«Sì, hai ragione, Ascipo è annegato poco prima dell'alba.» L'espressione dello straniero era triste.
«Ci dispiace» Hermes voleva scusare suo figlio per l'indiscrezione.
«Non preoccupatevi, sono cose che accadono, il destino che gli dèi hanno in serbo per noi è inappellabile; Melkart ed Eshmun lo sanno bene. Ora dobbiamo prepararci a tornare al più presto nel nostro Paese. Non sappiamo cosa sarà successo in Sicilia.»
«Stamattina, io e mio figlio abbiamo visto una nave romana in navigazione qui vicino.»
«È possibile, i romani sono esperti nel trovare e finire i naufraghi, forse altri compagni sono riusciti a fuggire gettandosi in acqua per cercare di salvarsi la vita.» I bambini erano rimasti con gli occhi spalancati.
«Bene, suppongo che sarete stanchi e vi piacerebbe dormire un poco» lo interruppe Hermes, che non voleva che il naufrago entrasse in dettagli più cruenti di fronte ai figli. Si alzò indicando i bambini. «Noi abbiamo altre faccende, quindi approfittate per riposare, mia moglie ha preparato i letti in modo che possiate dormire comodamente. Domani vedremo come organizzare il vostro ritorno. Forse qualche nave può portarvi in una delle vostre colonie.»
«Vi siamo molto riconoscenti. Fortunatamente abbiamo raggiunto terre in cui Roma ha meno influenza. Hanno ancora paura di quelle che furono le terre del grande Alessandro.»
«In effetti, la nostra isola è governata da Tolomeo d'Egitto, qui non dovete temere nulla dai romani» il loro anfitrione li confortò.
I figli di Hermes e Niobe uscirono di casa, le storie raccontate dai naufraghi li avevano trasportati in altri luoghi di cui non conoscevano nemmeno che lesistenza. Avevano parlato di battaglie che udite solo nelle storie dei loro dèi e degli antichi eroi greci, battaglie che d'altra parte sembravano distanti nel tempo. Dopotutto, a Samos l'unico pericolo esterno che li minacciava era un abbordaggio pirata, sebbene ciò accadesse solo in alto mare.
Telma, notando come la storia avesse impressionato la sua sorellina, prese Janira tra le braccia e le spiegò con cura che i cartaginesi avevano esagerato un po' con il racconto, che né i romani né nessun altro avevano fatto quelle cose cattive e che non doveva preoccuparsi. Nel frattempo, Nerisa e Almice commentavano la storia raccontata dai naufraghi, immaginando le situazioni vissute dai marinai cartaginesi e i meravigliosi luoghi da cui provenivano.
Hermes lasciò la casa dopo un po' e guardò di traverso Niobe. Lei era ancora arrabbiata e contemplava l'orizzonte con un'espressione seria. Gli dispiaceva che fosse stata così fredda con gli ospiti. Per un momento pensò di convincerla, ma si arrese immediatamente e si rivolse ai figli.
«Telma, Almice, oggi è stata una giornata insolita, andate alla grotta per giocare e al crepuscolo verremo a cercarvi per la cena, così i nostri ospiti avranno riacquistato le forze. Nel frattempo, noi porteremo il pesce ad Andreas in modo che oggi sia lui a consegnarlo alla taverna per venderlo. A quest'ora ne ricaveremo poco, ma sarà meglio di niente.»
I bambini furono d'accordo e andarono in spiaggia per proseguire lungo la riva fino al molo e prendere il sentiero che conduceva alla grotta. Il mormorio del mare poteva essere udito perfettamente da dove si trovavano. La leggera brezza marina si era trasformata in un'aria gioiosa che increspava le onde provocando piccole corone di schiuma sulle loro creste.
Quando arrivarono al molo, Almice si avvicinò alla barca per verificare che fosse ben ormeggiata. Sebbene la caletta fosse ben protetta dal mare, non si poteva mai sapere. Le sue sorelle aspettarono che finisse e raccolsero un'altra rete, già completamente asciutta, per rammendarla nella grotta. L'aria era appena percettibile all'interno della grotta, soffiava dal lato opposto dell'ingresso e questo consentiva una piacevole temperatura nel loro spazio di gioco. Janira e Nerisa continuarono a giocare con le loro conchiglie mentre Telma e Almice iniziarono a lavorare con la rete.
