesse potuto garantire un'assistenza sanitaria dignitosa ed economica a ogni cittadino americano…

Se solo il venti per cento dei bambini americani non soffrissero la fame…

Se solo quasi un milione di americani non fossero senzatetto…

Si ripeteva molto spesso quelle parole, "se solo". Riconosceva che era ormai un'abitudine, e non una buona abitudine. Se solo si fosse imbattuto in questa situazione vent'anni fa, quando aveva circa cinquantacinque anni, e avesse ancora l'energia di un uomo sulla trentina. Se solo sua moglie fosse viva, potesse assistere a tutto questo e stare al suo fianco. Se solo alcuni dei grandi statisti degli anni Cinquanta e Sessanta fossero ancora vivi e potessero aiutarlo e consigliarlo.

Se solo la svolta a destra degli anni '80 non fosse mai avvenuta, se non si fosse mai passati dal perseguire il benessere del Paese alla pacificazione delle multinazionali e di Wall Street a tutti i costi.

Queste erano le bugie che ripeteva a se stesso, e aveva bisogno di non pensarci. Le circostanze erano quello che erano. Era il presidente degli Stati Uniti e ciò era un immenso privilegio. Era anche un'opportunità di entrare a far parte della storia, e un'opportunità di fare, forse, del bene.

Prendiamo, per esempio, questa visita a Porto Rico. Dixon era stato il primo presidente a visitare quest'isola dopo John Kennedy, che vi era stato nel 1960. Per quarantacinque anni nessun presidente aveva messo piede lì. Porto Rico era tecnicamente un protettorato americano, un modo elegante per dire che l'avevano vinto in una guerra con la Spagna più di cento anni prima. E da allora l'avevano trattato come un bottino di guerra.

Era più grande e con una popolazione più numerosa di molti stati americani, ma non gli era mai stata offerta una sua autonomia. Aveva stretti legami con New York City e Miami, e molte persone andavano avanti e indietro da quel luogo. I portoricani erano cittadini americani e pagavano le tasse federali, ma non avevano rappresentanza al Senato degli Stati Uniti o alla Camera dei Rappresentanti.

Alla fine dell'anno precedente, l'FBI aveva scoperto dove si trovava il radicale indipendentista portoricano Alfonso Cruz Castro, che viveva in un rifugio in una zona della giungla a meno di un'ora da quel luogo. L'uomo aveva sessantatré anni ed era stato coinvolto in una rapina a un furgone di Brink e nell'omicidio di una guardia giurata a Manhattan nel 1981.

Gli agenti dell'FBI avevano circondato la baracca di legno e, quando Castro si era rifiutato di arrendersi, avevano sparato oltre duemila colpi all’interno. Fortunatamente, Castro era l'unico uomo a trovarsi lì. Altrimenti si sarebbe scatenato un putiferio nelle pubbliche relazioni. Dixon rabbrividì al solo pensiero che con Castro potessero esserci una donna o dei bambini.

La famiglia di Castro aveva tenuto una processione pubblica con la sua bara e decine di migliaia di persone avevano percorso le strade di San Juan per vederla passare. Il suo funerale era stato più fastoso della maggior parte dei funerali nazionali per primi ministri e di gran lunga più solenne del funerale di qualsiasi governatore di Porto Rico.

C'era un sentimento anti-americano a Porto Rico, questo era chiaro.

Dixon si sedette sul letto, allungò una mano e prese una delle bottiglie d'acqua. La bottiglia di vetro era scivolosa per la condensa.

"Domani", si disse ad alta voce.

La sua voce riecheggiò nella stanza vuota.

L'indomani avrebbe tenuto un discorso sul prato lì a La Fortaleza, a poche centinaia di sostenitori selezionati con cura del governatore tra membri del partito, funzionari, magnati degli affari dell'isola e le loro famiglie. Sarebbe stato trasmesso in diretta in tutta l'isola e sarebbe sicuramente comparso nei notiziari televisivi negli Stati Uniti e in molte parti del mondo. Aveva intenzione di pronunciare le sue prime frasi in spagnolo.

