Russian Spy. Operazione Bruxelles - Borzellino Roberto 2 стр.


Si addormentò con questo pensiero.


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«Buongiorno signor Generale Maggiore Aleksej Marinetto a rapporto», e subito si udì nella stanza un colpo netto di tacchi che sbattevano luno contro laltro sul pavimento.

«Riposo Maggiore si accomodi pure sulla sedia», rispose il Generale Sherbakov, mentre lo fissava con aria severa.

«Immagino la sua sorpresa per questa convocazione inaspettata ma le assicuro che non è nulla di grave».

Aleksej guardò il suo comandante con viva preoccupazione, aggrottando le sopracciglia così comera solito fare nei momenti di tensione.

Ma non ebbe il tempo di aprire bocca perché il comandante Sherbakov lo incalzò repentinamente: «Si tenga pronto a partire per domani mattina alle 6.00 unauto di servizio laccompagnerà allaeroporto civile Pulkovo dove prenderà laereo per Mosca».

Quindi gli porse un foglio e aggiunse: «Questa è la sua prenotazione. Dovrà viaggiare in abiti civili e non dovrà comunicare con nessuno, civile o militare che sia. Il suo trasferimento ha carattere di massima urgenza e riservatezza, per cui si attenga scrupolosamente agli ordini».

«Sì signor Comandante», si affrettò a rispondere Aleksej, ancora incredulo per lordine di trasferimento appena ricevuto.

«Mosca Mosca, ripeteva tra sé e sé, «ma cosa ci vado a fare a Mosca lì non conosco nessuno non capisco vuoi vedere che dietro tutto questo cè lo zampino di nonno Andrej?».

Si alzò di scatto dalla sedia e si rimise sullattenti. Poi con lespressione sempre più preoccupata si rivolse al Comandante: «Signor Generale posso chiedere qual è la destinazione finale? Presumo lAccademia Militare di Mosca».

«Maggiore Marinetto», replicò infastidito il Generale «si attenga ai suoi ordini e non faccia più domande. Allaeroporto Domodedovo di Mosca troverà qualcuno ad attenderla. Questo è tutto».

Aleksej si congedò dal suo Comandante e si diresse verso gli alloggi. Era il suo giorno libero e nessuno gli aveva ordinato di restare confinato in caserma ne aveva letto un ordine di servizio in tal senso. Aveva ricevuto solo lordine di presentarsi la mattina seguente in aeroporto e prendere il volo per Mosca. Nulla di più.

Quindi si cambiò e in abiti civili si diresse verso luscita. Presentò i propri documenti e il permesso di libera uscita alla guardia e in un attimo raggiunse la fermata della metropolitana. Prima di partire desiderava passare a salutare la mamma. Agli amici avrebbe pensato quella stessa sera, al rientro in Accademia. Doveva mantenere un atteggiamento di assoluta riservatezza e non rivelare a nessuno, neanche alla mamma, il giorno della partenza e la sua destinazione. Sapeva che Maria era una donna sveglia e doveva fare attenzione, anche una minima parola fuori posto avrebbe potuto insospettirla.

Durante il tragitto in metropolitana avrebbe pensato a cosa dirle. Magari poteva tirar fuori la scusa di una licenza e dire che sarebbe partito per una vacanza in compagnia della sua nuova «fiamma». Tutti in Accademia conoscevano le sue doti da «Casanova». Ne aveva cambiate così tante che lannuncio di una nuova fidanzata non avrebbe sorpreso nessuno, quanto meno la mamma. Solo il prolungarsi della sua presenza a Mosca avrebbe potuto insospettire amici e parenti, ma per quel tempo sarebbe stato già lontano e al riparo da ogni domanda indiscreta. Quindi non aveva motivo di cui preoccuparsi.

Prese la linea due della metro e dopo poche fermate scese alla stazione di Park Pobedy. La casa della mamma non era lontana: doveva percorrere a piedi solo poche centinaia di metri. Arrivato in Via Kosmonatov si diresse verso il portone di ferro, di colore verde bottiglia, poi digitò il codice di accesso e questo si aprì col rumore di uno scatto metallico. Salì i gradini tre per volta, così come era solito fare fin da bambino. Aveva con sé le chiavi e non si premurò di bussare o di avvertire. Maria col tempo si era abituata a quelle sue «improvvisate» e non aveva mai protestato o reagito in malo modo. Era sempre felicissima di rivedere e abbracciare il suo amato figlio, il suo «piccolo Alex», come continuava ancora a chiamarlo.