Il pomeriggio trascorse rapidamente per tutti e quattro. Quando Telma e Almice finirono con la rete, presero le bambine e iniziarono a raccogliere piccoli granchi e cirripedi che vivevano tra le rocce sul mare. Le piccole pozzanghere, formate sulle rocce erose quando l'acqua del mare si ritirava dopo la marea, servivano da contenitori improvvisati in cui i granchi erano a loro agio, un po' più al caldo e più protetti che nel mare. La raccolta fu abbondante e divertente. Nerisa trovò un piccolo polpo a poca profondità e si divertirono a cercare di farlo uscire dalle rocce.
«Si sta già facendo buio, Almice, dovremmo andare a casa, non credi?» Telma voleva riposare, l'intera giornata a prendersi cura delle sue sorelle poteva essere estenuante. Inoltre, si rammaricava di non aver potuto portare il pesce alla taverna, così avrebbe visto il bel figlio del padrone di casa. Magari suo padre le avesse organizzato il matrimonio con lui. Doveva farglielo capire più chiaramente la prossima volta che avrebbero parlato.
«Hai ragione, avrebbero già dovuto avvisarci, resta con le piccole mentre porto le reti a casa e chiedo se possiamo tornare per cenare.»
Almice lasciò la grotta scavalcando le rocce dell'ingresso carico di reti. Cominciò a camminare lungo la spiaggia sulla sabbia bagnata verso il molo. Il vento, sempre più fastidioso, schiantava minuscoli granelli di sabbia contro le sue gambe. Lungo la strada immaginava di navigare in mare aperto a bordo di una grande nave e di gettare lancora in tutti i porti. Il sole era appena scomparso dietro le montagne e la luce cominciava a declinare. Guardò verso casa sua e scorse la fiamma del focolare dietro le assi consunte che chiudevano la finestra. Oltrepassò il molo e pensò di lasciare le reti nella barca; ma a suo padre non piaceva lasciarle lì di notte da quando un anno fa si erano rotte durante una tempesta, qundi decise di portarle direttamente a casa.
Era già vicino quando un grido soffocato proveniente dall'interno dellabitazione lo travolse. Avrebbe giurato che fosse suo padre. Ci fu un momento di silenzio, che sembrò un'eternità e poi la porta si aprì di colpo. Almice istintivamente si buttò a terra accanto a un piccolo tamarindo, per paura di essere scoperto. Notò come la sua fronte iniziava a sudare. Tre uomini corpulenti uscirono di casa trascinando un corpo che riconobbe come quello del cartaginese più magro. Parlavano agitati in una strana lingua. I loro vestiti marroni li facevano sembrare più cupi.
Aspettò accovacciato dietro i rami, nascosto tra l'oscurità crescente, che quegli estranei si allontanassero in direzione della piccola pineta dietro la casa. Senza sapere cosa fare, decise di entrare, non si udiva alcun rumore e la porta era rimasta aperta. Depositò le reti di nascosto a pochi passi. Avanzò lentamente, senza fare il minimo rumore. Non si percepiva nessun movimento all'interno.
La paura si impadronì del giovane ragazzo, afferrando e tendendo i suoi muscoli progressivamente mentre gli veniva la pelle d'oca. Almice non sapeva se fosse stato un impulso irrazionale o la sua innata curiosità a fargli finalmente superare le sue paure e avanzare lentamente all'interno della casa. Si avvicinò inquieto, i suoi occhi non riuscivano a capire la scena che apparve davanti ad essi.
1 II
«Adesso basta!» esclamò Telma, irritata mentre Janira lanciava sabbia a Nerisa e a lei sui capelli. Quando arriviamo a casa vedrete, la mamma vi ha detto che non si tira la sabbia sulla testa.»
«Ha cominciato Nerisa» le rispose Janira mentre rideva forte e si caricava le mani con altra sabbia bagnata e incrostata per lanciarla sulle sue vittime.