Successivamente, ci sarebbe stato un corteo presidenziale per le strade della città vecchia e attraverso il ponte fino all'aeroporto. Sarebbe stato un gran giorno. Era il giorno in cui Clement Dixon avrebbe dato una svolta alla sua presidenza.

E poi sarebbe salito su un aereo e un volo di cinque ore lo avrebbe portato a Washington, DC. Quel pensiero lo sollevò, almeno per un attimo.

Ma poi sospirò di nuovo.

Era davvero troppo vecchio per queste cose.

CAPITOLO CINQUE

Ore 23:59 fuso orario dell’Atlantico (ore 23:59 fuso orario della Costa Orientale)

Foresta Nazionale El Yunque

Cubuy, Canovanas

Porto Rico


La notte era umida e pesante.

Era sempre umido nella foresta pluviale. Ovunque intorno a lui, le foglie gocciolavano di umidità. Nell'oscurità, attraverso le ripide colline, le minuscole rane coqui maschi chiamavano le compagne.

“Co-KEE! Co-KEE!" I versi sovrapposti di milioni di rane riempivano la notte con un rumore decisamente superiore alla dimensione dei loro corpi.

L'uomo si faceva chiamare Premo, abbreviazione di El Supremo. A volte le persone lo chiamavano Uno o El Ultimo. Nessuno lo aveva mai chiamato con il suo vero nome. Non si poteva mai sapere chi fosse all'ascolto.

Era un uomo grande e grosso, con le spalle larghe. Era il leader del movimento indipendentista portoricano. Era difficile muoversi in quei giorni, con il monitoraggio costante delle comunicazioni, l'intercettazione delle telefonate, il sequestro delle email, il tracciamento delle ricerche in internet e la mappatura delle connessioni online.

Premo non aveva bisogno di computer. Non scriveva mai nulla. Non parlava quasi mai al telefono con nessuno, nemmeno con sua madre. I suoi ordini venivano comunicati direttamente ai subalterni che stavano in sua presenza, uomini selezionati attentamente ancor prima che mettessero piede in una stanza in cui lui si trovava. Era l'unico modo.

Se i tuoi nemici si convertono alle nuove tecnologie, tu comportati da primitivo.

Se ne stava sulla veranda coperta sul retro della casa, fumava una sigaretta e guardava da una ringhiera di legno la giungla montuosa. I suoi occhi erano abituati all'oscurità. Poteva vedere i contorni delle colline che si innalzavano sopra di lui e il ripido pendio al di sotto.

Mentre guardava, notò che aveva appena ricominciato a piovere dall'altra parte del burrone: l'acqua scendeva silenziosa, tagliando la fitta nebbia aggrappata alle cime degli alberi. Tra un attimo, la pioggia avrebbe cominciato a battere sul tetto di lamiera ondulata di quella baracca.

"Premo", disse un uomo dietro di lui. "Están aquí".

Sono qui.

Premo prese un'ultima boccata dalla sua sigaretta e la lanciò nell'oscurità. Poi entrò.

Il soggiorno della baracca era quasi vuoto. Il pavimento era di legno grezzo. Non c'erano decorazioni sulle pareti. Da un lato c'era un tavolino rotondo circondato da sedie di plastica bianca.

Al centro della stanza c'era una poltrona con accanto un tavolino da gioco. Lì Premo aveva lasciato il suo drink: un bicchiere mezzo pieno di rum Bacardi, liscio. Anche la sedia era rivestita di lino. Sembrava sempre leggermente bagnata per via dell'umidità. Premo si sedette. Il suo nascondiglio, El Yunque, era uno dei luoghi più umidi della Terra.

Di fronte a lui, vicino alla porta, c'erano due giovani, entrambi sulla ventina. Erano affiancati dalle guardie del corpo di Premo. Le guardie del corpo erano entrambe grosse e immensamente forti. Avevano gli occhi vuoti e le facce inespressive dei gangster. Questi erano gli uomini con cui Premo preferiva lavorare: potevi picchiarli a morte per convincerli a rivelare un segreto, ma non avrebbero mai ceduto. Non ti avrebbero mai dato quella soddisfazione.

