Russian Spy. Operazione Bruxelles - Borzellino Roberto 4 стр.


Premette un pulsante sullinterfono e ordinò perentorio: «Agente Ratcenko, nella mia stanza!!».

La porta si spalancò ed entrò una splendida ragazza alta, mora, con lunghi capelli corvini. Indossava jeans aderenti e una camicetta bianca, sbottonata strategicamente per mettere in risalto le sue forme perfette. Aleksej la riconobbe subito, laveva già vista. Era la donna delle foto, quella che teneva per mano suo fratello Luca.

«Le presento lagente Irina Borisovna Ratcenko», disse Petrov indicandola con la mano. In quel momento lo sguardo di Irina era tutto per Aleksej. Gli si avvicinò con calma per poterlo osservare meglio e gli accarezzò il volto dolcemente con il dorso della mano. Quando ebbe finito si rivolse verso il suo capo e, con un misto di meraviglia e stupore, esclamò: «Come due gocce dacqua. Veramente impressionante».

Bene signori è tutto. Potete andare. Con lei Aleksej ci rivedremo molto presto. Nel frattempo segua alla lettera le istruzioni dellagente Ratcenko e tutto andrà per il meglio, per lei e la sua famiglia.

Petrov aveva pensato bene di congedarsi dal suo ospite con unultima sottile minaccia.


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Usciti dalla stanza Petrov ripose il fascicolo di Luca in un cassetto che chiuse subito a chiave. Poi si diresse verso la libreria, prese un voluminoso libro, lo aprì e dal suo interno estrasse una piccola bottiglia di vodka e un bicchierino di vetro. Quindi si sedette nuovamente alla scrivania affondando nella sua grossa sedia direzionale di pelle nera. Prima si versò da bere e poi chiamò Silvya con linterfono.

«Contatti il Generale Sherbakov su una linea sicura», le ordinò categorico.

«Buonasera Generale Sherbakov. Sono Petrov. Come sta?».

«Molto bene Petrov. Allora mi dica loperazione Bruxelles procede?».

«Sì Generale. Il Maggiore Marinetto è andato via da poco. Collaborerà senzaltro. Ha capito di non avere alternative. Sa benissimo che è a rischio la propria vita e quella di tutta la sua famiglia. Ho cercato di far leva sul suo senso del dovere sullonore sulla Patria ma la sua reazione è stata esattamente come mi aveva prospettato. Il Maggiore è molto sveglio e furbo e dobbiamo fare molta attenzione. Ma non abbiamo più molto tempo e in questa operazione possiamo servirci solamente lui. Purtroppo il fratello Luca si ostina a non voler collaborare. È un testardo figlio di puttana così come un altro membro della sua famiglia, e lei sa benissimo a chi mi sto riferendo: il Generale Andrej Vladimirovic Halikov».

Sì Petrov so benissimo che questo è un grosso rischio ma Andrej è un vecchio amico di Accademia e si è detto entusiasta di collaborare con lei e la sua squadra per ammorbidire lirruenza di entrambi i nipoti. Ma è una vecchia volpe, conosce tutti i trucchi del mestiere. Va tenuto costantemente sotto sorveglianza così come sua figlia Maria. Comunque Andrej è una persona concreta e va lusingato con promesse credibili. Lo faccia sentire coinvolto importante ma lo tenga lontano dal cuore della missione.

«Generale sappiamo da fonte certa che alla Nato stanno facendo pressione per avere al più presto la nuova arma a radiazione elettromagnetica. Desiderano sperimentarla simulando un attacco in forze. Non sappiamo esattamente quando questo accadrà ma capisce bene anche lei che non abbiamo tempo per usare i metodi tradizionali con la famiglia Marinetto. Dovrà essere tutto pronto il giorno in cui inizieranno le esercitazioni della Nato. Questarma dovrà cadere in nostro possesso oppure essere distrutta. Purtroppo stiamo lavorando molto in fretta. troppo in fretta anche per i nostri standard».