«Devono essere in procinto di arrivare, sai come diventa la mamma quando la ignori.» Janira sembrò riconsiderare seriamente per alcuni istanti la minaccia formulata; quindi, lanciò due manciate di sabbia sulle sue sorelle. Tutte e tre si misero a ridere.
Almice sentì che le gambe lo sostenevano a malapena. Il grasso cartaginese giaceva disteso su un fianco di fronte alla porta, con una grande ferita che spargeva ancora sangue sul terreno formando una pozzanghera scura che raggiungeva i piedi del ragazzo. Almice lo guardò a malapena, i suoi occhi erano fissi sui genitori, il corpo di sua madre disteso sul tavolo, con un coltello conficcato nel collo. Suo padre, a un passo da lei, giaceva sulla schiena, sul pavimento, aveva una grossa ferita al petto e un profondo taglio rosso al collo. Almice gli si avvicinò, il suo corpo ancora caldo rimase inerte, il giovane riconobbe la morte negli occhi aperti dell'uomo che gli aveva dato la vita. All'improvviso il mondo intero precipitò vertiginosamente su di lui. Corse fuori di casa tra i conati di bile, un sudore freddo si era impadronito di tutto il suo corpo e gli costava fatica respirare. Cos'era successo? Perché avevano ucciso i suoi genitori? Cosa doveva fare? Non c'erano risposte a tutte le domande che gli si accumulavano in testa, cercando di aprirsi un varco come se fossero uno sciame di api. Corse con tutte le sue forze verso la casa di Andreas per chiedere aiuto.
Il loro vicino viveva a breve distanza, circa cinquanta o sessanta passi. Abitava vicino alla casa dei Teópulos, e sebbene la vicinanza tra loro fosse visibile dalla spiaggia, da una casa non si vedeva l'altra, un piccolo e folto gruppo di alberi e arbusti in mezzo le manteneva in un relativo isolamento.
Stava già arrivando dal vicino quando all'improvviso si ricordò dei tre uomini che erano passati pochi istanti prima attraverso la pineta e istintivamente diventò furtivo, avanzò fino al bordo degli alberi cercando di controllare il suo respiro alterato e si turbò ancora di più quando vide il vicino parlare con uno di quegli uomini davanti alla porta. Non sapeva cosa fare, doveva avvertire Andreas di ciò che avevano fatto ai suoi genitori, avvertirlo del pericolo in cui si trovava se fosse rimasto con quegli assassini; ma la paura gli impedì di avvisarlo paralizzandogli la gola. Restò accovacciato tra i rami bassi degli alberi. Andreas sembrava felice e l'altro uomo estrasse una borsa dalla sua tunica e la porse al pescatore, che la soppesò in mano producendo un leggero tintinnio. Sicuramente era piena di monete, pensò Almice serrando i denti. Com'era stato sciocco, all'improvviso gli si tolse il velo dagli occhi, Andreas era complice di quegli uomini. Sicuramente voleva tenere per sé la casa di suo padre e, quando li aveva visti sulla spiaggia la mattina, doveva aver avvisato in qualche modo i romani che stavano inseguendo il naufrago, perché dovevano essere romani gli alleati dei Mamertini come raccontato loro dai cartaginesi, ne era sicuro. Provò rabbia e paura. Doveva avvisare immediatamente le sue sorelle. Cominciò a retrocedere lentamente, senza fare rumore in quella che sembrava un'eternità, timoroso di essere scoperto. Appena poté, si alzò e tornò verso casa. Passò a distanza, la porta era ancora aperta, non voleva guardare. Si mise a correre con tutte le sue forze verso la grotta.
«Era ora, dove ti eri cacciato?» Telma, rimasta all'ingresso della grotta, aveva visto suo fratello avvicinarsi nella penombra. Aveva già perso la pazienza con le sue sorelle ed era ansiosa di andarsene. «Ti stiamo aspettando da un sacco di tempo.»
«Non sapevo cosa fare.» Almice parlava con voce rotta. Le lacrime che gli scorrevano sulle guance misero in allarme Telma.