Aprì la porta dingresso cercando di fare il minimo rumore e poi, con un colpo leggero della mano, spostò anche la seconda porta che dava accesso allinterno dellappartamento. Si appoggiò delicatamente alla maniglia e infilò la testa nel piccolo spazio, tra la porta e il muro.

Prestò attenzione a qualunque suono provenisse dallinterno: desiderava fare una sorpresa alla mamma che allimprovviso se lo sarebbe trovato di fronte.

Aspettò alcuni secondi ma non udì alcun rumore.

Pensò che la mamma fosse uscita a fare la spesa, si tolse le scarpe e si diresse verso il soggiorno. Qui ebbe un sussulto. Una figura femminile sedeva sul divano, in silenzio, nella penombra della stanza. Sembrava quasi che pregasse. Aleksej, preoccupato ma non per questo impaurito, accese subito la luce.

«Mamma!!», esclamò con tono sorpreso, «ma cosa ci fai sul divano in silenzio al buio. Stai male? Dimmi cosa succede?».

Maria girò lentamente lo sguardo verso il figlio ma, diversamente dal solito, non gli corse incontro per abbracciarlo e con le lacrime agli occhi gli disse: «Aleksej siediti qui vicino a me. Dobbiamo parlare. È giunto il momento che tu conosca tutta la verità sulla tua famiglia. Su tuo padre tuo nonno e tuo fratello».

«Mio fratello?» replicò Aleksej come inebetito.

«Mamma ma cosa dici io non ho fratelli sono figlio unico». Guardò il viso di Maria e vide che le lacrime adesso le uscivano copiose, così come un fiume in piena, inarrestabile.

«Si Aleksej, tu hai un fratello non sei figlio unico. Un fratello gemello che si chiama Luca».

Prese dalla tasca una vecchia fotografia sbiadita e la mise nelle mani del figlio.

«Guarda qui avevate tre anni. Io e tuo padre Roberto ci siamo sempre amati e ci amiamo ancora. Ma a volte le circostanze della vita sono crudeli. Dovevamo fare una scelta. Anzi siamo stati costretti a farla e in tutto questo centra tuo nonno Andrej».

Con la foto nella mano destra, tremando, Aleksej cercò di riprendersi dallo shock. Ne scrutava ogni dettaglio. Adesso, finalmente, conosceva la verità. Guardò con attenzione il volto del padre Roberto e quello di suo fratello Luca. Li poteva quasi sentire, ne percepiva lessenza; erano proprio lì, fermi, davanti ai suoi occhi. Rimase in silenzio per alcuni minuti ma poi sentì come di essersi svegliato da un lungo sonno e cominciò a tempestarla con mille domande.

«Mamma come è possibile tutto questo? Perché mio padre ci ha abbandonato portandosi via mio fratello? Luca è a conoscenza che suo fratello gemello vive in Russia o anche per lui avete mantenuto questo segreto?».

Per Maria era tempo di dire tutta la verità. Le domande del figlio erano quelle a cui, da sempre, desiderava rispondere. Cercò di calmarsi e di rilassarsi e provò a raccontare la sua storia guardando il figlio negli occhi.

«Come sai tuo nonno è stato un Generale del KGB, i vecchi servizi segreti russi. Al tempo in cui nascesti ricopriva un incarico importante a Mosca. Un giorno si presentò qui a San Pietroburgo con nonna Olga, pieno di regali per i suoi due nipotini. Ci aveva espressamente chiesto di potervi conoscere personalmente e quella fu la prima e ultima volta che vedemmo tutta la famiglia riunita».

«Fu solo dopo pranzo che nonno Andrej rivelò il vero motivo di quella visita: doveva reclutare tuo padre Roberto per i servizi di intelligence russi. Gli promise che, se si fosse messo al servizio del KGB, avrebbe garantito a tutti noi una vita tranquilla e serena, piena di agi e di confort. Ci avrebbero fornito una casa a Sochi, in riva al mare, dove avremmo potuto trascorrere le vacanze estive».