I giovani erano nervosi. Forse erano nervosi per quello che avevano appena fatto. Forse erano nervosi per gli uomini che si profilavano dietro di loro.

"Come è andata?", disse Premo, e solo dopo aver pronunciato le parole si rese conto di quanto fosse nervoso lui stesso. Questa era la notte più importante della sua vita e l'aveva affidata a quei due ragazzi.

Eduardo, il più grande dei due, annuì. Era il leader di quella squadra di due uomini, e di gran lunga più saldo e sicuro di sé. Era un bel ragazzo, somigliava vagamente a Ricky Martin e usava il suo aspetto per convincere la gente a fidarsi di lui. Donne, superiori, guardie, lo stesso Premo.

"Bene", disse Eduardo. "È andato tutto bene".

"Tutto è andato a buon fine?"

Premo guardò Eduardo e poi il giovane Felipe. Entrambi annuirono. Gli occhi marroni di Felipe erano grandi e rotondi. Erano gli occhi della paura. Gli occhi di un cervo appena prima che il rimorchio del trattore lo colpisca. Non sapeva in che guaio si era cacciato, pensò Premo.

Poi Eduardo si strinse nelle spalle. “Il container è nella stiva. Da lì? Chissà? E come ho sempre detto, non c'è garanzia che non lo ispezioneranno di nuovo. È la massima sicurezza al mondo. È una procedura operativa standard controllare più e più volte, specialmente quando hai a che fare con…"

Premo alzò una mano. "Non lo ispezioneranno di nuovo".

"Come lo sai?" Disse Eduardo.

"Querido", disse Premo, nel senso di "mio caro", come se parlasse a un bambino, "non devo spiegarti proprio tutto. Ci sono alcune cose che è meglio non sapere".

"La cosa migliore è non sapere nulla", replicò Eduardo.

Premo alzò le spalle. Non si sarebbe sbilanciato in ogni caso. "Può darsi".

"Come possiamo farcela, Premo?" Disse Eduardo. “Queste persone non credono a nulla in cui crediamo noi. Sono fanatici".

"Anche noi siamo fanatici, a modo nostro".

Eduardo scosse la testa. “Non come loro. Loro sono terroristi".

Adesso viene fuori.

Premo non era mai stato sicuro di Eduardo. Era evidente che avesse affidato all'uomo un'enorme responsabilità.

"Hai fatto la tua parte?" Disse Premo. "Esattamente ciò che ti avevo detto di fare?"

Eduardo rimase impassibile. “Certo”.

Premo guardò Felipe. Felipe annuì.

Premo annuì a sua volta. "Allora va tutto bene".

"Non va tutto bene!" Disse Eduardo. “Ho fatto quello che mi hai chiesto, ma già me ne pento. Queste persone sono pazze!"

"La politica a volte ti porta strani alleati", disse Premo.

"In che modo questo aiuterà la causa dell'indipendenza?" Disse Eduardo. “Dopo questo gli Americani ci faranno solo altro male. Non ci lasceranno mai andare".

"Ti sbagli", disse Premo. “So cosa faranno. Abbandoneranno questo posto. E ci lasceranno in pace". Poi alzò le spalle, e aggiunse. "E se non sarà così, almeno avremo rivendicato in minima parte cento anni di schiavitù. Avranno imparato che non ci prostriamo ai loro piedi".

"Penso che dovremmo annullare il piano", disse Eduardo.

"Querido, è troppo tardi".

Eduardo scosse la testa. "Non è troppo tardi. Abbiamo fatto questa cosa e possiamo annullarla. Basta una chiamata anonima. Troveranno il container".

Premo sorrise. “Saprebbero subito chi è stato. Verreste entrambi arrestati. Eduardo, non è possibile annullare ciò che è stato fatto. Abbiamo stipulato un accordo con persone molto pericolose. Questo patto darà frutti nel corso di molti anni. Ma se facciamo quello che dici, lo vedranno come un tradimento. Ci toglieranno la vita".

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