Russian Spy. Operazione Bruxelles - Borzellino Roberto 3 стр.


«Aleksej, amico mio, come stai? Finalmente sei arrivato», disse lo sconosciuto con voce stucchevole. Lo strinse forte a sé e gli sussurrò allorecchio: «Stai al gioco e seguimi senza fare domande, forse siamo sorvegliati».

Aleksej restò completamente immobile, era sorpreso, imbambolato e fece in tempo a farfugliare solo poche e incomprensibili parole: «ma tu chi».

Lo strano tipo prese il piccolo bagaglio dalle sue mani e lo posò nel retro dellauto; quindi lo invitò a salire sul davanti e insieme partirono a gran velocità per destinazione ignota.

Quando si furono allontanati abbastanza Aleksej si voltò verso quellimprobabile accompagnatore e con piglio deciso e altero gli disse: «Allora, razza di idiota, mi dici finalmente cosè questa pagliacciata e dove siamo diretti?».

«Si calmi Maggiore Marinetto», rispose a tono lo sconosciuto, «lasci che mi presenti. Maggiore Kostja Maksimovic Skubak, dellSVR di Mosca. Sono un agente dei Servizi con il compito di accompagnarla a destinazione». Tirò fuori dalla giacca un tesserino e lo appoggiò sul cruscotto dellauto.

Aleksej prese tra le mani il documento e cominciò ad osservarlo. Non era un esperto in contraffazione ma quello gli sembrava proprio originale o, quanto meno, unottima imitazione. Lo restituì a Skubak accompagnando il gesto con una smorfia di disapprovazione.

«Servizi segreti?», replicò irritato, «questa devessere sicuramente opera di mio nonno Andrej. Ma gli dica che deve rassegnarsi perché sa benissimo che non ho nessuna simpatia per voi. Disapprovo i vostri metodi da nazisti per cui è inutile che proviate a reclutarmi.» Poi, col tono perentorio di chi è abituato a comandare e impartire ordini, concluse: «Accosti e mi faccia scendere. Immediatamente.»

«Abbia pazienza ancora per trenta minuti e poi tutto le sarà più chiaro» lo incalzò Skubak. «Siamo diretti alla sede centrale dellSVR. Il direttore Petrov in persona la sta aspettando. Li capirà ogni cosa e avrà tutte le risposte alle domande che le frullano in testa. Ma fino a quel momento la prego di mettersi comodo e di rilassarsi. La strada è ancora lunga e devo essere certo che nessuno ci segua fino al nostro arrivo».

Infilò la mano destra sotto il sedile di guida e rimase alcuni secondi a frugare come se stesse cercando qualcosa di importante, facendo comunque attenzione a non perdere di vista le auto che lo precedevano. Quando ebbe finito rimise a posto il tappetino e mostrò soddisfatto ad Aleksej un pacchetto di sigarette già aperto e pieno a metà.

«Vecchie abitudini caro collega dure a morire, ma sto cercando di smettere di fumare. Comunque puoi chiamarmi Kostja. Qui da noi siamo informali e prevedo che trascorreremo diverso tempo insieme nelle prossime settimane».

«Lo escludo categoricamente collega», lo incalzò Aleksej con ironia, «questa sera sarò già sul primo volo per San Pietroburgo. Non ho intenzione di seguire le orme di mio nonno e certamente non desidero diventare una spia. Se con questo becero espediente sperava che ci cascassi allora si è sbagliato di grosso. Glielo dica pure quando lo vede».

«Vedremo vedremo» lo incalzò Kostja sorridendo, «ma credo che lo incontrerai molto presto, così potrai dirglielo tu, di persona, direttamente in faccia».

A quellora Mosca era già caotica e immersa nel traffico mattutino. Un timido sole primaverile provava a farsi strada, tra enormi nubi, con tutta la forza dei suoi raggi. Proseguirono dritti verso il centro, lungo via Tverskaja, poi svoltarono repentinamente in una delle tante stradine laterali, ma troppo velocemente perché Aleksej potesse leggerne lindirizzo. Dopo alcune centinaia di metri lauto si fermò nei pressi di un grande palazzone color giallo ocra, con tante finestre messe insieme una accanto allaltra e con i vetri oscurati. Allapparenza sembrava un classico edificio amministrativo, ma in realtà era la sede dellSVR di Mosca, lex KGB.