«Conoscevo bene tuo nonno».

«Quelle non erano semplici richieste ma veri e propri ordini. Ma tuo padre rifiutò quella proposta, la riteneva oscena e insensata. Disse che non voleva tradire i suoi ideali il suo Paese, che non si sentiva comunista che si trovava in Russia solo per amore della figlia e della famiglia. Volarono parole grosse. Alla fine tuo nonno Andrej se ne andò via sbattendo la porta e senza nemmeno salutarvi. Da quel momento ebbe termine la felicità per la nostra famiglia».

Maria fece una pausa, come a visualizzare meglio i suoi ricordi, e poi riprese.

«Con tuo padre litigammo quella stessa sera».

«Gli dissi che non avevamo scelta. Dovevamo collaborare con il KGB oppure la nostra vita sarebbe stata un inferno. Ma tuo padre fu irremovibile. Non volle sentire ragioni. Quando si fu calmato studiammo insieme una strategia, una via duscita. Dovevamo attenderci una immediata reazione da parte dei vertici del KGB, sicuramente ci avrebbero spedito tutti insieme in qualche campo di lavoro in Siberia. Dovevamo proteggervi. Capisci figlio mio lunica soluzione possibile era solo la fuga perché molto presto a tuo padre avrebbero revocato il visto».

«Quella sera preparammo i bagagli e ci recammo tutti insieme allaeroporto ma era già troppo tardi: al controllo passaporti fummo fermati e identificati. Lufficiale della dogana ci guardò con cipiglio e disse perentorio che solo tuo padre e un figlio potevano imbarcarsi sullaereo per Roma. Io non avrei mai potuto lasciare la Russia. Aveva ordini tassativi al riguardo. Ci lasciò solo un minuto per pensare, diversamente ci avrebbe arrestati tutti. Io e tuo padre fummo costretti a decidere in fretta. Tu tenevi stretta la mia mano mentre Luca dormiva nelle braccia di Roberto. Fu il destino a scegliere per noi. Ci abbracciamo forte e ci baciammo come se quella fosse stata la nostra ultima volta. Ed in effetti così avvenne».

Maria tirò un sospiro di sollievo, come se si fosse liberata di un enorme macigno che la opprimeva da ormai da troppo tempo.

Aleksej, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo, prese le mani di sua madre e le strinse nelle sue. Poi con dolcezza le disse: Ora finalmente conosco tutta la verità. Ora capisco tutto. Ho un fratello identico a me. Incredibile e tutto così assurdo pazzesco. Ho sempre saputo che nascondevi un grande segreto sulla nostra famiglia, ma poi e poi mai avrei immaginato tutto questo».

Aleksej abbracciò forte la mamma e le mise la testa sul petto; poi cominciò a coccolarla, accarezzandole i lunghi e biondi capelli. Maria aveva quasi cinquantanni ma nonostante letà sembrava ancora giovane, con un bel fisico e un portamento regale. Spesso il figlio si divertiva a prenderla in giro e le diceva che da giovane avrebbe potuto fare la modella. La mamma stava al gioco e tutto si concludeva con una sonora risata.

Adesso erano lì, insieme, in silenzio, seduti sul divano, ognuno immerso nei propri pensieri, nei ricordi.

Maria guardava il figlio con tenerezza e quello sguardo infuse nuovo coraggio ad Aleksej.

Dolcemente le sollevò la testa dal petto per poterle parlare e confidare il suo segreto: «Mamma devo dirti anchio una cosa importante. È una questione militare ma sò che di te mi posso fidare. Domani mattina presto prenderò un aereo per Mosca. Mi hanno trasferito, ma ancora non conosco lesatta destinazione. Magari Mosca è solo una stazione di transito. Ho paura che mi mandino in qualche remota regione della Russia, forse oltre gli Urali o proprio in quella Siberia di cui tu e mio padre avevate così tanta paura.»