«Perché piangi? Che cosa è successo?» insistette Telma, perdendo la calma.
«Sono morti.» Furono le uniche parole quasi impercettibili che uscirono dalla gola di Almice prima di scoppiare in lacrime. Sua sorella, riacquistata la sua compostezza, lo abbracciò con amore, cercando di calmarlo e fargli spiegare chi intendesse.
«Siediti, Almice, e dimmi con calma cosa è successo.» Stava cercando di rassicurarlo. Le due sorelline, che avevano smesso di giocare per l'arrivo del loro fratello, si avvicinarono per scoprire cosa fosse successo.
«Mentre stavo tornando a casa, ho visto uscire degli uomini» Almice cominciò a parlare balbettando. «Avevo già sentito un grido e non gli avevo dato alcuna importanza, ma mentre mi avvicinavo ho visto alcuni uomini trascinare uno dei naufraghi.» Tirò su il moccio con il naso. «Ho aspettato un momento che si allontanassero, e quando sono entrato ho trovato nostra madre e nostro padre, li hanno uccisi.» Abbracciò forte la sorella cercando di reprimere i singhiozzi.
«Che sciocchezze dici, fratello?» Telma rimaneva incredula, senza reagire a ciò che udivano le sue orecchie. «Smettila di scherzare, che oggi ho esaurito la pazienza con le tue sorelle» lo rimproverò con una voce alterata mentre lo spingeva via per poterlo guardare in faccia.
«Devi credermi, Telma» le rispose Almice guardandola negli occhi. «È vero, nostra madre ha un coltello piantato dietro la testa e nostro padre non respira e ha anche ferite in tutto il corpo. C'è anche l'altro naufrago, morto.» Chiuse gli occhi per un momento, cercando di calmarsi e riordinare le idee. «Non sapevo cosa fare e sono corso a cercare Andreas. Mentre mi avvicinavo, l'ho trovato che usciva da casa sua, per parlare con uno di quegli uomini» mentre Almice parlava, gli occhi di Telma erano pieni di riflessi acquosi per la crescente angoscia. «Andreas e l'altro parlavano come se fossero buoni amici, poi l'uomo ha tirato fuori una piccola borsa che sembrava piena di denaro e lha passata ad Andreas. Ero molto spaventato, quindi sono scappato senza essere visto.»
«Dai, andiamo a casa e basta sciocchezze. Almice, non mi piace che tu faccia questi scherzi di cattivo gusto» lo rimproverò Telma senza voler dare credito alle parole del fratello. Le piccole, che ascoltavano attonite senza capire, iniziarono a piangere.
Il tempo stava peggiorando, il vento cominciava a soffiare insistente spingendo le onde contro la costa. I quattro lasciarono la grotta stretti insieme per proteggersi dal crescente freddo notturno. Cominciarono a camminare lentamente verso casa, in silenzio, Janira non capiva cosa stesse succedendo; aveva visto i suoi fratelli discutere e aveva notato che stava accadendo qualcosa di strano. Restava in silenzio, raccolta in sé stessa come se lei fosse responsabile della situazione. Nerisa piangeva. Telma cercava di confortarla spiegandole che Almice aveva avuto un incubo e che ciò che aveva detto loro nella grotta era falso, sebbene il suo tono non fosse convincente. Almice, silenzioso, non riusciva a trattenere le lacrime che non smettevano di solcare il suo viso.
Dopo un po', arrivarono al molo. Almice fermò Telma prendendole delicatamente il braccio.
«Sarebbe meglio che le piccole aspettassero qui, Telma. Non è bene che entrino in casa.
«Piantala! Almice, sicuramente l'hai immaginato; i nostri genitori stanno bene, non c'è nulla di cui preoccuparsi» rispose Telma con i nervi a fior di pelle.
«Telma, per favore, che non entrino.» Gli occhi supplicanti di Almice alla fine convinsero sua sorella, che già credeva che ci fosse qualcosa di vero in ciò che suo fratello le aveva raccontato. La sorella maggiore si rivolse alle più piccole, non sapendo esattamente cosa dirgli.