«Siamo arrivati» esclamò Kostja, «per favore seguimi senza fare scenate e ti prometto che avrai le risposte che stai cercando da tutta una vita. Qui sei al sicuro, addirittura meglio che al Cremlino».


6


Giunti all'ingresso Aleksej fu accolto da un imponente stemma color marrone. Aveva la forma circolare con al centro una grande stella a cinque punte. Un piccolo globo blu brillante al suo interno. La scritta, in cirillico, ne annunciava pomposamente il nome Služba Vnešnej Razvedki Rossisnoj Federazi (Servizio di Intelligence Internazionale della Federazione Russa).

Superarono il metal detector e mostrarono i documenti alle due guardie. Erano entrambi disarmati. Ricevettero i badge per accedere al settimo piano dove li sarebbe il direttore Petrov. Filarono in tutta fretta verso uno dei tre ascensori e presero quello meno affollato. Giunti al piano, svoltarono alla loro sinistra e si avviarono per un lungo corridoio.

Il pavimento era di marmo massiccio, di colore bianco lucido, intarsiato da piccole strisce nere con un tappeto rosso ruggine che ne copriva il centro per tutta la sua lunghezza.

Aleksej notò un grande andirivieni di uomini e donne. Camminavano nervosamente da una parte all'altra del corridoio, entravano e uscivano da varie stanze, con in mano fascicoli e pile di documenti. Il quel trambusto nessuno li degnò di uno sguardo né di un saluto, come se fossero stati invisibili.

«Questi gli uffici della Sezione I. Sono gli analisti che si sono delle informative quotidiane per i nostri agenti allestero. Non preoccuparti ci fari labitudine. Sembra che siano immersi nel caos ma ti assicuro che sono efficienti e super organizzati. Comunque non è qui che siamo diretti». Con il pollice della mano destra Kostja indicò in alto, come per dire: dobbiamo salire ancora. Fecero pochi scalini e si ritrovarono su di un piano ammezzato. Alle fine si fermarono davanti ad una grande e massiccia porta di abete con la scritta Dipartimento S.  Direttore Petrov».

Kostja bussò con vigore e dallinterno risuonò una voce gentile: «Avanti, prego, accomodatevi».

«Ciao Silvya», esordì sorridendo, «come vedi siamo puntuali. Immagino che il direttore Petrov ci stia aspettando».

Aleksej non poté fare a meno di notarla: era una graziosa ragazza bionda, capelli corti a caschetto e grandi occhi marroni. Aveva un trucco leggero e pensò che potesse avere, più o meno, la sua età. Li aveva accolti con un sorriso di circostanza ma il suo sguardo freddo e glaciale tradiva una certa tensione.

«Puntualissimo Kostja. Il Direttore vi sta aspettando. Entrate pure», replicò Silvya decisa, senza aggiungere altro. Aleksej diresse lo sguardo nellangolo in alto del soffitto dovera posizionata una piccola telecamera.

Solamente adesso intuiva perché la ragazza era rimasta seduta per tutto il tempo e non si era alzata per andare loro incontro. Aveva la mano destra ancora poggiata sulle gambe, segno inequivocabile che impugnasse una pistola. Dal loro arrivo al piano terra erano stati seguiti passo passo dalle telecamere a circuito chiuso. In unaltra stanza, lì vicino, dovevano esserci degli altri agenti armati, pronti ad intervenire in caso di necessità, a protezione della sicurezza del loro capo.

Entrarono e si fermarono al centro della stanza. Il direttore Fyodor Ivanovic Petrov era in piedi, girato di spalle, mentre guardava fuori dalla finestra. Era un uomo già oltre la cinquantina, della vecchia scuola del KGB. Aveva superato indenne il periodo di transizione e adesso comandava limportante Dipartimento S dei servizi segreti russi. Capelli rasati a zero, occhiali da vista tondi da intellettuale, di aspetto longilineo, quasi magro, indossava un doppio petto grigio dal taglio sartoriale impeccabile. Tutti lo rispettavano e fin dal primo sguardo sapeva incutere timore.