Un velo di tristezza calò sullo sguardo di Maria, come se invitasse il figlio a leggere nei suoi pensieri. Non aveva unespressione di sorpresa ma, al contrario, sembrava che conoscesse già tutto in anticipo. Quello sguardo non ammetteva fraintendimenti e Aleksej si rivolse alla mamma con un misto di agitazione e rassegnazione.

«Mamma ma tu lo sapevi? Comè possibile? Sono stato informato dal mio Comandante solo da poche ore».

«Caro Aleksej, sono pur sempre la figlia di un Generale del KGB. Cosa credi che non abbia anchio le mie fonti dinformazione. Io ti ho sempre protetto e ti proteggerò sempre, ovunque tu sia, ovunque tu vada. Ma non preoccuparti, la tua destinazione finale è Mosca e non la Siberia». Poi gli sorrise e con un cenno della mano fece segno al figlio di seguirla in cucina.

«Siediti che ti preparo il the con il miele. I tuoi biscotti preferiti li ho appena sfornati.»

Solo allora Aleksej annusò il forte odore dei biscotti provenire dal forno. Era un profumo che gli ricordava linfanzia ma il trambusto di quella giornata sembrava che avesse spento allimprovviso il suo senso olfattivo. Latmosfera in casa si era rasserenata ed entrambi continuarono a parlare, finalmente liberi dai segreti, uno accanto allaltro.

CAPITOLO SECONDO

Mosca

5


Lauto sobbalzò e Aleksej, ancora semi addormentato per lalzataccia mattutina, aprì improvvisamente gli occhi e scrutò fuori dal finestrino. Una pioggerellina stava liberando le sue lacrime e ogni goccia scivolava rapidamente sui vetri per far posto ai nuovi arrivi.

«Maggiore Marinetto», esclamò lautista, «siamo quasi arrivati in aeroporto e tra due minuti saremo allentrata delle partenze».

Era la voce dellattendente del Generale Sherbakov. Aveva avuto il compito di accompagnare Aleksej a Pulkovo, addirittura con la Mercedes C220 nera del comandante. Era un grande privilegio e il Maggiore ne era consapevole ma, nonostante tutte le accortezze, i suoi timori per quel viaggio inaspettato rimasero inalterati.

«Grazie tenente Cjukov, si fermi pure qui a lato» rispose cortese, trattenendosi dal fare il saluto militare, poi lo congedò con una semplice stretta di mano e un semplice grazie. Con il suo minuscolo bagaglio si diresse in direzione del check-in per Mosca. Gli era stato ordinato di vestirsi in abiti civili e di portare con sé solo lo stretto necessario. E così aveva fatto. A Mosca avrebbe trovato qualcuno ad attenderlo ma non conosceva né il suo nome né il suo grado.

«Probabilmente sarà qualche giovane attendente», pensò Aleksej, mentre disciplinatamente si metteva in fila con gli altri passeggeri. Era decisamente preoccupato ma doveva mascherare bene quel suo stato danimo e comportarsi come un comune cittadino russo. In quella strana circostanza era necessario che abbandonasse la sua proverbiale aria marziale che lo faceva sentire così ridicolo senza la divisa addosso.

«Volo S7022 per Mosca, affrettarsi allimbarco», gracidò una voce gentile dagli altoparlanti della sala daspetto. Aleksej ancora non sospettava che quella sarebbe stata lultima volta che avrebbe visto la sua amata S. Pietroburgo. Gli era stato concesso troppo poco tempo e non era riuscito a salutare tutti gli amici e i compagni di hockey. Forse anche per questo si sentiva stranamente triste e vuoto.

Il volo fu breve e tranquillo, senza nessun incontro strano o particolare da segnalare. Si diresse verso luscita dellaeroporto Domodedovo e si fermò davanti alla lunga fila di taxi gialli che, disciplinatamente, aspettavano larrivo dei clienti. Con lo sguardo scrutò in ogni direzione ma del suo contatto nemmeno lombra. «Il mio attendente devessere in ritardo» pensò Aleksej mentre guardava impaziente lorologio. Non poteva fare altro che aspettare perché gli era stato ordinato di non allontanarsi dalluscita, per nessun motivo.

Improvvisamente si accorse di un uomo che gli veniva incontro con le braccia allargate. Aveva stampato sul volto un sorriso e laria di chi sembrava conoscerlo da tempo.

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