«Petrov lei sa benissimo che dalla riuscita di questa operazione dipende la sicurezza e il futuro della nostra Nazione. Se fallirà metterà a rischio non solo le nostre carriere e le nostre vite ma la pace del mondo intero. Si ricordi che il Comitato non esiterà a prendere decisioni drastiche se si sentirà minacciato. Il fallimento non è ammissibile».

«Sono daccordo con lei sig. Generale. Da questo momento ha ufficialmente inizio lOperazione Bruxelles. La terrò costantemente aggiornato sugli sviluppi della missione. Se sarà necessario le chiederò di intervenire personalmente con il Maggiore Marinetto. Lui si fida ciecamente di lei. È il suo comandante e con la sua autorità potrà riportarlo alla ragione».

«Petrov lei prevede che il Maggiore Marinetto potrà darci seri problemi?».

«Non lo so Generale. Non è devoto alla causa e alla Patria, ma solo alla sua famiglia. Ho la netta sensazione che tra i due fratelli esista ancora un forte legame, nonostante la lontananza degli ultimi venti anni. Lei sa cosa si dice sui gemelli monozigoti. Una singola cellula viene fecondata e nascono figli dello stesso sesso e praticamente identici. Un vero scherzo della natura, estremamente raro. Io credo che i due fratelli si percepiscano lun laltro, subendo una sorta di attrazione psichica».

«Quando saranno entrambi a Sochi, a pochi chilometri luno dallaltro, penso che questa loro percezione sarà enormemente ampliata, come se avessero dei super poteri».

«Daccordo Petrov. Ma cerchi di coinvolgermi solo se strettamente necessario per la riuscita della missione. Il Comitato non approva che i suoi membri si espongano troppo. Il rischio di essere scoperti è troppo alto e non ho nessuna voglia di morire, almeno non così presto».

«Certo sig. Generale. Ho capito. La contatterò solamente in caso di estrema necessità».

«La saluto Petrov. La prossima volta che ci incontreremo sarà solo per festeggiare. La inviterò qui a San Pietroburgo, nel miglior ristorante della città. Ma si ricordi bene la parola fallimento non è contemplata nel nostro vocabolario. Non ci sarà concessa una seconda possibilità».

«La saluto Generale stia bene».

Petrov chiuse la conversazione appoggiando lentamente la cornetta sul ricevitore. Rimase qualche istante con la testa tra le mani, estremamente pensieroso.

La tensione e lo stress lo stavano uccidendo.

Si allentò il nodo della cravatta e ingurgitò rapidamente il piccolo bicchiere di vodka che aveva precedentemente riempito. Sapeva di non poter perdere altro tempo e come se fosse stato morso da una tarantola, premette repentinamente il pulsante dellinterfono.

«Silvya contatti Skubak immediatamente».

CAPITOLO TERZO

Il Covo

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Aleksej non poté fare altro che seguire in ascensore la sua bella collega, ma mille pensieri gli affollavano la mente. Aveva ottenuto solo una parziale spiegazione da parte di Petrov e questo non aveva fatto altro che accrescere i suoi dubbi. La sua famiglia era seriamente in pericolo, compresa sua mamma Maria. Prima di arrivare al parcheggio pensò di contattare telefonicamente suo nonno Andrej, cercando di non farsi scoprire, ma la sua nuova amica lo guardava a vista e lo controllava molto da vicino. Era sicuro che solo il nonno sarebbe stato in grado di mettere fine a quel terribile incubo. Avrebbe escogitato qualcosa in seguito, ma adesso aveva solo bisogno di un po di riposo per rimettersi in sesto.

Salirono a bordo di una Porche Carrera 911 nera, con i sedili in pelle rossa. Irina lo fissò negli occhi con atteggiamento di sfida: «Che hai da guardare cosa credi che una donna non sappia guidare un bolide come questo?». Il motore urlò tutta la sua potenza, poi lauto ebbe un sussulto e partì come un razzo sgommando sullasfalto e lasciando profonde strisce di pneumatici. Irina guidò spericolatamente per le vie del centro, sorpassando e zigzagando come un pilota esperto. Ad intervalli regolari si voltava verso Aleksej guardandolo con aria soddisfatta.