«Buongiorno direttore», esordì Kostja dirigendosi lentamente verso la finestra, «le ho portato il Maggiore Marinetto come richiesto. Nessun imprevisto da segnalare, anche se allinizio il nostro ospite ha mostrato una qualche resistenza. Ma era facilmente prevedibile considerata la segretezza della sua convocazione».

Petrov girò lentamente il capo in direzione dei nuovi arrivati con una smorfia di approvazione. Sembrava che fosse rimasto in piedi a lungo, probabilmente preoccupato per la lunga attesa. Poi si voltò completamente e, dopo aver spostato la sua poltrona di pelle nera, appoggiò entrambe le mani sulla grande scrivania di mogano.

Bravo Kostja, molto bene!!, rispose con voce baritonale, ma adesso ho bisogno di restare da solo con il Maggiore. Prenditi la giornata libera. La tua missione, per oggi, è finita. Aggrottò le sopracciglia e strinse le palpebre per squadrare meglio Aleksej. Con lintensità del suo sguardo cercò di mettere subito in soggezione Aleksej, quindi attese che lagente Skubak fosse uscito dalla stanza e, quasi a scusarsi per lintemperanza del suo sottoposto, si avvicinò per stringergli la mano. La stretta fu forte e calorosa e lo invitò a sedersi di fronte a lui.

Finalmente ci conosciamo, disse con tono sarcastico il direttore Petrov, in tutti questi anni suo nonno non ha fatto altro che parlarmi di lei, di suo nipote Aleksej, di tutti i suoi successi sportivi e della sua brillante carriera militare.

Aprì lentamente un fascicolo rosso che, di proposito, aveva lasciato in bella evidenza al centro della sua scrivania. Allinterno vi erano diversi fogli fittamente compilati a mano, con perfetta grafia femminile, e alcune fotografie. Aleksej intuì che doveva trattarsi del suo fascicolo personale e non fece nulla per nascondere a Petrov il suo fastidio. Era stato sbattuto su di un volo per Mosca in tutta fretta e adesso si trovava in presenza del capo dellSVR.

Tutto gli appariva così assurdo e privo di giustificazione.

I metodi usati da Petrov non erano certamente quelli che aveva imparato ad apprezzare in Accademia. Ma lasciò che facesse la prima mossa e solo dopo avrebbe deciso se e come reagire.

Capisco il suo stato danimo, disse Petrov con calma apparente, anchio al suo posto sarei nervoso se fossi stato convocato allimprovviso e in tutta segretezza. Stia tranquillo perché oggi avrà tutte le risposte alle sue domande. Ma prima di iniziare mi dica cosa posso offrirle: tè, caffè, tutto quello che desidera. Magari posso farle portare un ottimo caffè espresso italiano che lei certamente apprezzerà, concluse abbozzando un sorriso di circostanza nel tentativo di mettere a proprio agio quellospite così importante.

«No. Grazie. Ho già fatto colazione in aeroporto», ribatté asciutto Aleksej. Ormai era interessato solo a concludere rapidamente quella strana giornata e prendere il primo aereo per tornarsene a San Pietroburgo.

«Va bene andiamo subito al sodo. Vedo che è ansioso di conoscere il motivo di questa sua inattesa visita. Le dico subito che riguarda la sua famiglia e suo fratello Luca in particolare. Sappiamo che sua mamma le ha già raccontato molto ma se siamo qui è perché abbiamo bisogno del suo aiuto della sua collaborazione come cittadino russo e come patriota».

«Cosa centra la mia famiglia con i Servizi Segreti?», lo interruppe bruscamente Aleksej. «Se escludiamo mio nonno Andrej non abbiamo nessun punto di contatto tra di noi. Si in effetti mia mamma mi ha parlato di quello che è successo quandero piccolo. È vero non sono figlio unico ho un fratello gemello ma non vedo come questo possa interessarvi. Perché volete coinvolgere mio fratello Luca?».

«Si calmi Maggiore. Mi lasci spiegare e vedrà che alla fine tutto le sarà più chiaro», lo incalzò Petrov con tono conciliante.

«Lei sa che Luca è la sua copia quasi perfetta. Siete diversi solo per un piccolo particolare: una minuscola macchiolina rossa allinterno della gamba destra di suo fratello. Per il resto siete praticamente identici. Probabilmente oggi nemmeno i vostri genitori sarebbero in grado di distinguervi luno dallaltro».

Prese dal fascicolo alcune fotografie e gliele porse.

Aleksej si era sbagliato!! Petrov non aveva tra le mani il suo fascicolo bensì quello di Luca. Le foto lo ritraevano in situazioni diverse: al parco, al Colosseo o seduto al tavolino di un bar che sorseggiava una bibita. Mentre le osservava con attenzione fu colpito da un particolare: una bellissima ragazza mora, dai lunghi capelli corvini, teneva per mano Luca.

Era presente in tutte le foto, gli sorrideva teneramente e dagli sguardi languidi si capiva che erano intimi, probabilmente innamorati. Aleksej era felice di poter finalmente vedere il volto di suo fratello ormai adulto e questo fece stemperare la tensione che si era creata nella stanza.

Restituì le foto a Petrov che le richiuse nel fascicolo.

«Lei ha perfettamente ragione io e mio fratello siamo identici. Anchio avrei difficoltà a capire chi è luno e chi è laltro».

Petrov colse al volo loccasione e rincarò la dose.

«Lei sa che suo fratello vive in Italia a Roma per la precisione dove ha intrapreso la carriera militare esattamente come ha fatto lei ma solo dallaltra parte della barricata. Quello che ancora non sa è che Luca frequenta il Nato Defence College (NDC in gergo tecnico). È un collegio militare che si occupa della formazione degli ufficiali superiori per attività di alto profilo. Tempo fa questa circostanza ha attirato la nostra attenzione. Da molto tempo monitoriamo suo fratello. Non lo abbiamo mai perso di vista neppure per un attimo. La scuola è finita e tra due settimane Luca riceverà il suo primo incarico ufficiale nella Nato. Un nostro agente infiltrato ci ha informato che sarà destinato al Joint Warfare Centre (JWC) di Stavanger in Norvegia».

«Tutto molto interessante Petrov ma io in tutto questo cosa centro?», domandò perplesso Aleksej.

«Lei centra eccome Maggiore!! Dovrà prendere il posto di suo fratello Luca e infiltrarsi nellalto comando della Nato. È in gioco il futuro della nostra grande Nazione. Questo è quanto. Per adesso non posso riferirle altro».

Aleksej, che fino a quel momento aveva ascoltato con attenzione, si alzò in piedi di scatto e minacciò Petrov con lindice della mano destra. «È assurdo!! Io non sarò mai una spia. Dovete lasciare in pace la mia famiglia lasciare in pace mio fratello Luca. Stiamo ancora soffrendo per il male che ci avete causato e adesso venite a chiedere il nostro aiuto? Farò un casino tale con lAlto Comando che la smetterete una volta per tutte con i vostri giochetti da guerra fredda. Se ancora non lavesse capito il comunismo è morto e sepolto. Adesso siamo una democrazia e viviamo in pace con loccidente. Ecco appunto lasciateci in pace».

Aleksej si diresse a grandi passi verso luscita ma Petrov gli urlò dietro: «Se vuole che suo fratello Luca viva non lasci questa stanza e torni a sedersi. Maggiore Marinetto questo è un ordine!!».

Aleksej si voltò irato: Siete proprio dei gran bastardi. In tutti questi anni non siete cambiati affatto. Voi e i vostri metodi stalinisti. Siete delle iene sanguisughe.

«Si sieda Maggiore e non terrò conto delle sue offese. Abbiamo poco tempo per organizzare tutto alla perfezione e litigare non ci aiuterà affatto. Lei deve capire che in ballo ci sono interessi enormi, che vanno al di là di me di lei della sua famiglia. È in gioco la sicurezza nazionale quella del Paese che lei afferma di amare così tanto. È arrivato il momento di dimostrarlo è arrivato il momento che lei decida da che parte stare. Le consiglio di collaborare senza fare troppe storie. Al nostro prossimo incontro le rivelerò altri particolari della sua missione ma per adesso segua il nostro agente che laccompagnerà alla sua prossima destinazione».

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