«Come vedi caro collega in Accademia riceviamo un addestramento di primordine. La mia specialità, tra le altre cose, è la guida veloce. Ma ho tante altre qualità che scoprirai molto presto».

«Non ne dubito», rispose sarcastico Aleksej, cercando di mantenere un contegno imperturbabile per dimostrarle che non aveva paura, mentre con lo sguardo incollato alla strada ripeteva tra sé e sé «fottiti tu e la tua Porche».

Si allontanarono dal centro di Mosca e si diressero verso laperta campagna. Dopo alcune ore di viaggio lauto imboccò una strada sterrata. Quindi percorsero ancora pochi chilometri ad andatura più lenta finché giunsero nei pressi di un enorme portone di ferro battuto, a due ante, di colore verde scuro. Dallesterno non si riusciva a vedere granché perché la vista era impedita da un poderoso muro di cinta, sormontato da filo spinato e telecamere di sicurezza. Al cancello furono fermati da due uomini in borghese armati di kalashnikov. Ordinarono ad entrambi di abbassare i finestrini dellauto e chiesero i loro documenti.

«Grigory ti muovi a far aprire questo cazzo di cancello o dobbiamo stare qui tutta la notte», urlò Irina con tono beffardo.

«Sei la solita stronza», rispose la guardia, facendo un cenno con la mano verso la telecamera in alto sul muro.

Il cancello si spalancò magicamente, come se una mano invisibile avesse premuto un bottone. Irina, agitata e impaziente per quellattesa imprevista, prima che fosse completamente aperto, premette violentemente il piede sullacceleratore. Lauto si avviò velocemente verso linterno, sollevando una grossa nuvola di polvere che investì e colorò di bianco i due poveretti fermi allentrata. Grigory e il suo collega non poterono fare altro che guardare in cagnesco lauto che si allontanava nel viale.

Ormai era già quasi buio e centinaia di piccole luci illuminavano lo splendido parco che lauto attraversava rapidamente, come un coltello nel burro. Mentre proseguivano nella tenuta lo sguardo di Aleksej venne attratto dallimponente struttura che si stagliava in fondo alla strada.

«Bello vero?», domandò Irina sporgendosi con la testa fuori dal finestrino dellauto. «Lo senti questo profumo? Non è» magnifico? La primavera, la mia stagione preferita. Non vedo lora di tornare a Roma per tuffarmi di notte nella fontana di Trevi o per mangiare un gelato a Trinità dei Monti, seduta sulla scalinata di Piazza di Spagna».

Aleksej la guardò divertito e, indicandone con il dito la direzione, le chiese: «Cosè quello? È un castello ottocentesco? A chi apparteneva?».

«Domande sempre domande per quello che ne so era una vecchia residenza degli zar, probabilmente requisita ai tempi della rivoluzione bolscevica e poi messa a disposizione dellSVR, che qui ha realizzato la sua Accademia. Ma non farti abbagliare dalla sua bellezza, noi questo posto lo chiamiamo il Covo». Sorrise soddisfatta, intuendo di aver risposto in modo brillante.

«Il Covo?», replico Aleksej, «perché questo strano nome?

«Non so perché gli hanno dato questo nome. Cera già prima che arrivassi e fossi reclutata nellSVR. Probabilmente è stato creato e voluto come rifugio segreto. Il posto dovè possibile ideare e organizzare attività illecite che in qualunque altra parte della Russia sarebbero perseguite. Comunque resteremo qui solo una settimana e sarò io stessa ad addestrarti e prepararti per la missione in Italia. Ti trasformerò in una perfetta spia». Allimprovviso si mise a ridere come se pregustasse i tormenti che avrebbe inferto alla sua nuova vittima.

«Immagino che non mi libererò facilmente di te», commentò pensieroso Aleksej.

«Puoi ben dirlo mio caro collega puoi ben dirlo», replicò strafottente Irina.

La Porche si fermò davanti allingresso del castello con uno stridere di freni sulla ghiaia. Altre due guardie armate erano posizionate ai lati della splendida scalinata che li avrebbe condotti allinterno. Entrarono e si avviarono verso un grande salone dove sembrava che il tempo si fosse fermato. Tutto profumava dantico: dal pavimento di legno, ai quadri, al mobilio, ai lampadari.

«Bellissimo questo postò», esclamò Aleksej, «non si direbbe proprio un covo di spie».

Irina non lo degnò di uno sguardo perché la sua attenzione adesso era rivolta verso Kostja Skubak che veniva loro incontro dalla direzione opposta.

«Ciao Irina Maggiore, finalmente siete arrivati. Collega per oggi il tuo compito è finito. Da qui in poi mi occuperò personalmente del Maggiore Marinetto. Questi sono gli ordini di Petrov. Sei libera di andare».

Irina, stranamente, si congedò dai due senza dire una parola e si allontanò irosa sbattendo, con notevole frastuono, i piedi sul pavimento. Le sue scarpe, con tacco da dodici, più che un accessorio di abbigliamento sembravano unarma micidiale, se e quando fosse stata costretta ad usarle. Aleksej la seguì con lo sguardo fin dove poté. Camminava sinuosa nei suoi jeans attillati e pensò che avesse uno splendido corpo. Ma era pur sempre una spia e di quelle temibili. Improvvisamente poteva trasformarsi in un cobra reale, di quelli che quando mordono non ti lasciano scampo. Decise che, forse, sarebbe stato più saggio e salutare starle alla larga.


9


Skubak si dimostrò insolitamente gentile e affettato. Si comportò come se avesse ricevuto ordini perentori e precisi dallalto. Era lospite più importante del «Covo» e doveva trattarlo con ogni riguardo, senza però perderlo di vista nemmeno per un istante. In caso di guai seri le conseguenze sarebbero state disastrose per la sua carriera di spia.

Salirono al primo piano e Aleksej fu fatto alloggiare in una bellissima suite. «Spero tu sia contento della sistemazione, Aleksej. Sai, si sussurra che la zarina Caterina ricevesse i suoi amanti proprio in questa camera».

«È tutto splendido. Grazie. Tranne per la guardia armata alla porta. Ma capisco che dobbiate essere prudenti, in fondo sono lultimo arrivato e devo ancora conquistarmi la fiducia del capo».

Skubak lo guardò divertito. Lo conosceva da troppo poco tempo ma capiva che in quelle frasi cera una sottile vena dironia. Lesperienza gli consigliava, comunque, di diffidare del Maggiore. A pelle non gli piaceva affatto e poi aveva quellaria da furbetto, un po troppo per i suoi gusti. Sapeva che alla fine, in un modo o nellaltro, avrebbe regolato con lui tutti i conti.

«Aleksej, ti consiglio di riposare un po. Come puoi vedere sul letto ci sono tutte le tue cose quello è il bagno con tanto di vasca e doccia. Qualcuno verrà ad avvertirti quando sarà il momento della cena». Skubak lo salutò frettolosamente e si dileguò fuori dalla stanza come se qualcuno lo stesse aspettando da qualche altra parte.

Aleksej non ebbe neppure il tempo di sistemare il contenuto della sua piccola valigia quando sentì bussare alla porta.

«Toc toc. Posso entrare?».

Una voce suadente reclamava il suo diritto daccesso.

«Entra pure Irina», rispose con tono seccato Aleksej, «sono ancora vestito. Non temere».

«Ciao Aleksej o dovrei chiamarti Luca», disse ironicamente mostrando il suo splendido sorriso.

«Ti ho portato la cena. Servizio in camera. Non conosco ancora i tuoi gusti culinari e così ho messo insieme un po di tutto. Ho qui anche il dessert e un buonissimo spumante italiano. Dovrai cominciare a godere dei piaceri della vita nelle tue vene scorre pur sempre sangue italiano».

Appoggiò il vassoio sul tavolo vicino alla finestra e cercò di avvicinarsi ad Aleksej che era rimasto immobile, in piedi, al lato del letto.

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